Maltrattamento psicologico normalizzato: quando la società “gioca” con le persone
Come si spezza un gioco crudele che trasforma le persone in merce di scambio?
Premessa
C’è un tipo di violenza che non lascia lividi ma costruisce gabbie: il maltrattamento psicologico agito da famiglie, gruppi e istituzioni. Non è un incidente: spesso è un gioco—di potere, di status, di appartenenza—che si regge su favori reciproci, doppi standard e sulla riduzione di qualcuno a “risorsa” da scambiare. Qui esploriamo le dinamiche, gli effetti e le vie d’uscita.
Come opera il “gioco”
In famiglia
Capro espiatorio: un membro prende la colpa sistematica per mantenere la falsa armonia.
Gaslighting: si riscrive la realtà finché la persona dubita della propria memoria e lucidità.
Triangolazione: si mettono le persone una contro l’altra per controllarle.
A scuola, all’università, al lavoro
Bullismo relazionale: esclusione mirata, voci, silenzi punitivi.
Mobbing e gatekeeping: ostacoli nascosti alla carriera, regole non scritte che cambiano per alcuni e non per altri.
Doppi legami (double bind): qualunque scelta fai, “sbagli”.
Nelle reti di potere
Clientelismo e nepotismo: le opportunità circolano tra “già dentro”, non per merito.
Favori per favori: il valore di una persona è misurato in utilità, non in dignità.
Deumanizzazione: si parla di “pedine”, “profili”, “contatti”—la persona è merce.
Segnali di allarme
Ti senti in perenne colpa ma non sai per cosa.
Le regole cambiano quando ti avvicini a un traguardo.
Ti dicono che sei “troppo sensibile” mentre minimizzano fatti concreti.
Vedi favori invisibili: altri ottengono passaggi di livello senza processi chiari.
Hai paura di parlare perché temi ritorsioni o isolamento.
Effetti sulla psiche e sulla vita
Ipervigilanza e ansia, difficoltà di concentrazione.
Vergogna appresa e ritiro sociale.
Impotenza appresa: smetti di tentare, pensando che nulla cambierà.
Conseguenze pratiche: carriere bloccate, dipendenza economica, isolamento.
Perché è così difficile uscirne
Isolamento mirato: ti separano da alleati reali.
Reputazione manipolata: ti dipingono come “problematico”.
Ricompense intermittenti: ogni tanto ti danno qualcosa per farti restare.
Norme culturali: “si è sempre fatto così”.
Cosa puoi fare (senza colpevolizzarti)
1) Rinomina il gioco
Dare il nome a ciò che accade (gaslighting, mobbing, favoritismi) è il primo atto di libertà.
2) Confini chiari
Risposte brevi, no al sovraspiegare.
Mantieni conversazioni su canali tracciabili (email, messaggistica aziendale).
3) Documenta
Tieni un diario dei fatti (date, chi, cosa, testimoni).
Conserva screenshot e documenti in una cartella sicura (anche offline).
4) Costruisci alleanze
Cerca alleati silenziosi: non serve che siano amici, basta che credano nei processi giusti.
Valuta mentor esterni alla rete che ti danneggia.
5) Igiene digitale
Evita di discutere in chat private con chi manipola.
Rimuovi accessi superflui ai tuoi spazi online.
6) Supporto professionale
Un/una professionista della salute mentale può aiutare a de-normalizzare la violenza psicologica.
Se in ambito lavorativo, valuta un consulente legale o sindacale per mappare i rischi.
7) Strategia d’uscita (anche graduale)
Definisci micro-obiettivi (es. 3 candidature a settimana, 1 colloquio informativo).
Prepara un piano B economico e logistico prima della rottura.
Cosa possiamo fare come comunità
Trasparenza nei processi di selezione e avanzamento.
Regole anti-conflitto d’interesse e controlli indipendenti.
Canali sicuri di whistleblowing e protezione reale per chi segnala.
Educazione emotiva nelle scuole e nelle famiglie.
Cultura del feedback costruttivo e delle scuse pubbliche quando si sbaglia.
Checklist pratica: i primi 30 giorni
Settimana 1: diario dei fatti, mappa delle relazioni; pausa dagli scambi tossici.
Settimana 2: definisci 3 confini non negoziabili; aggiorna CV/portfolio.
Settimana 3: contatta 5 persone fuori dal “giro” per colloqui informativi.
Settimana 4: avvia 2 azioni concrete (candidature, consulenza, cambio team) e pianifica tempi/uscita.
Domande guida per ritrovare la bussola
Quali fatti documentabili smentiscono la narrativa su di me?
Quali spazi (fisici o digitali) mi fanno sentire rispettato/a?
Chi trarrebbe vantaggio dal mio silenzio? Chi dal mio cambiamento?
Quali confini posso applicare già oggi?
Linguaggio che cura
Sostituisci “sono sbagliato/a” con “sto vivendo un contesto scorretto”.
Da “devo farmi perdonare” a “posso chiedere chiarezza”.
Da “non ho scelta” a “posso preparare opzioni”.
Conclusione
Spezzare il “gioco” significa rifiutare la logica della merce e riaffermare la dignità come metrica. Non è facile, non è rapido, ma è possibile: un passo dopo l’altro, con alleanze, prove alla mano e confini netti. Nessun favore vale la tua umanità.
Nota di sicurezza: se percepisci un rischio per la tua incolumità, cerca subito supporto da servizi di emergenza locali o da professionisti qualificati. Se vuoi, posso aiutarti a trovare risorse nella tua zona.
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