Quando ti dicono che “non si può vivere”, dopo aver sfruttato tutto (anche i ragazzi onesti)
C’è una frase che circola sempre più spesso, quasi fosse una sentenza definitiva: “oggi non si può più vivere”.
Viene pronunciata con rassegnazione, come se fosse una legge naturale. Ma raramente ci si ferma a chiedersi perché si sia arrivati a questo punto — e soprattutto chi ha contribuito a renderlo vero.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un paradosso inquietante: mentre si celebrano progresso, innovazione e robotizzazione, la dignità umana è stata progressivamente compressa, spesso proprio ai danni di chi ha fatto tutto “nel modo giusto”.
Il grande inganno dell’efficienza
Robotizzazione, automazione, intelligenza artificiale.
Parole nate per migliorare la vita, ridurre la fatica, liberare tempo.
Eppure, in molti settori, sono state usate come strumenti di compressione, non di liberazione.
Il risultato?
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meno lavoro umano
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più controllo
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salari più bassi
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responsabilità spostate sempre verso il basso
Il sistema ha iniziato a funzionare come una macchina fredda: chi rispetta le regole diventa facilmente sostituibile, chi aggira il sistema spesso viene premiato.
Ragazzi onesti, usati e poi scartati
La ferita più profonda riguarda una generazione intera.
Ragazzi che:
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hanno studiato
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hanno rispettato la legge
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hanno accettato contratti precari “per fare esperienza”
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hanno creduto nelle promesse di crescita
E che oggi si sentono dire che “non sono abbastanza”, che “devono reinventarsi”, che “il mercato non perdona”.
Ma il mercato ha perdonato eccome chi ha sfruttato:
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stage infiniti
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lavoro sottopagato
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turni disumani
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mansioni automatizzate senza tutele
Prima si è preso tutto da loro.
Poi si è detto che non c’era più spazio.
La legalità come svantaggio competitivo
Uno degli aspetti più amari è questo: rispettare la legge è diventato, in molti casi, uno svantaggio.
Chi ha seguito le regole:
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ha pagato tasse
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ha rispettato orari
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ha accettato gerarchie
Si è ritrovato più fragile di chi:
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ha sfruttato zone grigie
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ha delocalizzato senza scrupoli
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ha usato la tecnologia solo per ridurre costi, non per creare valore
E oggi la narrazione dominante ribalta tutto: se non ce la fai, è colpa tua.
“Non si può vivere” non è una verità: è una conseguenza
Dire che “non si può vivere” non descrive la realtà, la giustifica.
È il modo più comodo per non affrontare le responsabilità collettive.
Non si può vivere dopo che:
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il lavoro è stato svuotato di senso
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la tecnologia è stata usata senza etica
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le persone sono state trattate come componenti intercambiabili
Non è una crisi naturale.
È una crisi costruita.
Rimettere l’essere umano al centro (davvero)
La vera innovazione oggi non è un nuovo algoritmo.
È avere il coraggio di rallentare, di rimettere al centro:
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la dignità
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il tempo umano
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il valore dell’esperienza
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il rispetto per chi ha fatto la propria parte
La tecnologia dovrebbe servire le persone, non consumarle.
Il lavoro dovrebbe permettere di vivere, non solo di sopravvivere.
Conclusione
Quando qualcuno dice che “non si può più vivere”, la risposta non dovrebbe essere rassegnazione.
Dovrebbe essere una domanda scomoda:
Chi ha approfittato di tutto, fino a rendere la vita invivibile per chi ha rispettato le regole?
Finché non affrontiamo questa verità, continueremo a costruire sistemi perfetti…
per macchine che funzionano,
e persone che si rompono.
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