**Title: "La Strada delle Valigie"**
Nella luce dorata del tramonto, una figura solitaria avanzava lungo una strada polverosa, il suo respiro sincronizzato con il cigolio delle cerniere. **Era Marco, e le valigie che trascinava erano più numerose delle stelle che iniziavano a punteggiare il cielo.** Ogni valigia, consumata dal tempo, portava un’etichetta invisibile: *“Rimpianto”*, *“Amori Perduti”*, *“Errori Irripetibili”*.
**La prima, di cuoio screpolato, conteneva le lettere mai spedite a un padre scomparso.** Ogni volta che l’apriva, sentiva l’odore di tabacco e legno bagnato, e rivedeva le mani callose che non avevano mai stretto le sue. La seconda, una borsa militare, custodiva schegge di un sogno infranto: il concerto al quale aveva rinunciato per paura, i versi mai scritti. La terza, una valigetta di metallo, era piena di sassi levigati dal mare, ciascuno inciso con un nome di chi aveva ferito o era stato ferito.
**La strada si inerpicava verso una collina lontana, avvolta nella nebbia, dove una luce pulsante prometteva un “altrove”.** Ma più Marco camminava, più le cinglie delle valigie gli scavavano le spalle, trasformando ogni passo in una penitenza. *“Sono il tuo sangue, la tua pelle”,* sussurravano le valigie quando tentava di abbandonarne una. *“Senza di noi, chi saresti?”.*
Un mattino, incontrò una donna seduta su una pietra miliare, intenta a disegnare mappe su frammenti di cielo. **“Le strade si alleggeriscono se impari a leggere ciò che porti”,** gli disse, indicando una valigia tarlata ai suoi piedi, piena solo di petali secchi. *“Io viaggiavo con un giardino morto. Poi ho capito che seppellire non è dimenticare.”*
Marco si fermò. **Per la prima volta, aprì le valigie non per rivangare, ma per scegliere.** Nella borsa militare, trovò un vecchio spartito: una melodia che poteva ancora essere suonata, se solo avesse cambiato chiave. Nelle lettere al padre, scoprì un indirizzo: la casa di un fratellastro mai conosciuto. I sassi con i nomi? Li dispose in cerchio, un monumento effimero al perdono.
**Lasciò sulla strada la valigia degli errori, svuotandola di ogni “se solo”.** Ne tenne una, la più piccola: dentro, una foto sbiadita di sé bambino, che rideva sotto una pioggia d’agosto. *“Questo sono”,* sussurrò. **Non era più un fardello, ma una bussola.**
Quando riprese a camminare, il vento sollevò la polvere dietro di lui, seppellendo le valigie abbandonate. **La collina non era più lontana.** E nelle tasche del suo cappotto, ora leggero, tintinnavano nuove chiavi: una per la casa del fratello, una per una scuola di musica, una vuota, pronta per serrature future.
**Epilogo:**
*Camminiamo con valigie che a volte scambiamo per radici. Ma scegliere cosa tenere è scrivere la storia, non subirla. Il passato è una zattera, non un’ancora. Taglia le corde, e scoprirai che la terraferma è dove osi approdare.*
Nessun commento:
Posta un commento