Nell'incontro di Trump con Xi, entrambi i segretari Rubio e Bessent indossano le cuffie per la traduzione, ma Trump no. Trump parla correntemente il cinese? Durante la pandemia, Trump riteneva che indossare una mascherina non fosse "presidenziale", quindi lo faceva raramente, e ci sono stati numerosi focolai alla Casa Bianca e ha preso il Covid, il che ha richiesto il ricovero in ospedale. Solo un'ipotesi qui, ma sospetto che indossare le cuffie sia una minaccia per la virilità di Trump, quindi si è rifiutato di farlo. L'autoproclamato "genio molto stabile" conosce le parole anche se sono pronunciate in cinese. C'è una voce che circola secondo cui, dopo la fine di questo incontro, Trump sarebbe stato arrabbiato sia con Rubio che con Vance perché non aveva mai ricevuto il suo uovo. A quanto pare Trump ha frainteso ciò che gli veniva detto dai suoi ospiti cinesi e ha pensato che stessero descrivendo il menu della cena che descriveva le prelibatezze che sarebbero state servite dopo l'incontro. Fortunatamente per Rubio e Vance, Trump in realtà dimentica perché era arrabbiato solo pochi minuti dopo e si è fatto preparare dallo chef dell'AirForce 1 un hamburger e patatine fritte. Mai un momento di noia alla Casa Bianca di Trump.
Trump, Xi e le cuffie mancanti: simboli di potere, linguaggio e immagine presidenziale
Nel recente incontro tra Donald Trump e Xi Jinping, un dettaglio ha catturato l’attenzione degli osservatori più attenti: mentre i segretari statunitensi, Rubio e Bessent, indossavano le cuffie per la traduzione simultanea, Trump ne era privo. La scena, quasi teatrale, ha alimentato una domanda curiosa e legittima: Trump parla correntemente il cinese?
La risposta, naturalmente, è no. Trump non parla cinese, né ha mai mostrato pubblicamente di comprenderlo. Ma il punto non è linguistico: è politico, simbolico e mediatico. In quell’assenza di cuffie, così visibile accanto ai volti concentrati dei suoi collaboratori, si può leggere un gesto calcolato — o quantomeno coerente — con il modo in cui Trump costruisce la sua immagine pubblica fin dai primi giorni della sua carriera politica: l’uomo che non ha bisogno di intermediari.
Il linguaggio come potere visivo
La comunicazione non verbale è sempre stata un’arma chiave di Trump. Durante la sua presidenza, l’ex tycoon ha trasformato ogni apparizione in una performance visiva, dove i gesti contano più delle parole. Non indossare le cuffie di traduzione può essere letto come un segnale di forza e autonomia — un messaggio implicito al pubblico americano (e forse anche cinese): “Io controllo la conversazione. Capisco tutto, anche senza aiuto.”
Questa costruzione dell’immagine di potere “diretto” non è nuova. Durante la pandemia di Covid-19, Trump applicò la stessa logica alla questione delle mascherine. Nonostante gli avvertimenti scientifici, sosteneva che indossare una mascherina non fosse “presidenziale”. Preferiva mostrarsi senza, come se la vulnerabilità umana — il bisogno di protezione — fosse in contraddizione con il ruolo di comandante in capo.
Il risultato fu paradossale: numerosi focolai alla Casa Bianca, e lo stesso Trump contagiato. Eppure, anche dopo l’infezione, il suo messaggio politico non cambiò. Continuò a mostrarsi come l’uomo che affronta il virus “a viso aperto”.
Dalla mascherina alle cuffie: la costruzione del mito dell’autosufficienza
Nel mondo di Trump, la percezione è più potente della realtà. Non è necessario conoscere il cinese: basta sembrare in controllo della situazione. Non serve seguire le regole sanitarie, se il messaggio visivo trasmette sicurezza e dominio. È una retorica visiva, più che politica, in cui ogni gesto è studiato per rafforzare la figura di un leader impermeabile, autosufficiente, “più grande della realtà”.
Trump sa che la politica moderna è spettacolo, e il potere, nella percezione pubblica, si misura sempre più in immagini e posture, non in contenuti o competenze.
Così, l’assenza delle cuffie diventa la naturale evoluzione della mascherina non indossata: in entrambi i casi, un rifiuto del filtro, del dispositivo che media tra sé e il mondo. Che si tratti di una barriera sanitaria o linguistica, Trump la rimuove per ribadire un messaggio semplice: io non ho bisogno di traduzioni, né di protezioni.
Il linguaggio della leadership nell’era post-pandemica
Questo atteggiamento, però, solleva una riflessione più profonda sul ruolo dell’immagine nella leadership contemporanea. La pandemia ha mostrato quanto le scelte simboliche possano avere conseguenze reali: il rifiuto di apparire “debole” può tradursi in comportamenti pericolosi, e la teatralità politica può costare caro, anche in termini di salute pubblica.
Nel contesto internazionale, la scena del vertice con Xi si trasforma così in un piccolo teatro del potere globale.
Xi, pragmatico e silenzioso, rappresenta il controllo; Trump, senza cuffie, incarna la sfida e l’improvvisazione. Due visioni del comando che si confrontano non solo nelle parole, ma nei gesti, negli oggetti, nei silenzi.
Epilogo: il linguaggio che non ha bisogno di parole
Alla fine, Trump non parla cinese — ma sa parlare attraverso l’immagine, che per lui è un linguaggio universale. La mancanza delle cuffie è un messaggio che supera la traduzione, proprio come il suo rifiuto della mascherina era un messaggio che andava oltre la scienza.
Nel bene e nel male, la sua forza comunicativa sta nel trasformare ogni dettaglio in un simbolo di potere.
E anche un gesto apparentemente banale — come sedersi accanto a Xi Jinping senza un auricolare — diventa parte di quella grande narrazione visiva che Trump, più di ogni altro politico contemporaneo, ha saputo costruire: il mito dell’uomo che non ascolta, ma comanda.
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