sabato 16 agosto 2025

Quando la memoria viene piegata dal racconto dei vincitori, chi crede d’essere arrivato in vetta scopre che l’altezza è un teatro di specchi—orme cancellate, volti tramutati in icone, applausi registrati—e che l’intera ascesa, confezionata come destino, non era che l’eco programmata di un’identità manipolata: un trionfo che, nel silenzio dopo il clamore, si rivela soltanto illusione del proprio essere.

 

L’officina del tempo: occhi, cuore e memoria in un mondo di orologi

Nell’immagine vediamo una parete infinita di orologi, una scacchiera metallica che ripete se stessa come un mantra. È fabbrica e altare insieme: nessun volto, nessun paesaggio, solo quadranti. Le lancette cambiano ma non raccontano; misurano. Qui la vita sembra condannata a una sola grammatica: quella del tempo-merce, identico, impilato, lucidissimo.

Questa scena è una radiografia della nostra realtà: non ci limita lo scorrere del tempo, ma il modo in cui lo produciamo, vendiamo e consumiamo.


1) Il tempo che condanna: da Kronos a “tempo di consegna”

Esistono almeno due tempi.

  • Kronos: il tempo che si misura, la sequenza dei minuti.

  • Kairos: il tempo opportuno, denso, qualitativo, che accade quando qualcosa vale.

La condanna nasce quando Kronos occupa tutto: la giornata diventa un nastro trasportatore di scadenze, notifiche, “entro le 24h”. Il peggior tempo visto dagli occhi non è la vecchiaia o l’attesa: è l’urgenza permanente, l’illusione che ogni istante valga solo se convertibile in performance.


2) Lo sguardo catturato: l’occhio come nuovo orologio

L’occhio oggi è un contatore d’attenzione. Scrolliamo per non “perdere tempo”, ma così lo perdiamo in una serie infinita di micro-attimi monetizzati. Le piattaforme non vendono realmente contenuti; vendono la traiettoria del nostro sguardo.
Quando il vedere diventa essere visti dagli algoritmi, l’occhio cessa di scegliere: cronometra. Lo sguardo si fa metronomo; la vita, metrica.


3) Le multinazionali della memoria: il passato prefabbricato

Le grandi piattaforme non archiviano solo dati: costruiscono memorie.

  • Il “ricordo di oggi” riorganizza il passato secondo logiche di ingaggio.

  • Le nostalgie on-demand ci consegnano un “io” che non abbiamo scelto: una biografia autogenerata da like, percorsi, acquisti.

  • La memoria sociale (trend, hashtag, icone) ci fornisce emozioni chiavi in mano. Sono memorie che non appartengono davvero a noi; sono interfacce di identità.

Manipolazione non significa solo dire il falso; significa decidere che cosa ricordare e cosa dimenticare, quali emozioni associare a un marchio, a una data, a un suono.


4) L’economia dell’urgenza: architetture che spingono le scelte

Il tempo oggi è una infrastruttura di potere:

  • Default che ci iscrivono a notifiche perpetue.

  • Friction design ridotta per acquistare, aumentata per disiscriversi.

  • Gamification che trasforma la giornata in livelli, badge, strisce di fuoco fatuo.

Non ci comandano con ordini, ma con ritmi. Chi controlla il ritmo, orienta il desiderio.


5) Il cuore che apre porte: il tempo che guarisce

Eppure ci sono tempi che non passano sulla parete degli orologi: ritmi cardiaci, respiri, passi. Il cuore non conta: accorda. È un tempo relazionale, che riconosce l’altro come misura. Quando “mettiamo da parte la mente” non rifiutiamo la ragione; rifiutiamo la sua riduzione a calcolo. Il cuore non è contro la mente: le dà spazio per pensare in grande.

Aprire porte significa praticare tempi che generano presenza:

  • Ascolto lungo: conversazioni senza notifica, dove il silenzio è parte del discorso.

  • Passi lenti: il corpo riallinea la mente; la strada diventa orologio naturale.

  • Respiro consapevole: il minuto si dilata, l’ansia si scioglie.

  • Opere senza ROI immediato: gratuità come gesto politico.


6) Tecnologie poetiche, non solo efficienti

La tecnologia non è il problema: lo è la sua finalità unica. Possiamo progettare strumenti che restituiscano tempo, anziché estrarlo:

  • Wearable che seguono il respiro, non il feed.

  • AR che rivela storie del luogo invece di sovraccaricare l’attenzione.

  • Specchi digitali che riflettono stati interiori (luci, ritmo, voce) per farci percepire che il tempo non è solo fuori, è in relazione con noi.

  • App di comunità orientate a momenti condivisi offline: incontri, passeggiate, laboratori.

Tecnologia poetica significa mettere criteri di cura nei KPI: risonanza, profondità, rigenerazione.


7) Igiene del tempo: pratiche per disinnescare l’officina degli orologi

Proposte concrete, semplici e radicali quanto basta:

  1. Sciopero dell’urgenza: una fascia oraria quotidiana senza notifiche né email.

  2. Quaderno dei tempi: non “cosa ho fatto”, ma “che qualità ha avuto il mio tempo”.

  3. Digiuno informativo settimanale: 24 ore senza feed; riabitare i propri pensieri.

  4. Soglie lente: entrare/uscire dal lavoro con un rito di 10 minuti (camminare, respirare, scrivere).

  5. Casa a luci calde: igiene visiva per segnalare al corpo che non tutto è un supermercato h24.

  6. Cronocomunità: piccoli gruppi che si incontrano per creare momenti condivisi senza dispositivi (letture, cura del verde, cammini).

  7. Diritto di non risposta immediata: accordo esplicito nelle relazioni e nei team.


8) Politica del tempo: dal “tempo individuale” al bene comune

Se il tempo è infrastruttura, allora riguarda la polis:

  • Diritto alla disconnessione applicato davvero.

  • Spazi urbani di lentezza (strade scolastiche, cammini sicuri, biblioteche di quartiere aperte e silenziose).

  • Servizi che risparmiano tempo in cambio di qualità, non di sorveglianza.

  • Educazione all’attenzione nelle scuole: non “usare meno lo smartphone”, ma capire come funziona l’attenzione e come proteggerla.


9) Riprendersi la memoria: dal feed all’album vivente

Per uscire dalle memorie imposte:

  • Archivio personale intenzionale: poche foto, scelte, stampate, raccontate.

  • Diari vocali: la voce conserva contesto affettivo; il dato torna umano.

  • Racconti intergenerazionali: non trend, ma genealogie.

  • Riti e feste locali: la memoria diventa luogo, non solo timeline.


10) Conclusione: oltre la parete degli orologi

L’immagine ci mostra un mondo di tempo già deciso. Ma tra un orologio e l’altro c’è un interstizio: è lì che passa il cuore. Non si tratta di fuggire dal tempo, ma di cambiarne la regia: dagli occhi catturati agli occhi che scelgono; dalla mente misurante alla mente che immagina; dalle memorie comprate alle storie condivise.

Quando il cuore apre nuove porte, l’officina degli orologi non scompare: perde potere. E la vita, finalmente, ricomincia a non essere solo contata—ma raccontata.



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