Perché ci piace trovare difetti negli altri?
Un’analisi tra psicologia, cultura e media contemporanei
Guardarsi intorno oggi significa osservare un mondo che corre veloce, dove l’apparenza spesso precede la sostanza. A 67 anni ho avuto il privilegio di osservare più decenni di trasformazioni sociali, e una domanda mi accompagna da tempo: perché tante persone sembrano divertirsi a trovare difetti negli altri?
Un atteggiamento che pare diffondersi con maggiore frequenza negli ultimi anni, quasi come se fosse diventato parte integrante del nostro modo di comunicare.
La radice psicologica: potere e confronto
Criticare gli altri, o metterne in evidenza i difetti, può dare l’illusione di superiorità. È un meccanismo antico: abbassare l’altro per sentirsi più in alto.
La psicologia sociale lo spiega attraverso la teoria del confronto sociale: l’individuo costruisce la propria identità osservando e valutando gli altri. Se metto in risalto i limiti altrui, il mio ego ne trae un immediato vantaggio. È un piccolo, effimero atto di potere.
La lente amplificatrice dei media
Negli anni Sessanta e Settanta, il pettegolezzo restava nei bar o nei salotti privati. Oggi, invece, cinema, televisione e soprattutto social media hanno amplificato e spettacolarizzato questa inclinazione umana.
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Cinema e TV: i reality show e certi programmi di intrattenimento hanno normalizzato la derisione. La “cattiveria” è diventata intrattenimento: la battuta pungente del giudice, la litigata in diretta, il ridicolizzare l’errore di un concorrente.
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Social media: qui la dinamica si moltiplica. I commenti negativi, le critiche feroci e il “body shaming” trovano terreno fertile. Dietro l’anonimato o la distanza dello schermo, molti si sentono liberi di esprimere giudizi che forse, faccia a faccia, non avrebbero mai il coraggio di pronunciare.
Il risultato? La critica è diventata visibile, pubblica e contagiosa.
Il bisogno di sentirsi parte di un gruppo
Un altro fattore culturale è la dinamica del branco. Criticare un personaggio pubblico, o anche un conoscente, diventa un modo per sentirsi parte di un gruppo che “vede” meglio degli altri. Il “noi contro lui/lei” crea coesione momentanea, un senso di appartenenza che compensa la solitudine diffusa del nostro tempo.
L’aumento o solo un riflettore più forte?
La vera domanda è: questa tendenza è davvero aumentata o oggi la notiamo di più?
Probabilmente entrambe le cose. Da un lato, i media la stimolano e la premiano: i contenuti che suscitano indignazione o ironia si diffondono più velocemente. Dall’altro, la visibilità di ogni gesto e parola, documentata e condivisa online, ci espone inevitabilmente a più critiche.
Un tempo i difetti erano discussi solo nel privato. Oggi, con una foto o un post, chiunque può diventare bersaglio di un giudizio planetario.
Come rispondere a questa tendenza
Se la critica è inevitabile, possiamo però scegliere come reagire.
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Coltivare empatia, ricordando che ogni difetto è spesso il rovescio di una fragilità.
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Praticare il silenzio consapevole: non tutto merita un commento.
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Ricordare che la vera superiorità non sta nel trovare difetti, ma nell’aiutare gli altri a valorizzare i propri pregi.
Conclusione
Forse i film, la televisione e i social media non hanno inventato la critica, ma l’hanno resa spettacolo e merce di scambio. Il nostro compito, come individui consapevoli, è non cadere nella trappola di credere che il valore umano si misuri nella capacità di giudicare gli altri.
In un’epoca di sovraesposizione, il vero atto rivoluzionario è coltivare rispetto e gentilezza.
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