La frase che hai condiviso evoca un ritratto vivido di un'epoca e di un'approccio educativo oggi quasi scomparso, radicato in una generazione che ha vissuto un'infanzia segnata da maggiore autonomia, responsabilità precoce e una certa dose di solitudine. Approfondiremo questa dinamica attraverso diverse lenti: culturale, psicologica, sociale e filosofica.
### **1. Contesto culturale: tra pragmatismo e assenza di "safetyism"**
Negli anni '60-'80, in molte società occidentali (Italia compresa), le famiglie erano spesso numerose, i genitori lavoravano a lungo, e le risorse economiche erano limitate. La figura della babysitter era un lusso per pochi. Questo pragmatismo si traduceva in un'educazione basata sulla **fiducia implicita** nelle capacità dei figli di gestirsi, anche in situazioni di vulnerabilità.
- **Istruzioni minimali**: "Chiudi bene la porta e non aprire a nessuno" era un comando semplice ma carico di significato: i genitori riconoscevano i pericoli (furti, estranei), ma delegavano ai figli la responsabilità di affrontarli.
- **Comunità come rete invisibile**: Spesso i bambini erano lasciati soli, ma in realtà inseriti in un contesto di vicinato solidale. I vicini fungevano da "sorveglianti informali", mitigando i rischi reali. Oggi, invece, la società è più individualista, e la paura del giudizio sociale ha reso i genitori iper-protettivi.
### **2. Psicologia della solitudine: tra paura e desiderio di agency**
Quel "rimanere insieme con aria silenziosa e sospetta" rivela un paradosso emotivo:
- **Paura come catalizzatore di coesione**: L’assenza degli adulti creava un vuoto che i bambini riempivano con la complicità reciproca. Il silenzio non era passivo, ma un **rito di sopravvivenza collettiva**, dove ogni rumore diventava un segnale da decifrare.
- **Pensiero prolungato**: Senza distrazioni tecnologiche, i bambini erano costretti a confrontarsi con il tempo vuoto, alimentando l’immaginazione, ma anche l’ansia. Questo "pensare più a lungo" era un esercizio di **problem-solving anticipatorio**: "Cosa faremmo se qualcuno bussasse? E se i genitori non tornassero?"
- **Desiderio di crescere**: L’adultità era idealizzata come uno stato di controllo sul caos. La vulnerabilità dell’infanzia spingeva a sognare l’autonomia, non per ambizione, ma per necessità esistenziale.
### **3. Sociologia delle generazioni: dal "branco" alla "bolla""**
La generazione descritta è quella dei "figli della libertà vigilata", cresciuti in un limbo tra negligenza e resilienza.
- **Apprendimento informale**: Senza supervisione, i bambini imparavano a negoziare conflitti, gestire emergenze (es.: un fratello che si ferisce) e costruire gerarchie sociali autonome (il "capobranco"). Oggi, invece, le attività strutturate e il controllo adulto limitano queste dinamiche.
- **Normalizzazione del rischio**: Graffi, litigi e piccoli pericoli erano parte del gioco, insegnando a calcolare le conseguenze. Il moderno "safetyism" (priorità assoluta alla sicurezza fisica ed emotiva) ha eroso questa tolleranza al rischio, con dibattiti su possibili effetti collaterali (es.: ansia da iper-protezione).
### **4. Filosofia della nostalgia: il mito dell'infanzia "libera"**
La citazione è intrisa di nostalgia, ma è cruciale interrogarsi: si tratta di un'idealizzazione?
- **Nostalgia selettiva**: Chi ricorda quegli anni spesso dimentica i traumi sommersi (es.: bambini che subivano abusi non denunciati, incidenti domestici). La memoria tende a romanticizzare il passato, trasformando la resilienza in un'epica eroica.
- **Paradosso della libertà**: Quella generazione guadagnò autonomia, ma perse l’innocenza. L’obbligo di "farsi adulti troppo presto" portò alcuni a una maturità forzata, con conseguenze su emotività e relazioni future (es.: difficoltà a chiedere aiuto).
### **5. Il desiderio di crescere: una fuga verso l'agency**
Il "ci veniva voglia di essere grandi" non è solo un sogno infantile, ma una reazione concreta alla percezione di impotenza:
- **Adulti come detentori di potere**: I bambini osservavano che gli adulti decidevano orari, regole, spazi. Diventare grandi significava sfuggire alla condizione di "oggetti passivi" del mondo.
- **Critica implicita al presente**: Oggi, molti giovani rifiutano l’adultità, percepita come carica di responsabilità senza privilegi (es.: crisi economiche, cambiamento climatico). Il contesto storico modella dunque il desiderio di crescere: ieri fuga dalla vulnerabilità, oggi fuga dall’incertezza.
### **Conclusione: tra perdita e eredità**
Quella generazione ha interiorizzato un misto di **resilienza, sospetto e autonomia**, valori che oggi riemergono in forme diverse (es.: movimenti "free-range parenting"). Tuttavia, il confronto tra epoche non deve essere giudicante: ogni contesto storico genera i suoi compromessi. La sfida è riconoscere le ombre del passato (abbandono emotivo, rischi sottovalutati) senza sminuire la sua luce (creatività, adattamento). Forse, il vero "diventare grandi" sta nel trovare un equilibrio tra protezione e fiducia, tra memoria e innovazione.
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