sabato 24 maggio 2025

L’intelligenza artificiale, come un atlante digitale disegnato da pochi, trasforma la ricchezza materiale e culturale del mondo in coordinate computazionali, rischiando di sostituire la pluralità degli sguardi con un’unica mappa proprietaria.

 

1. Che cosa vuol dire che l’IA è un’“industria estrattiva”?

Kate Crawford parla di doppia estrazione: materie prime e dati.

  • Materie prime. GPU, data-center e cavi sottomarini richiedono terre rare, rame, litio e cobalto estratti in miniere spesso localizzate in zone di sfruttamento coloniale, in Africa, Sud-America e Asia.

  • Dati. L’addestramento di modelli su web-scrape, log di interazione e immagini satellitari è anch’esso un processo di mining. A differenza del petrolio, però, i dati vengono continuamente rigenerati dal lavoro – per lo più non remunerato – di utenti e annotatori. (4Books, IRPA)


2. Geografie materiali: energia, acqua, emissioni

L’IA è fisicamente ancorata a data-center energivori che stanno riconfigurando le reti elettriche globali.

  • Secondo studi pubblicati su Joule e IEA, l’IA consuma già fino al 20 % dell’elettricità dei data-center e potrebbe arrivare a quasi metà entro fine 2025; la domanda complessiva dei data-center potrebbe raddoppiare entro il 2030, superando i 900 TWh, più del consumo odierno del Giappone. (WIRED, IEA)

  • Il problema non è solo elettrico: calcolo e raffreddamento richiedono milioni di litri d’acqua dolce all’anno. (Yale e360)
    Questi costi ambientali, spesso nascosti dietro slogan di “dematerializzazione”, definiscono una nuova mappa delle disuguaglianze climatiche.


3. L’arte di fare mappe: dall’atlante cartaceo all’atlante computazionale

Compagnie come Planet Labs o Google Earth Engine scattano l’intero pianeta ogni giorno, offrendo API che trasformano la superficie terrestre in un layer analitico su cui far girare modelli di agricoltura di precisione, finanza o difesa. Chi controlla questi flussi di immagini controlla anche ciò che è “visibile”. (planet.com, Google Earth Engine)

L’atlante digitale non è neutrale: seleziona risoluzione, frequenza e metriche – e, di conseguenza, modella ciò che governi, aziende e cittadini percepiscono come “realtà”.


4. Un paragone storico: le mappaemundi medievali

Le mappaemundi non servivano a navigare ma a insegnare un ordine cosmologico cristiano, con Gerusalemme al centro e Cristo ai margini superiori. Il celebre esemplare di Hereford (c. 1300) integra storia sacra, zoologia fantastica e propaganda teologica nella stessa immagine. (Wikipedia, BBC)

Allo stesso modo, i modelli di IA ordinano il mondo secondo assi logici decisi da un’élite tecnico-finanziaria: i vettori di embedding sostituiscono i meridiani, i prompt sostituiscono i bestiari, i dataset marginalizzano culture e lingue non rappresentate. L’atlante digitale riscrive la gerarchia di ciò che conta.


5. Rischio di monocultura: quando l’atlante diventa il mondo

Se gli strumenti di misura (dataset, benchmark, metriche) sono posseduti dalle stesse aziende che costruiscono i modelli, l’atlante smette di essere un’interpretazione pluralistica e diventa l’unica lente ammessa. L’estrazione di conoscenza si trasforma in potere epistemico: monopolio sugli standard, sui protocolli di ricerca, sulla stessa definizione di “intelligenza”.


6. Prospettive critiche e pratiche di resistenza

  1. Cartografia comunitaria. Progetti come OpenStreetMap dimostrano che mappe e dataset possono essere curati da comunità locali, con governance distribuita.

  2. Trasparenza energetica. Iniziative open come AI Energy Score propongono etichette di efficienza: un primo passo per restituire visibilità ai costi ambientali. (Financial Times)

  3. Arte e contro-immagini. Artisti e designer possono “remixare” dataset per mostrare ciò che i modelli occultano – ad esempio, le zone di sacrificio ambientale dietro un assistente vocale.

  4. Regolazione e antitrust. Senza accesso pubblico alle “materie prime” (dataset, modelli di base, infrastrutture), non c’è concorrenza né pluralismo di sguardi; servono obblighi di data sharing e rendicontazione delle emissioni.


7. Verso un atlante plurale

Un vero atlante dell’IA dovrebbe:

  • mappare non solo l’output dei modelli ma l’intera filiera economica, energetica e politica;

  • integrare metadati contestuali (origine dei dati, footprint, lavoro umano coinvolto);

  • mantenere aperta la possibilità di interpretazioni artistiche che rivelino le pieghe non computabili dell’esperienza umana.

Solo così si passa da una cartografia di dominio a una cartografia critica capace di restituire complessità al mondo e di limitare le pretese totalizzanti dell’industria dell’IA.



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