lunedì 22 settembre 2025

La coscienza è il cielo immutabile, l’identità sono le nuvole che vi scorrono: chi guarda oltre la forma, scopre l’infinito Io Sono.



Coscienza e Identità: la Luce e la Forma

La coscienza è la luce. L’identità è la forma che sembra assumere.

È un’immagine potente: la luce non ha bisogno di forma, ma nel momento in cui illumina un oggetto, questo appare e prende consistenza. Così accade a noi: siamo coscienza pura, ma quando la luce si riflette in pensieri, emozioni, ruoli, nasce un senso di “identità”.

La coscienza vede, l’identità interpreta

La coscienza osserva, è presenza silenziosa, aperta, senza giudizio.
L’identità invece si arroga il ruolo del veggente: dice “sono io che vedo, sono io che penso, sono io che decido”. In realtà non è altro che un riflesso temporaneo, un’immagine creata dalla mente.

E qui si nasconde il paradosso: la coscienza non cambia mai, resta immobile e luminosa; l’identità, invece, è mutevole. Cambia con l’età, con i contesti sociali, con i ricordi, con le storie che raccontiamo su di noi.

“Io sono questo” contro “Io Sono”

L’identità dice: “Io sono un uomo, una donna, un professionista, un genitore, un credente, un cercatore”. Si identifica con forme, ruoli, definizioni.
La coscienza non aggiunge nulla, non ha bisogno di etichette. Dice semplicemente: “Io Sono”.

Questa differenza, apparentemente sottile, è la chiave di una trasformazione interiore. Quando ci spostiamo dall’identità alla coscienza, ci accorgiamo che non siamo i nostri pensieri, né le nostre emozioni, né i nostri ruoli sociali. Siamo la luce che li attraversa.

Vivere dalla coscienza

Vivere ancorati all’identità significa oscillare continuamente tra gioia e frustrazione, successo e fallimento, riconoscimento e rifiuto.
Vivere dalla coscienza significa scoprire un centro stabile, una pace che non dipende da nulla di esterno. È come tornare alla sorgente, dove non c’è bisogno di definizioni, perché la vita stessa si manifesta nella sua purezza.


👉 Domanda per chi legge: ti senti più spesso la coscienza che osserva o l’identità che si racconta?




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