Carte Zener: ciò che c’è da sapere oltre l’articolo di Gazzetta Quantica #11
1. Perché proprio le Zener?
Nel n. 11 di Gazzetta Quantica si introduceva il mazzo Zener come “misuratore” di facoltà extra-sensoriali. L’idea nasce nel 1930 alla Duke University, dove lo psicologo Karl Zener disegnò cinque simboli geometrici (cerchio, croce, linee ondulate, quadrato, stella) e li ripeté in un mazzo da 25 carte per gli esperimenti del parapsicologo Joseph B. Rhine (it.wikipedia.org).
2. Struttura del mazzo e logica dei simboli
I simboli furono scelti perché:
| Simbolo | Tratti di penna | Motivo di scelta |
|---|---|---|
| Cerchio | 1 | forma primigenia, facilmente riconoscibile |
| Croce | 2 | orientamento ortogonale chiaro |
| Quadrato | 4 | prima figura chiusa con lati |
| Linee ondulate | 3 | figura non‐rigida, rompe la simmetria |
| Stella | 5 | elemento “complesso” ma universale |
La sequenza 1-5 tratti rende i disegni auto-ordinanti e agevola il controllo visivo di eventuali errori durante i test. Ognuno ricorre esattamente cinque volte, così la probabilità casuale di “centrare” una carta è sempre 1/5 = 20 % (it.wikipedia.org).
3. Due protocolli classici
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Telepatia: il mittente vede la carta e “invia” mentalmente il simbolo; il ricevente lo dichiara.
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Chiaroveggenza (o precognizione): nessuno guarda la carta prima della risposta.
Questi due schemi, descritti già da Rhine, appaiono anche nell’articolo divulgativo di Focus (focus.it).
4. Peculiarità (e piccoli difetti) del design
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Neutralità emotiva: i simboli dovevano evitare associazioni culturali forti, ma la stella si rivelò “carica” in molte tradizioni religiose (encyclopedia.com).
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Carta opaca: nelle prime tirature l’inchiostro trapelava sul retro; i soggetti più attenti potevano “leggere” in controluce (encyclopedia.com).
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Ordine di difficoltà crescente: dall’unico tratto del cerchio ai cinque della stella, utile per i controlli rapidi del ricercatore.
5. Statistica minima indispensabile
Su prove valgono i conteggi binomiali (p = 0,20). Per esempio, su 25 tentativi:
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Media attesa: 5 successi.
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Deviazione std: .
Servono quindi 9-10 successi (≥ 2 σ) perché un risultato sia “insolito” a occhiom, ma nelle pubblicazioni si richiede di norma p < 0 ,05 con campioni ben più estesi.
6. Critiche metodologiche storiche
Dagli anni ’30 parecchi psicologi (Cox, Jastrow, Hyman, Alcock) cercarono di replicare Rhine senza successo. I problemi sottolineati sono:
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sensory leakage (si scorge il simbolo in trasparenza o si captano micro-espressioni del tester);
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shuffle bias (sequenze non davvero casuali);
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file-drawer effect (pubblicare solo gli esiti positivi);
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persino casi documentati di imbroglio cosciente (segni sul dorso, codici di tosse).
Le rassegne critiche contemporanee parlano apertamente di procedure “gravemente viziate” (en.wikipedia.org, kevinviner.net).
7. Perché la comunità scientifica le ha abbandonate
Quando si applicarono mescolamenti randomizzati e schermi che impedivano ogni contatto visivo, gli scarti dal 20 % tornarono a livello puramente casuale. Perciò oggi i laboratori di psicologia sperimentale preferiscono paradigmi computerizzati (stimoli a monitor e generatore casuale hardware).
8. Le Zener nel XXI secolo
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Mentalismo e illusionismo: perfette per dimostrazioni “psichiche” (spesso enfatizzate da giochi di forza).
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App mobili e mazzi digitali: su Play Store esistono simulatori che automatizzano estrazione e log.
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Cultura pop: da Ghostbusters a Heroes, fino al romanzo L’Istituto di Stephen King, le carte rimangono un’icona di ESP (it.wikipedia.org).
9. Come testarle oggi in modo corretto (se proprio ci tieni)
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Randomizzatore software o mazzo nuovissimo con retro completamente opaco.
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Schermo tra sperimentatore e soggetto, o automatizzare la lettura del simbolo.
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Campione ≥ 1 000 prove, altrimenti i falsi positivi dilagano.
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Pre-registrazione dell’esperimento e analisi statistica a due code per evitare cherry-picking.
In sintesi
Le carte Zener sono un elegante esperimento di design psicologico: semplici, bilanciate, facili da analizzare statisticamente. Proprio quella stessa semplicità, però, ha aperto la strada a fraintendimenti, errori di procedura e—non di rado—trucchetti consapevoli. Il messaggio che emerge (e che Gazzetta Quantica ha correttamente suggerito di rileggere in chiave critica) è che la buona metodologia resta il vero “potere extra-sensoriale” di qualunque ricerca.
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