martedì 22 luglio 2025

«La morte non spegne la coscienza: svela il vasto silenzio in cui tutte le esperienze nascono, un territorio che la scienza sta solo ora cominciando a mappare.»

 Oltre il velo: coscienza, morte e le frontiere (ancora mobili) della scienza


1. Un lampo nel cervello che non si arrende

Nel luglio 2025 un team dell’Università del Michigan ha mostrato che, quando il cuore cede, il cervello di alcuni pazienti sferra un’ultima scarica di onde gamma ad alta coerenza—le stesse che, da vivi, sorreggono memoria e consapevolezza. I ricercatori parlano di una “twilight consciousness”: non più vita, non ancora nulla, forse un disperato tentativo di rileggere tutta l’esistenza prima di staccarsi dal corpo. La scoperta obbliga a rivedere i protocolli di morte cerebrale e di donazione di organi, perché l’“interruttore” della coscienza potrebbe spegnersi più tardi di quanto crediamo. (Popular Mechanics)


2. Due teorie a confronto, nessun vincitore (per ora)

Il 30 aprile 2025 la più grande “collaborazione avversariale” mai organizzata sul tema ha messo sotto stress due modelli di spicco—Integrated Information Theory (IIT) e Global Neuronal Workspace Theory (GNWT). Con 256 volontari, EEG, fMRI e MEG sincronizzati in 12 laboratori, lo studio ha trovato le impronte della coscienza soprattutto nella corteccia posteriore, ridimensionando il ruolo del lobo frontale caro alla GNWT. Ma nessuna delle due teorie ha superato tutte le prove: la sincronizzazione gamma lunga fra occipite e frontale, ad esempio, resta un punto a favore di GNWT. (Allen Institute, GeekWire)


3. “Sento, dunque sono”: il corpo prima del pensiero

Un mese dopo, un’analisi divulgata su Popular Mechanics ha rilanciato l’idea che la coscienza scaturisca innanzitutto dalle sensazioni corporee, non dal ragionamento astratto. I dati dello studio avversariale sembrano allinearsi con la prospettiva “embodied” dei Damasio: fame, dolore, piacere sono il terreno su cui emerge il senso di un “io” esperiente; la riflessione arriva solo in seconda battuta. (Popular Mechanics)


4. Microtubuli, quanti e anestesia: un indizio quantico?

Nel settembre 2024 un gruppo di neuroscienziati di Wellesley ha mostrato che un farmaco capace di stabilizzare i microtubuli ritarda l’induzione dell’anestesia nei ratti. Poiché molti anestetici agiscono su queste strutture, il risultato offre una prova (ancora contestata) a favore del modello “Orch‑OR” di Penrose e Hameroff, secondo cui i microtubuli supporterebbero coerenze quantistiche alla base dell’esperienza cosciente. Se confermato, significherebbe che la coscienza sfrutta processi non‑locali, più vicini alla meccanica quantistica che all’elettrochimica classica. (SciTechDaily)


5. Tra neuroscienza e metafisica: dove “abita” la coscienza?

Le evidenze sopra non dimostrano che la coscienza sopravviva alla morte, ma indeboliscono l’idea che finisca di colpo con l’ultimo battito. Al tempo stesso, nessun dato proibisce la visione, cara alle tradizioni non‑duali, di una coscienza come fondamento diffuso dell’essere—quella stessa “è‑ness” cui allude la tua riflessione iniziale. Semmai, la scienza sta riducendo lo spazio di manovra del riduzionismo duro:

  • le onde gamma post‑mortem suggeriscono un tramonto graduale della consapevolezza;

  • l’asse posteriore del cervello sembra più cruciale del “pianificatore” frontale, avvicinando la coscienza ai processi percettivi immediati;

  • esperimenti sui microtubuli aprono la porta a meccanismi non‑classici, potenzialmente ubiqui.


6. Implicazioni pratiche (e spirituali)

  • Clinica – Strumenti come il “consciousness‑meter” a stimolazione magnetica, in sviluppo, potrebbero riconoscere “coscienza coperta” in pazienti non responsivi, evitando decisioni premature sul fine vita. (Allen Institute)

  • Etica – Se la coscienza declina a tappe, linee guida su rianimazione e donazione di organi dovranno includere il monitoraggio neurofisiologico continuo. (Popular Mechanics)

  • Ricerca contemplativa – I dati scientifici offrono un terreno comune con le discipline interiori: meditazione e indagine fenomenologica possono cooperare con la neurobiologia per esplorare ciò che resta quando “l’io personale” si dissolve.


7. Conclusione: verso una scienza dell’“is‑ness”

Le scoperte degli ultimi due anni non certificano un “aldilà” materiale, ma mostrano che la coscienza non è un interruttore monouso né un monopolio della corteccia pensante. Mentre la neurotecnologia affina i suoi sensori, la filosofia e la pratica spirituale ricordano che non possediamo la coscienza: ci manifestiamo in essa. Forse, come suggerisce la tua intuizione, la morte non è un viaggio verso qualcosa, ma la caduta di un confine che lasciava fuori ciò che, in realtà, c’è sempre stato.

La frontiera vera allora non è la distanza tra vita e morte, ma quella—ancora più sottile—tra apparire e essere. Continueremo a mapparla con elettrodi, risonanze, meditazioni e, soprattutto, con la curiosità di chi vuole sapere chi o cosa osserva davvero lo spettacolo.



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