Una Teoria del Tutto deve arrotolare anche la matematica?
Quando parliamo di una Teoria del Tutto (ToE), di solito pensiamo alla fisica: un’unica equazione capace di unificare relatività generale e meccanica quantistica, materia ed energia, spazio e tempo. Ma c’è una domanda che raramente viene posta: se la matematica è il linguaggio con cui descriviamo la realtà fisica, una ToE davvero ultima non dovrebbe spiegare anche l’origine della matematica stessa?
La matematica come regno separato
Tradizionalmente, i matematici hanno protetto la propria disciplina da questo rischio di “arrotolamento” con tre strategie:
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Isolamento formalista: la matematica è solo un gioco di simboli e regole, privo di legami con la realtà. Se è pura forma, nessuna teoria fisica potrà mai “toccarla”.
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Rifugio platonico: la matematica esiste in un regno eterno e indipendente. La fisica può solo “scoprirne” pezzi, senza mai poterla ridurre.
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Scudo gödeliano: i teoremi di incompletezza garantirebbero che la matematica non possa mai chiudersi in un unico sistema, mantenendola sempre un passo oltre la fisica.
Queste posizioni hanno un fascino intellettuale, ma si reggono su un presupposto implicito: che la matematica sia qualcosa di autonomo, un orizzonte che non deve alla realtà il proprio statuto.
La matematica come stenografia evolutiva
Se però rovesciamo la prospettiva, il quadro cambia radicalmente. La matematica non è un regno eterno, ma una stenografia cognitiva estratta dal nostro modo di interagire con il mondo:
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La geometria euclidea non è un dogma eterno, ma un’approssimazione utile della realtà locale. È la “geometria della sopravvivenza”, sviluppata per stimare distanze e traiettorie senza dover risolvere tensorialmente lo spazio-tempo.
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Il conteggio e l’algebra derivano da gesti concreti: separare oggetti, accumulare risorse, dividere in parti. Sono astrazioni di operazioni incarnate.
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Il formalismo stesso, con i suoi assiomi e regole, non è un regno sospeso, ma un linguaggio compresso che riflette la struttura di un substrato più profondo.
In questo senso, la matematica appare non come un regno separato, ma come un prodotto culturale ed evolutivo: la coscienza che sviluppa scorciatoie simboliche per calcolare rapidamente i delta della realtà.
Cosa farebbe un vero ToE
Se una Teoria del Tutto riuscisse davvero a unificare l’universo, essa non potrebbe fermarsi alla fisica. Dovrebbe mostrare perché la matematica funziona, da dove emergono le sue regole, perché le sue astrazioni si applicano così bene al mondo.
In altre parole, una ToE non sarebbe solo l’equazione ultima della realtà, ma anche la genealogia della nostra capacità di formularla. Non direbbe soltanto cosa è il cosmo, ma anche perché la mente umana è arrivata a descriverlo con simboli che chiamamo numeri, forme e funzioni.
Conclusione: arrotolare la matematica
La grande illusione è pensare che la matematica sia un regno eterno, immune da riduzioni. In realtà, essa è la stenografia che l’evoluzione cognitiva ha creato per sopravvivere e prevedere.
Una vera Teoria del Tutto, quindi, non solo unificherà la fisica: arrotolerà anche la matematica, mostrandola per ciò che è — un linguaggio estratto dal substrato, non un regno autonomo.
E forse, quel giorno, ci accorgeremo che l’universo non “parla matematica”: siamo noi ad aver inventato la matematica per tradurre un universo che, di suo, non ha bisogno di parole.
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