venerdì 18 luglio 2025

Nell’attimo in cui riconosci di essere la consapevolezza senza confini, la paura svanisce come nebbia al sole.

 

Oltre il Velo della Paura

Come l’autorealizzazione dissolve il senso di separatezza e apre la via alla libertà interiore


1. Introduzione – La radice nascosta della paura

Ogni timore, dal tremore leggero prima di parlare in pubblico alla vertigine esistenziale di fronte alla morte, affonda in un presupposto tacito: “Io sono questo corpo‑mente, fragile e finito.” Quando crediamo di essere entità isolate, separate dal resto del mondo, la vulnerabilità diventa la nostra compagna costante: il corpo può ammalarsi, la mente può essere ferita, le relazioni possono spezzarsi. Da qui germoglia la paura.

L’autorealizzazione — la piena esperienza di ciò che siamo al di là di ogni fenomeno transitorio — non è un traguardo mistico riservato a pochi eletti; è il riconoscimento lucido, diretto e gratuito dell’immutabile consapevolezza che permea ogni istante della nostra vita. Quando questo riconoscimento si stabilizza, la radice stessa della paura viene sradicata.


2. Dalla credenza alla visione diretta

  • Credenza di separatezza
    La maggioranza delle nostre paure nasce da una narrativa interiore che ripete: “Io sono un soggetto qui in lotta con un mondo là fuori.” Finché questa ipnosi dualistica non viene smascherata, ogni strategia per “gestire” la paura assomiglia a tagliare l’erba senza strappare le radici: l’ansia ricrescerà.

  • Visione non‑dualista
    L’autorealizzazione infrange il dualismo: si scopre che il “soggetto” e l’“oggetto” sorgono simultaneamente nella stessa coscienza. Quando la mente si volta verso la fonte da cui emergono pensieri, ricordi e sensazioni, s’imbatte in uno spazio consapevole che non può essere oggetto di conoscenza — perché è già il conoscitore. In quella visione‑di‑sé la paura non trova terreno.


3. “Io non sono il corpo” — Liberazione dal timore fisico

Finché ci identifichiamo con il corpo, ogni minaccia alla sua integrità scatena reazioni di sopravvivenza. Ma nel momento in cui si comprende, con chiarezza immediata, che il corpo è un’esperienza in noi — così come in noi appaiono e scompaiono sogni o ricordi — accade un cambio di paradigma:

Il corpo diventa una corrente nel fiume della consapevolezza, non l’argine che la delimita.

Ciò non significa ignorare il benessere fisico; significa prendersene cura senza l’appendice del panico. Il dolore potrà sorgere, ma non verrà amplificato dal pensiero: “Questo dolore colpisce ciò che sono.” È l’equivalente spirituale di togliere la scintilla da una miccia.


4. “Io non sono la mente” — Fine della prigionia psicologica

La paura psicologica è figlia delle proiezioni mentali: anticipazioni di scenari futuri, attaccamenti a ricordi passati, giudizi su noi stessi. Nel riconoscere che pensieri ed emozioni non sono altro che onde che si sollevano e si abbassano nella medesima coscienza, il Sé smette di essere prigioniero dello spettacolo mentale.

  • I pensieri impauriti diventano nuvole in cielo: li si vede formarsi, muoversi e dissolversi senza che il cielo perda mai la sua vastità.

  • La mente si trasforma in strumento: da tiranno si fa serva, utile per la vita pratica ma incapace di definire la nostra identità.


5. Il Sé: eterno, intoccabile, libero

Tutte le tradizioni sapienziali convergono sull’intuizione che ciò che realmente siamo è atemporale: chiamalo Ātman, Natura di Buddha, Spirito, Presence. Ciò che non nasce non può morire; ciò che non inizia non può finire; ciò che è intero non può essere minacciato.

Quando questa verità smette di essere concetto e diventa vissuto, la paura “perde la presa”, come un’ombra che svanisce al primo raggio di sole. Anche gli eventi più drammatici — la perdita di un lavoro, un lutto, la consapevolezza della propria mortalità — vengono sperimentati su due livelli: uno relativo, con la dovuta sensibilità umana, e uno assoluto, dove il Sé rimane intatto, immobile, perfetto.


6. Dalla conoscenza alla vita quotidiana

Autorealizzarsi non è ritirarsi dal mondo ma vivere nel mondo da una prospettiva emancipata. Alcune implicazioni pratiche:

  1. Coraggio spontaneo
    L’azione nasce non dal bisogno di difendersi ma da un impulso creativo, privo di ansia circa il risultato.

  2. Relazioni trasparenti
    Sapendo di non poter essere realmente feriti nell’essenza, si abbandona la maschera della difesa; l’intimità fiorisce.

  3. Responsabilità autentica
    Riconoscere l’unità non porta fatalismo; al contrario, motiva a prendersi cura dell’apparato corpo‑mente e del pianeta come di una sola continuità vivente.

  4. Gioia intrinseca
    La gioia non è più un premio per aver eliminato tutti i pericoli, ma la fragranza naturale dell’Essere, presente perfino in mezzo al cambiamento.


7. Come stabilizzarsi in questa visione

  • Auto‑indagine (ātma‑vichāra): “Chi sono io?” spinge la mente a ritrarsi nella sua fonte.

  • Meditazione di pura presenza: stare in silenzio consapevole finché pensatore e pensiero si fondono nella chiarezza.

  • Satsang e letture ispiranti: la compagnia di chi vive da questa verità mantiene acceso il fuoco della comprensione.

  • Servizio disinteressato (seva): agire senza rivendicare i frutti riduce l’ego residuo.


8. Conclusione – La fusione di paura e libertà

Quando la percezione si allinea alla realtà — io sono il campo illimitato in cui tutto appare e scompare — avviene un paradosso luminoso: la paura non viene “combattuta” né “trascesa”; semplicemente si dissolve, come sale in acqua.

Nella Conoscenza (Knowing) la paura si fonde con la libertà: ciò che temeva di morire scopre di non essere mai nato. In questo riconoscimento, ogni istante diventa celebrazione silenziosa di ciò che è eterno, immutabile, senza forma eppure intimamente presente come il sapore stesso dell’esistenza.

E così, liberi di essere, abbracciamo la vita senza armatura, poiché l’unico vero rischio sarebbe dimenticare di essere già, da sempre, quella pace che cercavamo.




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