Il re Shibi, il piccione e il falco — una favola che ci costringe a scegliere
C’era una volta un piccione che volò dal re Shibi. Gli disse: «Quel falco mi sta inseguendo per uccidermi. Ti prego, aiutami, signore». Il re lo calmò e promise protezione. Mentre parlavano, il falco si posò e cercò di attaccare il piccione. Il re gli disse: «Smettila. Non è giusto fare del male ai deboli». Il falco rispose: «La mia natura è cacciare. Se non prendo questo piccione, io e i miei piccoli moriremo. Che vuoi che faccia?».
Questa storia — patrimonio delle tradizioni jainiste/buddhiste e spesso raccontata in versioni diverse nelle letterature sapienziali — è semplice nella scena ma enorme nel peso morale. Da blogger, provo a sviscerarla punto per punto e a tirarne fuori cosa ci può insegnare oggi: su leadership, compassione, natura, responsabilità e scelte impossibili.
1) La scena: tre attori, tre necessità diverse
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Il piccione: il più vulnerabile. Cerca protezione, invoca un principio morale (il diritto alla vita).
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Il falco: creatura che ha bisogno di nutrirsi per sopravvivere e sfamare la prole. Rappresenta la legge della natura e la necessità.
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Il re Shibi: autorità morale o politica chiamata a giudicare. Ha il potere di intervenire ma anche la responsabilità delle conseguenze.
Già qui vediamo il nucleo del conflitto: diritti vs bisogni, compassione vs natura, ideale etico vs realtà materiale.
2) Tre chiavi di lettura etiche
Deontologia (dovere e principio)
Da una prospettiva deontologica il re ha il dovere di proteggere i più deboli. La regola morale — «non fare del male ai deboli» — è assoluta. Se applichiamo questo principio, il re deve fermare il falco indipendentemente dalle conseguenze.
Utilitarismo (conseguenze e bene collettivo)
Se valutiamo le azioni in base alle conseguenze, la scelta si complica: salvando il piccione si condanna il falco e i suoi piccoli; permettendo la caccia si salva una famiglia a scapito di un individuo. Qui entrano calcoli dolorosi sul «minimo dolore» o sulla massima somma di benessere: scelta tragica perché non esiste una risposta che elimini la sofferenza.
Etica della virtù (rettitudine del carattere)
Il re non è solo legislatore ma esempio di virtù. Shibi diventa l’archetipo del leader che pratica la misericordia. La domanda è: quali virtù (giustizia, compassione, saggezza) devono guidare una decisione quando valori legittimi entrano in conflitto?
3) Natura vs norma: cosa significa “seguire la propria natura”?
Il falco parla di natura come scusa: «Mi nutro di piccioni». Ma la natura non è un mandato morale automatico. Distinguere tra descrizione (cos’è) e norma (così deve essere) è fondamentale: il fatto che qualcosa accada in natura non implica che sia moralmente giusto per gli umani imitarlo. Però ignorare la dimensione materiale (mancanza di cibo, sopravvivenza) porta a soluzioni utopiche poco praticabili.
4) Leadership e responsabilità decisionale
Per un leader moderno (politico, aziendale, comunitario) la fiaba è una lezione. Quando si prendono decisioni che coinvolgono vite e bisogni contrastanti:
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Serve empatia: capire le ragioni del falco e del piccione.
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Serve coraggio: scegliere anche quando la risposta è impopolare.
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Serve saggezza pratica: cercare soluzioni creative che minimizzino il danno complessivo.
Esempio pratico: durante una crisi alimentare o ambientale, un leader può proteggere una comunità vulnerabile ma deve anche prevedere le conseguenze per altri gruppi e costruire meccanismi di sostegno (programmi di aiuto, redistribuzione, innovazione che crei alternative).
5) Vie d’uscita creative (soluzioni non banali)
La favola mette davanti a uno stallo morale; nella vita reale possiamo progettare soluzioni che riducono i conflitti:
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Interventi strutturali: trovare risorse alternative per il falco (creare condizioni che aumentino la disponibilità di cibo naturale o fonti alternative).
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Mediazione e compromesso: temporanee tregue che salvaguardino i vulnerabili mentre si attuano soluzioni.
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Tecnologia e innovazione: nell’attuale mondo umano, innovazioni (es. cibo alternativo in certi contesti) possono risolvere conflitti di risorse.
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Reti di sicurezza sociale: analoghe al ruolo del re che si prende cura, ma su scala collettiva e istituzionale.
Queste non sono risposte immediate nella fiaba — ma sono la strada che la nostra responsabilità collettiva dovrebbe perseguire.
6) La lezione umana: compassione non è semplice pietà, è scelta responsabile
La compassione che Shibi mostra è attiva: non è solo sentimento ma azione che prende responsabilità. E questa azione può richiedere sacrifici personali, ma anche piano e lungimiranza per non creare altri poveri o famelici.
7) Paralleli contemporanei (brevi)
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Politiche migratorie: proteggere rifugiati vs pressione sulle risorse locali. Come bilanciare umanità e sostenibilità?
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Politiche ambientali: proteggere specie vulnerabili vs interessi economici di comunità che dipendono da risorse naturali.
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Crisi pandemiche: decisioni che mettono in conflitto salute pubblica e economia personale.
In tutti i casi emerge la stessa domanda: chi e come decide quando i bisogni legittimi collidono?
8) Domande da portare con te (call to reflection)
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Se fossi al posto del re, cosa peseresti per primo: principio o conseguenza?
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Quanto conta la “natura” come giustificazione morale nelle tue scelte quotidiane?
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Che tipo di soluzioni creative puoi immaginare per ridurre dilemmi simili nella tua comunità?
9) Conclusione: una favola che non invecchia
La storia del re Shibi, del piccione e del falco è semplice ma inquietante perché non fornisce risposte facili. Ci mette davanti al fatto che la moralità è spesso una pratica di bilanciamento sotto vincoli materiali. Ci ricorda che la compassione vera richiede creatività, responsabilità e, a volte, il coraggio di reinventare regole sociali.
Se c’è una cosa che questa favola ci chiede è di non cedere all’illusione che esista una regola universale che risolva tutti i conflitti: esistono principi che valgono, ma servirà sempre — per proteggerli veramente — pratica intelligente, solidarietà concreta e istituzioni che sappiano sostenere sia i “piccioni” sia i “falchi” senza fare della natura una scusa per l’ingiustizia.
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