Se la vita è un sogno, quando ci svegliamo? — Un viaggio oltre la ricerca
1. Introduzione
Quante volte, nella quiete notturna, ci siamo chiesti se non stessimo semplicemente sognando — e, se così fosse, a che ora sarebbe fissato l’allarme? La domanda, posta dalla filosofia indiana dell’Advaita Vedānta a Cartesio fino a Matrix, punta dritta al cuore della nostra esperienza: Cosa rende “reale” la realtà? Eppure, secondo la tradizione non‐duale, mettere l’ora della sveglia è già un errore di prospettiva. Non ci si “sveglia” mai, perché non si è mai davvero addormentati. L’unico a sognare è la mente; tu, la consapevolezza che nota il sogno, sei sempre desto.
2. La metafora del sogno
Immagina di trovar‑ti in un sogno nitidissimo: colori vivi, emozioni intense, una trama avvincente. Finché credi al sogno, tutto appare drammaticamente vero. Allo stesso modo, l’io psicologico — il personaggio che interpreti — vive in un universo di urgenze, obiettivi, paure.
“Il sogno è un teatro dove il sognatore è al contempo scena, attore, suggeritore e spettatore.”
— Jorge Luis Borges
Quando, al mattino, ti svegli, nessuna azione eroica è necessaria: il sogno cade da sé — semplicemente perché smette di essere alimentato dall’attenzione. La mente, con le sue storie, svanisce come foschia al sorgere del sole.
3. Mentre il sogno accade
Contrariamente a quanto si pensa, il risveglio non è un evento futuro, ma un riconoscimento presente: la consapevolezza di essere già la luce che illumina il sogno. Ecco perché grandi maestri usano frasi paradossali:
-
“Ora è sempre l’ora della veglia.”
-
“Non hai mai dormito.”
Queste affermazioni mirano a spezzare il fascino ipnotico della ricerca temporale: “Mi illuminerò un giorno.” Quel “giorno” è un concetto mentale, dunque ancora nel sogno.
4. Il punto di svolta: smettere di cercare
Il motore del sogno è la tensione verso “altro”: più felicità, più comprensione, più perfezione. L’io si percepisce incompleto, quindi cerca incessantemente. Quando la ricerca collassa — talvolta dopo anni di meditazione o semplicemente in un attimo di resa — accade qualcosa di sorprendente: il sogno si dissolve da solo.
Non è un atto di volontà, ma l’esaurirsi della stessa volontà di alterare ciò che è. È qui che sorge il malinteso: la mente interpreta la resa come fallimento, ma la consapevolezza la riconosce come libertà.
5. Tu sei il testimone silenzioso
Nella tradizione buddhista si parla di Rigpa; nei testi vedāntici, di Ātman: la pura presenza che osserva senza giudicare. Questo testimone non è una cosa nascosta da raggiungere, è l’evidenza semplice di “esserci”, prima di ogni pensiero.
Esercizio lampo:
-
Chiudi gli occhi per qualche secondo.
-
Nota i pensieri che emergono e svaniscono.
-
Domandati: “Quello che nota i pensieri… è forse un pensiero?”
La risposta intuitiva è no. Ciò che osserva è spazio di consapevolezza: vasto, immutabile, mai nato, mai addormentato.
6. Il paradosso del risveglio
Dire “mi sono risvegliato” è come dire “sono presto arrivato tardi”. L’espressione ha senso soltanto dal punto di vista del personaggio che ora nota di non essere reale. Per la consapevolezza, non c’è stato alcun cambio di stato. Da qui la celebre frase zen:
“Prima dell’illuminazione: tagliare la legna, portare l’acqua.
Dopo l’illuminazione: tagliare la legna, portare l’acqua.”
Gli eventi continuano, ma la tensione a manipolarli scompare. Ci si ritrova a vivere con semplicità, perché il senso di mancanza — sogno primario dell’ego — è stato visto attraverso.
7. Pratiche contemplative (senza cercare di “ottenere” nulla)
| Pratica | Suggerimento d’uso | Perché funziona |
|---|---|---|
| Self‑inquiry (Chi sono io?) | Rivolgi la domanda alla sensazione di “io” e lascia che si dissolva | Erosione dell’identificazione con il pensatore |
| Meditazione senza oggetto | Siedi e resta aperto a ciò che appare, senza focalizzare | Familiarizzazione con la natura aperta della mente |
| Visione non‑dualista in azione | Durante attività quotidiane, nota la simultaneità di agente/azione | Smonta il senso di separazione soggetto‑oggetto |
| Letture contemplative | Testi di Ramana Maharshi, Nisargadatta, Huang Po | Linguaggio che punta oltre se stesso |
Importante: qualunque pratica diventa controproducente se è motivata da mancanza. Usala come celebrazione del presente, non come biglietto per un futuro immaginario.
8. Implicazioni etiche e quotidiane
Se davvero non c’è un “io” separato, la compassione diventa spontanea: aiutare l’altro è aiutare se stessi, perché non c’è “altro”. Da qui scaturiscono:
-
Responsabilità senza colpa: rispondi alle circostanze senza l’autoflagellazione del “dovevo fare diversamente”.
-
Creatività senza ansia: l’arte emerge liberamente, poiché non deve provare il proprio valore.
-
Amore senza possesso: relazionarsi con gli altri non più per colmare un vuoto, ma per il puro piacere di condividere l’essere.
9. Conclusione: non c’è nulla da cui risvegliarsi
La ricerca finisce dove è iniziata: qui. Nel riconoscere che l’adesso non necessita miglioramento, il sogno si rivela per quello che è — una danza di forme effimere sulla tela immutabile della consapevolezza.
La prossima volta che ti chiedi “Quando mi sveglierò?”, ricorda: l’orologio era in vendita solo nel sogno. L’unica “ora” è questo istante, e questo istante è già interamente desta.
“Ciò che è reale non può essere minacciato.
Ciò che è irreale non esiste.
In questo si riconosce la pace di Dio.”
— A Course in Miracles
(Se desideri il testo in un formato scaricabile o vuoi rivedere sezioni specifiche più in dettaglio, fammi sapere: posso esportarlo o creare una bozza modificabile.)
Nessun commento:
Posta un commento