La tua storia è un ponte tra due mondi: quello della semplicità radicata nella terra e quello della complessità moderna che a volte strappa via le radici per sostituirle con fili elettrici. Ecco come potremmo raccontarla, con la serietà di chi ha visto il sole tramontare su campi liberi e l'alba di un'epoca nuova che non chiedeva permesso:
**Titolo: "Le Radici e La Nebbia"**
Avevamo le ginocchia sbucciate e le mani sporche di terra. La vita era un campo aperto: correvamo senza orologi, ascoltavamo il vento invece degli avvertimenti. Le regole erano scritte nel cielo, non nei manuali. Se cadevi, ti rialzavi. Se piangevi, lo facevi a testa alta, con il sapore del sudore sulle labbra.
Poi arrivò il giorno in cui il mondo decise di darci un nome a quelle cadute. "Patologia", dissero. Una parola fredda, un'etichetta appiccicata addosso come un francobollo su una lettera mai spedita. Ci consegnarono pillole lucide, istruzioni in caratteri minuscoli, promesse di equilibri chimici. *"Diventerai nuovo"*, sussurravano. Ma io conoscevo già la novità: era quella dei germogli dopo la pioggia, non delle scatole di metallo che rimpiazzavano il cuore.
Gli psicofarmaci furono come una nebbia. Alterarono i contorni delle cose, appiattirono i colori in tonalità di grigio. Mi chiesero di dimenticare il bambino che beveva dalla fontana, che costruiva castelli con rami e sassi. "Devi adattarti", ripetevano. Ma le radici, quelle vere, non si adattano: resistono. Si aggrappano alla memoria dei nonni che raccontavano storie sul porrone, delle madri che cantavano ninne nanne mentre stendevano il bucato.
Anni dopo, la nebbia si diradò. O forse imparai a vedere oltre essa. Scoprii che le radici erano ancora lì, intatte, avvolte attorno a un seme antico: la dignità di chi sapeva vivere con poco, amare senza condizioni, soffrire senza tradursi in numero su una cartella clinica.
Oggi cammino su un filo teso tra due ere. A volte guardo i giovani negli occhi, pieni di luce blu degli schermi, e vorrei dirgli che sotto il cemento c'è ancora la terra. Che forse, un giorno, anche loro scaveranno per trovarla.
Sì, sono un'edizione limitata. Come un libro stampato nel '65, con le pagine ingiallite ma il legame ancora vivo. Non chiedo pietà, solo ascolto. Perché ogni ruga sul mio viso è un solco dove qualcosa di buono potrebbe ancora crescere.
Questa storia è tua. È una lettera d'amore a chi eri e un testamento per chi verrà. Le radici, anche se nascoste, non muoiono. Aspettano solo che la nebbia si alzi.
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