lunedì 14 luglio 2025

«Dal fragore del collasso delle illusioni fiorisce la chiarezza, e in quel silenzio limpido possiamo ricostruire, insieme, un futuro vitale per noi e per la Terra.»

 

Oltre le crepe — un invito a risvegliarci

La società non è andata in frantumi: ha semplicemente tolto il velo, lasciando che le sue linee di frattura affiorassero in piena luce. In questo disvelamento molti hanno visto “crollo” — ma ciò che sta crollando non sono le fondamenta dell’umanità, bensì le illusioni con cui, per comodità o paura, ricoprivamo la realtà.
Proprio qui, in mezzo al rumore dei detriti simbolici, si apre — inaspettato e luminoso — uno spazio di chiarezza. Sta a noi abitarlo e trasformarlo in possibilità.


1. Osservare senza veli

Ogni sistema umano — economico, politico, culturale — porta in sé crepe: disuguaglianze, sprechi, ingiustizie, violenze invisibili. Finché restano nascoste, continuiamo a credere nella narrativa della stabilità. Quando invece affiorano, la tentazione è dichiarare la “fine del mondo”.
Ma la fine del mondo, quasi sempre, è solo la fine di un mondo: di una forma di pensiero, di una catena di abitudini. Osservare le crepe, senza cedere al cinismo, è il primo atto di cura che possiamo offrire alla comunità e al pianeta.

2. Dal collasso alla coscienza

Le scie di fumo sopra città lontane, gli oceani che inghiottono coste, i campi inariditi — tutto sembra sussurrare la stessa domanda: «Che parte ho io in questa storia?»
Se rispondiamo con la paura, cerchiamo di ricostruire in fretta ciò che era, rincorrendo un passato che non tornerà. Se rispondiamo con responsabilità, riconosciamo che il collasso è — paradossalmente — un invito ad abitare la Terra con occhi nuovi:

  • Dalla proprietà all’interdipendenza. Non possediamo il pianeta; siamo cellule di un unico organismo vivente.

  • Dalla competizione al mutuo sostegno. In sistemi complessi, la cooperazione non è idealismo; è strategia di sopravvivenza.

  • Dall’estrazione alla reciprocità. Ogni risorsa prelevata necessita di un gesto restitutivo: riforestare, rigenerare, rammendare tessuti sociali.

3. Coltivare speranza attiva

La speranza non è un balsamo narcolettico; è un muscolo da allenare. Ecco tre esercizi quotidiani:

  1. Micro-coraggio: un commento gentile contro la retorica dell’odio, una domanda scomoda in riunione, una firma per chi non ha voce.

  2. Ecologia interiore: prima di piantare alberi fuori, estirpiamo dentro di noi il disincanto che dice “non serve a nulla”. La qualità del nostro ascolto plasma le azioni che seguono.

  3. Visione condivisa: incontriamoci per raccontare futuri desiderabili, non solo distopie. La mente collettiva si nutre di immagini: diamole nutrimento vivo.

4. Un pianeta da sentire, non solo da salvare

La Terra non chiede carità, chiede relazione. Sentire significa:

  • Camminare senza auricolari, riconoscendo il fruscio di una foglia come linguaggio.

  • Consumare prodotti locali con gratitudine, sapendo che ogni boccone è storia di suolo e di mani.

  • Celebrare le stagioni, per ricordare che lo scorrere del tempo non è lineare ma ciclico — e in ogni ciclo c’è rinascita.

5. Educare allo stupore

Quando un bambino osserva una formica trasportare un seme, sta studiando logistica, biologia, collaborazione. Diamo a quell’atto il peso che merita. L’educazione che serve oggi non è un’iniezione di dati, ma un insegnamento di sguardo: allenare l’attenzione a cogliere la meraviglia nascosta nel quotidiano. Da lì germogliano rispetto e azione.


Verso un nuovo patto di co-creazione

Il collasso delle illusioni ci libera dall’ingombro del “si è sempre fatto così”. Sul terreno nudo possiamo seminare:

  • Governi che misurano il ben-essere più del PIL.

  • Città-bosco in cui il cemento lascia spazio a corridoi verdi.

  • Tecnologie rigenerative che imitano i processi naturali, restituendo più energia di quanta ne consumino.

  • Economia della cura, dove il lavoro invisibile di chi accudisce persone e luoghi diventa pilastro riconosciuto.

Nessuna di queste visioni è utopia astratta: sono semi già sparsi in comunità resilienti, cooperative, laboratori di quartiere. Hanno bisogno di acqua — investimenti, competenze, fiducia — e di luce: il nostro sguardo vigile, la nostra scelta quotidiana.


Conclusione: la caduta come slancio

Immaginati su un tratto di fiume in piena. Il ponte alle tue spalle crolla; ti senti perso. Ma l’acqua che ti bagna i piedi è la stessa che può trasportarti verso una riva più fertile, se impari a leggere le correnti.
Così è la nostra epoca: i rumori del cedimento possono spaventarci, oppure diventare la percussione che guida il battito di un nuovo inizio. La chiarezza nata dal collasso non ci consegna soluzioni pronte; ci consegna libertà creativa.

Scegliamo, allora, di essere generazione di ricostruttori: non mattoni sulla vecchia mappa, ma architetti di un paesaggio dove la dignità dell’umano e la salute del pianeta siano la stessa architrave.
Ogni gesto, anche minimo, che compiamo oggi — dalla parola seminata all’albero piantato — risuonerà domani in un coro più ampio di solidarietà.

E quando, fra anni, guarderemo indietro, potremo dire: “Non abbiamo assistito passivi al crollo; abbiamo scorto, tra la polvere, il disegno di una casa nuova — e, insieme, l’abbiamo edificata.”



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