sabato 10 maggio 2025

"La curiosità di rimanere da soli è un’esplorazione senza mappa: dietro la porta chiusa, tra le pareti che amplificano il respiro, si nasconde il privilegio di ascoltare il rumore segreto che fa l’anima quando nessuno la guarda." (Un mix tra il brivido dell'autonomia e la scoperta di sé, dove la solitudine non è vuoto ma un dialogo inaspettato.)

 La frase che hai condiviso evoca un ritratto vivido di un'epoca e di un'approccio educativo oggi quasi scomparso, radicato in una generazione che ha vissuto un'infanzia segnata da maggiore autonomia, responsabilità precoce e una certa dose di solitudine. Approfondiremo questa dinamica attraverso diverse lenti: culturale, psicologica, sociale e filosofica.

### **1. Contesto culturale: tra pragmatismo e assenza di "safetyism"**  

Negli anni '60-'80, in molte società occidentali (Italia compresa), le famiglie erano spesso numerose, i genitori lavoravano a lungo, e le risorse economiche erano limitate. La figura della babysitter era un lusso per pochi. Questo pragmatismo si traduceva in un'educazione basata sulla **fiducia implicita** nelle capacità dei figli di gestirsi, anche in situazioni di vulnerabilità.  

- **Istruzioni minimali**: "Chiudi bene la porta e non aprire a nessuno" era un comando semplice ma carico di significato: i genitori riconoscevano i pericoli (furti, estranei), ma delegavano ai figli la responsabilità di affrontarli.  

- **Comunità come rete invisibile**: Spesso i bambini erano lasciati soli, ma in realtà inseriti in un contesto di vicinato solidale. I vicini fungevano da "sorveglianti informali", mitigando i rischi reali. Oggi, invece, la società è più individualista, e la paura del giudizio sociale ha reso i genitori iper-protettivi.

### **2. Psicologia della solitudine: tra paura e desiderio di agency**  

Quel "rimanere insieme con aria silenziosa e sospetta" rivela un paradosso emotivo:  

- **Paura come catalizzatore di coesione**: L’assenza degli adulti creava un vuoto che i bambini riempivano con la complicità reciproca. Il silenzio non era passivo, ma un **rito di sopravvivenza collettiva**, dove ogni rumore diventava un segnale da decifrare.  

- **Pensiero prolungato**: Senza distrazioni tecnologiche, i bambini erano costretti a confrontarsi con il tempo vuoto, alimentando l’immaginazione, ma anche l’ansia. Questo "pensare più a lungo" era un esercizio di **problem-solving anticipatorio**: "Cosa faremmo se qualcuno bussasse? E se i genitori non tornassero?"  

- **Desiderio di crescere**: L’adultità era idealizzata come uno stato di controllo sul caos. La vulnerabilità dell’infanzia spingeva a sognare l’autonomia, non per ambizione, ma per necessità esistenziale.

### **3. Sociologia delle generazioni: dal "branco" alla "bolla""**  

La generazione descritta è quella dei "figli della libertà vigilata", cresciuti in un limbo tra negligenza e resilienza.  

- **Apprendimento informale**: Senza supervisione, i bambini imparavano a negoziare conflitti, gestire emergenze (es.: un fratello che si ferisce) e costruire gerarchie sociali autonome (il "capobranco"). Oggi, invece, le attività strutturate e il controllo adulto limitano queste dinamiche.  

- **Normalizzazione del rischio**: Graffi, litigi e piccoli pericoli erano parte del gioco, insegnando a calcolare le conseguenze. Il moderno "safetyism" (priorità assoluta alla sicurezza fisica ed emotiva) ha eroso questa tolleranza al rischio, con dibattiti su possibili effetti collaterali (es.: ansia da iper-protezione).  

### **4. Filosofia della nostalgia: il mito dell'infanzia "libera"**  

La citazione è intrisa di nostalgia, ma è cruciale interrogarsi: si tratta di un'idealizzazione?  

- **Nostalgia selettiva**: Chi ricorda quegli anni spesso dimentica i traumi sommersi (es.: bambini che subivano abusi non denunciati, incidenti domestici). La memoria tende a romanticizzare il passato, trasformando la resilienza in un'epica eroica.  

- **Paradosso della libertà**: Quella generazione guadagnò autonomia, ma perse l’innocenza. L’obbligo di "farsi adulti troppo presto" portò alcuni a una maturità forzata, con conseguenze su emotività e relazioni future (es.: difficoltà a chiedere aiuto).  

### **5. Il desiderio di crescere: una fuga verso l'agency**  

Il "ci veniva voglia di essere grandi" non è solo un sogno infantile, ma una reazione concreta alla percezione di impotenza:  

- **Adulti come detentori di potere**: I bambini osservavano che gli adulti decidevano orari, regole, spazi. Diventare grandi significava sfuggire alla condizione di "oggetti passivi" del mondo.  

- **Critica implicita al presente**: Oggi, molti giovani rifiutano l’adultità, percepita come carica di responsabilità senza privilegi (es.: crisi economiche, cambiamento climatico). Il contesto storico modella dunque il desiderio di crescere: ieri fuga dalla vulnerabilità, oggi fuga dall’incertezza.  

### **Conclusione: tra perdita e eredità**  

Quella generazione ha interiorizzato un misto di **resilienza, sospetto e autonomia**, valori che oggi riemergono in forme diverse (es.: movimenti "free-range parenting"). Tuttavia, il confronto tra epoche non deve essere giudicante: ogni contesto storico genera i suoi compromessi. La sfida è riconoscere le ombre del passato (abbandono emotivo, rischi sottovalutati) senza sminuire la sua luce (creatività, adattamento). Forse, il vero "diventare grandi" sta nel trovare un equilibrio tra protezione e fiducia, tra memoria e innovazione.



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