venerdì 18 luglio 2025

Il risveglio spirituale è la semplicità lucente dell’Essere che sfugge a ogni definizione non appena la mente tenta di imprigionarla in parole.

 

Perché il risveglio spirituale appare vago? Una lente sulla sua (apparente) complessità

1. Introduzione – l’enigma dell’ineffabile

Chi ha assaporato, anche solo per un istante, la quiete senza forma a cui ci si riferisce come “risveglio” sa che parlarne è come tentare di imbottigliare il vento: si percepisce, si vive, ma sfugge non appena lo si stringe tra le dita. Da qui nasce la sensazione di vaghezza che tanti imputano all’esperienza spirituale. In questo articolo ci addentriamo nelle ragioni profonde di tale difficoltà, scoprendo che la complessità non risiede nel risveglio in sé, bensì nel tentativo di tradurlo in concetti.

2. Risveglio: esperienza pre‑concettuale

Il risveglio non è un oggetto della coscienza ma il dissolversi – anche solo temporaneo – della separazione soggetto‑oggetto. Con “visione diretta” si indica proprio questo svelamento immediato, privo di mediazione mentale. Poiché avviene prima dell’elaborazione concettuale, ogni descrizione arriva dopo il fatto, come un’eco pallida di un suono già svanito.

3. I limiti intrinseci del linguaggio

Il linguaggio è una mappa costruita per orientarsi nel mondo duale: nomina, divide, definisce. Il risveglio, invece, smaschera l’unità indifferenziata che precede tali distinzioni. Chiedere alle parole di contenere ciò che è pre‑verbale equivale a pretendere che una fotografia restituisca il profumo dell’aria di montagna: può suggerirlo, ma non sostituirlo.

4. L’ego e la necessità di chiarezza

Il “me” psicologico, abituato a controllare attraverso spiegazioni, incontra nel risveglio un paradosso: più cerca di afferrarlo, più se ne allontana. Il bisogno di definire nasce dalla paura del non‑sapere; eppure il risveglio fiorisce proprio nell’intimità col mistero. È come guardare il cielo stellato: l’immensità è comprensibile solo quando ci si arrende al suo silenzio.

5. Paradosso come strumento di scuotimento

Da millenni le tradizioni non duali impiegano koan, apofasi (“via negativa”) e metafore illogiche per destabilizzare l’intelletto. Il famoso “il dito indica la luna” ricorda che le parole puntano, ma non sono la luna. Questo linguaggio volutamente paradossale appare oscuro solo se lo si analizza logicamente; la sua funzione è, invece, far cedere la presa del ragionamento lineare.

6. Analoghi sensoriali: il colore ai non vedenti

Spesso si paragona il risveglio al tentativo di spiegare il rosso a chi è nato cieco. Si può parlare di lunghezze d’onda, di emozioni che evoca, di simbolismi culturali; tuttavia, finché non sorge la percezione diretta, la descrizione resta un contorno senza sostanza. Il confronto illumina la distanza tra concetto e esperienza vissuta.

7. Molteplicità di linguaggi spirituali

Zen, Advaita, Sufismo, Mistica cristiana, sciamanesimo: ogni sentiero utilizza lessici, simboli e mappe diverse. Chi legge testi di tradizioni differenti può restare confuso da termini apparentemente inconciliabili. In realtà, tali vocaboli si riferiscono allo stesso nucleo d’esperienza, ma filtrato da culture, epoche e temperamenti divergenti.

8. Tempo lineare vs. eternità dell’Essere

L’io organizzatore si muove su una linea temporale fatta di passato, presente e futuro. Il risveglio, invece, svela l’“adesso” come unica realtà; non è un evento che accade nel tempo, ma lo sfondo senza tempo che sempre è. Tentare di collocarlo in una cronologia produce inevitabilmente confusione.

9. Quando spiegare aggiunge veli

Più si stratificano parole, teorie, mappe dei chakra o fasi di illuminazione, più si rischia di trasformare la semplicità dell’Essere in un labirinto mentale. Da qui la sensazione che “il risveglio sia complicato”. In verità, la complessità è introdotta dal nostro bisogno di classificare ciò che, per sua natura, è vivo e libero da ogni etichetta.

10. Strategie per comunicare l’ineffabile

  1. Metafore vive – Usare immagini quotidiane (onda‑oceano, specchio‑riflesso) che accendano l’intuizione più che il ragionamento.

  2. Silenzio condiviso – A volte un momento di silenziosa presenza veicola più comprensione di mille parole.

  3. Domande aperte – Invitare l’altro a esplorare direttamente (“Chi sono io prima del pensiero?”) facilita un apprendimento esperienziale.

  4. Onestà nell’ammissione del limite – Riconoscere che ogni spiegazione è parziale allenta la pressione e mantiene vivo il mistero.

11. Conclusione – dall’articolazione alla visione

Il risveglio è semplice perché è ciò che siamo prima di sovrapporvi idee su di esso. La sua apparente vaghezza affiora quando tentiamo di ridurlo a concetto. Se accettiamo che la mente non possa catturare l’infinito, le parole tornano a essere ciò che sono: indicazioni provvisorie. Allora la complessità si scioglie e resta la trasparente immediatezza dell’Essere che, silenziosamente, illumina ogni esperienza – compresa questa stessa lettura.



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