Titolo: Neti Neti: il fuoco della negazione e la rivelazione del Sé
Nel cuore della filosofia vedantica esiste una chiave antica, semplice e radicale: “Neti Neti”, espressione sanscrita che significa “non questo, non quello”. Due parole soltanto, ma capaci di smontare la più grande illusione di tutte — quella di essere ciò che crediamo di essere.
“Neti Neti” non è una formula, né un mantra da ripetere meccanicamente. È un processo di disidentificazione, un cammino verso la nuda verità dell’essere. Non aggiunge nulla, non promette una meta lontana, non costruisce nuove credenze. Fa esattamente il contrario: toglie, brucia, dissolve.
1. L’arte di negare per scoprire
Quando dici “non questo, non quello”, stai compiendo un gesto di grande potenza interiore.
Tu non sei il corpo — perché il corpo cambia, invecchia, si rinnova a ogni respiro.
Tu non sei la mente — perché la mente è un flusso incessante di pensieri che vanno e vengono.
Tu non sei le emozioni, né la storia che ti racconti ogni giorno.
Ogni volta che dici “non questo”, “non quello”, stai scrostando gli strati dell’illusione, come chi rimuove la polvere da uno specchio antico. Sotto quella superficie opaca, lentamente, emerge qualcosa di immobile, di silenzioso, di eterno: il Sé, la pura consapevolezza che osserva tutto, ma non è toccata da nulla.
2. Il silenzio come rivelazione
La mente cerca sempre qualcosa: un significato, un’esperienza, un traguardo spirituale. Ma “Neti Neti” non offre nulla da afferrare. È un sentiero che conduce al silenzio, perché ciò che rimane dopo la negazione non può essere espresso in parole.
Quando tutto ciò che non sei è stato bruciato, non resta che la quiete. Non una quiete forzata o costruita, ma la pace che emerge spontaneamente quando il rumore della mente tace.
L’illuminazione, allora, non è un punto d’arrivo. È la rivelazione di ciò che è sempre stato.
3. Il fuoco della negazione
“Neti Neti” è il fuoco sacro che brucia la menzogna.
Ogni identificazione — con un ruolo, un pensiero, un nome — è un pezzo di legno gettato in quel fuoco.
Brucia l’idea di essere qualcuno.
Brucia l’idea di sapere qualcosa.
Brucia persino l’idea di voler essere illuminato.
Quando tutto è cenere, ciò che resta non ha nome, non ha forma, non ha confini. È l’Essere puro, la coscienza stessa che arde silenziosa dietro ogni esperienza.
4. Oltre il pensiero, nell’Essere
La mente domanda: “Chi sono io?”
E “Neti Neti” risponde negando ogni risposta concettuale.
Tu non sei un oggetto che può essere conosciuto. Sei il testimone di tutto ciò che appare e scompare.
Questa consapevolezza non nasce, non muore, non cambia.
È ciò che rimane quando il mondo dei nomi e delle forme si dissolve nel silenzio del Sé.
5. Vivere il “Neti Neti”
Vivere “Neti Neti” non significa fuggire dal mondo o disprezzare la materia.
Significa riconoscere la natura illusoria dell’identificazione.
Cammini, lavori, ami, ridi — ma dentro sai che nulla di ciò ti definisce.
Agisci, ma non ti perdi nel ruolo.
Osservi, ma non ti confondi con l’osservato.
Nel cuore del vivere quotidiano, la negazione diventa libertà.
Non ti separa dalla vita, ti libera dalla prigione dell’io.
Conclusione: la Verità che resta
Alla fine del processo di “Neti Neti”, non trovi una nuova identità.
Trovi assenza.
Assenza di falsità, di desiderio, di paura.
E in quell’assenza, appare la presenza pura.
La Verità non si conquista.
Non si trova tra le parole, nei libri o nei maestri.
È qui, ora, in ciò che rimane quando tutto il resto svanisce.
Silenzio.
Quiete.
Tu Sei.
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