martedì 19 agosto 2025

Tra Italia e Russia, lo scacchiere è lo stesso: cambiano solo i comici.

 

Dal Cremlino al Campidoglio: potere, interessi e ceto medio nell’era dei “poteri invisibili”

Abstract
Dalla Russia di Putin – dove il potere è verticalizzato e sostenuto dall’economia di guerra – all’Italia, dove un “accentramento soft” passa attraverso burocrazia, nomine e storytelling politico. In mezzo, un denominatore comune: la pressione sul ceto medio. Non con gli stessi metodi né con le stesse conseguenze, ma con esiti che, se non corretti, vanno nella stessa direzione: più rendite e meno mobilità sociale.


1) Russia: il potere verticale che detta l’agenda

In Russia il potere è accentrato per design. La cornice è nota: sistema autoritario, elezioni controllate, opposizione neutralizzata, media e giustizia sotto influenza del Cremlino. La riforma costituzionale del 2020 ha allungato l’orizzonte di governo, trasformando la verticalità in stabilità coercitiva.
Sul piano esterno, Mosca persegue tre imperativi: dettare l’agenda, proiettare potere oltre i confini (diplomazia, contractor, armi, disinformazione) e garantirsi risorse tecnologiche/finanziarie. La guerra in Ucraina ha chiuso i canali con l’Occidente, spinto la Russia in un abbraccio funzionale con la Cina e rafforzato il ricorso a piattaforme alternative (BRICS, SCO). È una strategia di influenza per attrito: costosa, ma capace di comprare tempo e consenso interno.

L’economia di guerra come motore (e zavorra)

Negli anni 2023-2024 i numeri ufficiali hanno mostrato crescita trainata dalla spesa bellica. Ma è crescita da surriscaldamento: inflazione alta, tassi elevati, raffreddamento nel 2025. L’apparato difesa-industria assorbe risorse e personale, mentre altri settori restano a dieta.

Il “ceto medio guerriero”

La leva salariale nel comparto militare (stipendi, bonus, mutui agevolati, esenzioni) ha creato un nuovo cuscinetto sociale: un “ceto medio” legato alla continuità del conflitto. Funziona come ammortizzatore politico: compra consenso nelle regioni povere e posticipa la mobilitazione forzata. Ma è precario per definizione: dipende dalla guerra e non costruisce capitale umano trasferibile.

La contrazione del ceto medio tradizionale

Professionisti, imprenditori urbani, laureati: qui si vede l’erosione. Tra inflazione, emigrazione qualificata e chiusura degli sbocchi, il ceto medio classico si assottiglia. Le proiezioni indicano un restringimento strutturale anche in scenari favorevoli. È la logica dell’economia di guerra: premia la prossimità allo Stato-committente, punisce chi vive di mercato, scambio, innovazione.


2) Italia: lo stesso gioco? Sì, ma in “versione soft” (e spesso farsesca)

Premessa necessaria: l’Italia è una democrazia liberale, con alternanza, stampa plurale, magistratura indipendente e vincoli europei. Non è, e non diventa, la Russia.
Detto ciò, esiste un gioco degli interessi che – per obiettivi e risultati – può produrre effetti analoghi sul ceto medio, pur senza autoritarismo e senza guerra. È un accentramento soft, che passa per strumenti più sottili che coercitivi.

Gli “standard invisibili” all’italiana

  • Accentramento per procedure: decreti-legge e fiducie seriali, “urgenze” permanenti, testi omnibus. Si comprime il dibattito reale e si aumenta la discrezionalità esecutiva.

  • Nomine & lottizzazioni: partecipate strategiche, authority, RAI, centrali di spesa. La regia politica sulle nomine costruisce catene di fedeltà che valgono più dei KPI.

  • Rendite e filiere di fornitura: grandi appalti (difesa, digitale, infrastrutture) con capitolati complessi e bassa contendibilità. Barriere all’ingresso che scoraggiano PMI innovative.

  • Revolving doors & lobbying opaco: la zona grigia tra pubblico e privato che indirizza regole e bandi. Anche senza violazioni di legge, si crea asimmetria informativa a favore degli insider.

  • Comunicazione-spettacolo: la politica-show sostituisce il merito degli atti con la narrazione degli atti. Il risultato? Un “accentramento simbolico” dove conta più il frame che la sostanza.

Perché “comico”?
Perché a differenza della Russia – dove la verticalità è tragicamente efficace – in Italia la stessa pulsione al controllo si traveste da burocrazia creativa: mille task force, commissari, slogan, conferenze stampa. Un potere che spesso mima la forza ma si inceppa nella macchina.

Dove il parallelo regge davvero

  • Pressione sul ceto medio: salari reali stagnanti, costo della vita urbano, mutui e affitti, tasse su lavoro e impresa. Il ceto medio finanzia il sistema: paga l’inefficienza, non accede alle rendite.

  • Selettività degli incentivi: bonus e crediti fiscali disegnati per platee ristrette, spesso catturati da chi ha competenze e consulenti. La classe media “normale” rincorre.

  • Spesa pubblica “a imbuto”: grandi capitoli (difesa, grandi opere, transizioni) dove pochi attori intermediari drenano margini; la catena lunga scarica rischi e ritardi sui subfornitori.

Dove il parallelo si ferma (ed è bene ricordarlo)

  • Stato di diritto: stampa, magistratura, opposizioni esistono e incidono; la società civile vince ricorsi, ferma opere, modifica norme.

  • Vincoli europei: regole sugli appalti, concorrenza, aiuti di Stato e PNRR impongono trasparenza e milestone; non sempre rispettate, ma i correttivi arrivano.

  • Nessuna economia di guerra: la spesa per la difesa cresce verso impegni NATO, ma l’Italia non finanzia consenso distribuendo hazard pay o mutui di guerra.


3) Effetto finale: l’erosione “per sommatoria” del ceto medio

In Russia è discontinua e bellica: chi si avvicina alla macchina militare sale, gli altri scivolano.
In Italia è carsica e cumulativa: inflazione + bassa produttività + rendite + zig-zag normativi + incertezza. Nessun colpo di scure, ma tanti colpetti che, nel tempo, riducono mobilità e aspirazioni.

Segnali da monitorare in Italia (prospettiva da blogger d’inchiesta):

  1. Qualità della spesa: meno “progetti vetrina”, più manutenzione produttiva (scuola, sanità territoriale, giustizia civile, competenze digitali diffuse).

  2. Contendibilità degli appalti: criteri chiari, lotti dimensionati per PMI, tempi certi di pagamento lungo la filiera.

  3. Nomine & governance: board con profili indipendenti e indicatori ex-ante/ex-post pubblici; stop alla lottizzazione delle aziende di Stato strategiche.

  4. Lavoro e produttività: incentivi collegati a innovazione e formazione, non a piogge di bonus; contrattazione che premi competenze e risultati.

  5. Trasparenza del lobbying: registro serio, footprint pubblico sui processi normativi, consultazioni vere (non rituali).

  6. Politica-spettacolo: ridurre l’infotainment istituzionale. La comunicazione non sostituisce la policy.


4) Narrativa contro realtà: perché ci caschiamo

  • Bias dell’evento: la conferenza stampa, il decreto “urgenza”, l’hashtag danno l’illusione di movimento. Il ceto medio li scambia per riforme, poi scopre che l’attrito resta.

  • Retorica delle “filiera strategiche”: in nome della sovranità si blindano mercati che diventano rendite.

  • Personalizzazione: leader vs leader. Ma il vero protagonista è sempre la catena delle decisioni (chi scrive, chi controlla, chi spende).


5) Che cosa serve per non finire nel binario russo (senza guerra)

  1. Decentrare responsabilità, non solo fondi: obiettivi misurabili, poteri chiari, valutazioni indipendenti.

  2. Semplificare davvero: poche norme stabili, sunset clause sui bonus, valutazioni d’impatto ex ante.

  3. Premiare chi innova: appalti challenge-based, sandbox regolatori, credito d’imposta legato a risultati (non alle carte).

  4. Proteggere il ceto medio su tre fronti: costo della casa (affitti, rigenerazione urbana), carico fiscale sul lavoro (riduzione strutturale del cuneo), servizi universali (nidi, sanità di prossimità).

  5. Alzare la qualità del dibattito: meno show, più policy briefing pubblici con dati, scenari e trade-off.


Conclusione

La Russia usa serietà tragica: un potere verticale, oliato dalla guerra, che compra consenso e restringe la classe media tradizionale.
L’Italia pratica una serietà mimata: potere diffuso ma direzionato, che preferisce il controllo simbolico (narrazione, nomine, procedure) alla trasformazione. Il risultato, per il ceto medio, rischia di somigliarsi: rendite su, mobilità giù.

La differenza è che noi abbiamo anticorpi: Stato di diritto, pluralismo, UE, società civile. Ma gli anticorpi vanno nutriti. Se non si corregge la traiettoria – qualità della spesa, contendibilità, trasparenza, produttività – il “gioco” italiano resterà lo stesso: non autoritario, certo, però comicamente serio nel proteggere i forti e nel chiedere al ceto medio di pagare il conto.


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