venerdì 25 luglio 2025

«Come l’acqua di una cascata che riversa la sua energia nella roccia viva, la potenza di un pensiero gentile si riversa nel cuore di un bambino, scolpendo sentieri di luce che lo guidano verso la cura e la rinascita.»

 

Può un trauma essere “troppo”?

  • Clinicamente parlando, non esiste un “punto di non ritorno”. Anche i traumi precoci e ripetuti (neglect grave, violenza, guerra) possono lasciare segni profondi – problemi di regolazione emotiva, dissociazione, iper‑ o ipo‑arousal – ma il cervello infantile rimane plastico per anni. Le funzioni possono incrinarsi, l’identità può frammentarsi, tuttavia la capacità di apprendere nuove connessioni e di recuperare un senso di sicurezza non si spegne mai.

  • Ciò non significa che la guarigione avvenga da sola. Servono condizioni sufficienti di protezione, relazione e terapia mirata. Senza di esse, il trauma può cristallizzarsi in un disturbo da stress post‑traumatico complesso (C‑PTSD), con forte compromissione sociale e somatica.


Un linguaggio “da fiume” per spiegare il trauma a un bambino

Metafora naturale Che cosa rappresenta Obiettivo psico‑educativo
Il laghetto: acqua ferma, liscia Il corpo quando è calmo Mostrare che la quiete è possibile
Il temporale improvviso L’evento traumatico Normalizzare la reazione di spavento
I tronchi che ostruiscono il ruscello Ricordi dolorosi bloccati Spiegare perché a volte ci si sente “incastrati”
Le dighe mobili Tecniche di regolazione (respiro, grounding) Dare strumenti pratici per “aprire e chiudere” il flusso emotivo
Le anse del fiume Spazi sicuri: gioco, relazione, terapia Insegnare che si può sostare dove l’acqua scorre lenta
La cascata alta Il momento di lasciar andare il peso Offrire la speranza di un rilascio catartico, accompagnato

“Quando i tronchi si sciolgono e l’acqua riprende la sua corsa, arriva una grande cascata. Fa rumore e può spaventare, ma al di là c’è di nuovo il fiume che scorre libero.”

Questa immagine permette al bambino di capire che l’energia accumulata (iper‑attivazione, collera, tremori) non è pericolosa se può defluire in un contesto protetto.


Un percorso in quattro tappe, intrecciando clinica e natura

  1. Stabilizzazione: costruire l’argine
    Creare sicurezza interna ed esterna

    • Ambiente prevedibile, routine, caregiver emotivamente sintonizzati

    • Tecniche “bottom‑up” (respiri a labbro, farfalla EMDR, tapping) per abbassare l’arousal prima di qualsiasi esposizione al ricordo

    • Piccoli rituali quotidiani nella natura (piantare un seme, osservare nuvole) che insegnano ritmo e continuità

  2. Orientamento sensoriale: ascoltare il ruscello
    Riconnettere corpo e sensi

    • Giochi pro‑priocettivi: camminare scalzi sull’erba, tenere in mano pietre fredde‑calde, ascoltare il canto degli uccelli con gli occhi chiusi

    • Diario “meteo‑corpo”: disegnare ogni sera il tempo che “sente” dentro (sole, pioggia, vento)

  3. Elaborazione narrativa: mappare le anse
    Dare un nome e un luogo ai ricordi

    • Terapia focalizzata sul trauma (EMDR, TF‑CBT, gioco di sabbia) trasformata in racconto visivo: il bambino costruisce la “mappa del fiume” segnando dove è avvenuto il temporale, dove ha trovato aiuto, dove vuole mettere ponti

    • Introduzione graduale di esposizione immaginativa, sempre preceduta e seguita da regolazione corporea

  4. Rilascio e integrazione: affrontare la cascata
    Lasciar scorrere l’energia congelata

    • Tecniche somatiche (shake release, push‑pull, yoga per bambini) guidate da un terapeuta: movimento fisico che simula la caduta d’acqua, poi “atterraggio morbido” su cuscini o tappeti

    • Trasformare la cascata in arte: pittura con pennellate verticali, uso dell’acqua che cola sul foglio; raccontare cosa c’è alla base della cascata (pesci, luci, nuove piante)

    • Chiusura con rituale di continuità: portare a casa una piccola pietra levigata dall’acqua, simbolo di forza morbida


Linee guida per adulti di riferimento

  • Sii il “letto del fiume”: non forzare il flusso, contieni e accompagna. Le regressioni sono normali; offri co‑regolazione (voce calma, postura aperta) invece di spiegazioni logiche quando l’emozione è alta.

  • Distingui “sicurezza” da “assenza di stimoli”: un ambiente vuoto può aumentare la dissociazione. Meglio stimoli dolci della natura (suoni, profumi, texture), introdotti gradualmente.

  • Riconosci i micro‑progressi: la plastilina impastata senza romperla, dieci minuti di gioco con un coetaneo, il primo disegno del temporale. Ogni tronco rimosso va celebrato.

  • Inquadra il sostegno professionale: se compaiono flash‑back, autolesioni, crisi di congelamento o rivissuti durante il sonno, coinvolgere un terapeuta specializzato in trauma infantile e, se necessario, un neuropsichiatra per la modulazione farmacologica di sintomi eccessivi.


Perché questo approccio funziona

  1. Integra corpo, emozione e storia: la narrazione mentale da sola non raggiunge le tracce somatiche del trauma; la natura offre stimoli multisensoriali che parlano al sistema nervoso autonomo.

  2. Usa la metafora come linguaggio evolutivamente adeguato: prima degli otto‑dieci anni, il cervello elabora il mondo soprattutto in immagini e sensazioni concrete.

  3. Rende tangibile la speranza: il bambino non deve “credere” alle parole dell’adulto; può vedere e toccare il cambiamento (acqua che scorre, pietra levigata).

  4. Favorisce la co‑regolazione: uscire insieme all’aria aperta allinea il ritmo di respiro, passi, sguardo verso l’orizzonte: è neuroscienza relazionale, non semplice passeggiata.


Se stai aiutando un bambino ora …

  1. Inizia con sessioni di “micro‑natura” (5‑10 minuti): annaffiare una pianta di basilico sul balcone, ascoltare il rumore dell’acqua del lavandino come fosse un ruscello.

  2. Crea un “kit di radicamento”: una piuma, un sassolino liscio, un batuffolo di cotone con due gocce di lavanda; usalo quando vedi che il corpo si irrigidisce.

  3. Non parlare subito del trauma. Prima di attraversare la cascata servono argini solidi: sonno regolare, alimentazione prevedibile, un adulto che confermi “sei al sicuro”.

  4. Cerca una rete professionale: psicoterapia trauma‑informed, eventuale neurofeedback, gruppi di genitori, pediatra aggiornato su ACEs (Adverse Childhood Experiences).

  5. Ricordati che la “guarigione” non è abolire il ricordo ma integrarlo senza che travolga il presente. Quando il bambino potrà raccontare il temporale mentre costruisce barchette di carta nel fiume, saprai che il percorso sta funzionando.


Domanda per te

Il tuo interesse è teorico o stai già seguendo un bambino in concreto? Posso aiutarti con materiali più specifici (schede di gioco, esercizi di respirazione, fiabe terapeutiche) o suggerirti risorse professionali nella tua zona. Dimmi pure di cosa hai più bisogno.




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