Essere roba umana: tra silenzi, stagioni interiori e il terreno che si muove
C’è un tempo in cui la vita ci porta verso il rumore, e un tempo in cui ci avvolge nel silenzio. Non sempre siamo noi a scegliere: il movimento, il cambiamento, le pause arrivano come stagioni, e noi possiamo solo abitarle. Essere umani significa questo: oscillare tra stabilità e fratture, tra superficie e profondità, tra il mondo esteriore e quello che si muove sotto pelle.
La stabilità e la frana
A volte il terreno sembra solido sotto i nostri piedi. Costruiamo, camminiamo, parliamo con la certezza che la realtà sia ferma. Poi, senza preavviso, arriva il crollo: una frana invisibile che non sempre porta dolore, ma che ci costringe a fermarci. Non è necessariamente un trauma: può essere una trasformazione. Il terreno che cede non è la fine del cammino, è un invito a cercare un nuovo equilibrio.
Il silenzio come compagno
Molti hanno paura del silenzio. Lo riempiono di parole, di attività, di immagini continue. Eppure, il silenzio non è un vuoto, ma un grembo. È lo spazio in cui le parole si preparano a tornare, rinnovate, autentiche. Il silenzio non è un’assenza di vita, è la sua fase più misteriosa. È la radice che lavora sotto terra mentre la superficie sembra immobile.
La doppia vita: ordinaria e interiore
Esistono due piani che convivono in noi:
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quello ordinario, fatto di gesti semplici, relazioni, lavoro, quotidianità;
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quello interiore, che a volte è in tumulto anche mentre fuori sorridiamo, o che invece trova pace mentre fuori sembra caos.
Essere umani significa accettare che questi due mondi non sempre coincidono. Non serve uniformarli. Basta riconoscere che fanno parte dello stesso tessuto.
L’essere, non il fare
La società ci spinge a “fare” sempre. A produrre, a raccontare, a mostrare. Ma ci sono stagioni in cui basta “essere”. Essere presenti al proprio silenzio, essere testimoni del cambiamento interiore, essere semplicemente vivi senza dover dare spiegazioni.
Il ritorno delle parole
Le parole torneranno quando avranno bisogno. Non si possono forzare, né programmare. Verranno come semi portati dal vento, pronti a germogliare nel terreno che oggi sembra fermo o franato.
E allora, se il terreno cade sotto i piedi, non temere. Se il silenzio ti avvolge, accoglilo. Fa parte del percorso. È la condizione più autentica dell’essere “roba umana”: fragile, mutevole, ma profondamente viva.
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