Parliamo di potere, soldi e salute — con i piedi per terra e i dati alla mano.
Nuove malattie: invenzione o gioco di definizioni?
Negli ultimi anni si è fatta strada un’idea molto forte: “si inventano nuove malattie per vendere nuove cure”. Nel mirino ci sono soprattutto le grandi fondazioni, le multinazionali del farmaco e, più in generale, il “sistema” della salute globale.
Prima distinzione fondamentale, per onestà intellettuale:
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Non ci sono prove serie che grandi fondazioni “creino” malattie in laboratorio per poi guadagnarci.
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Esiste invece un fenomeno ben documentato: l’allargamento delle definizioni di malattia e la loro promozione aggressiva per allargare il mercato delle cure, il cosiddetto disease mongering (letteralmente “mercificazione della malattia”). (Wikipedia)
È qui che si intrecciano fondazioni, industrie, istituzioni pubbliche e media. Ed è qui che nasce quel malessere diffuso che spesso si trasforma in narrativa complottista.
Disease mongering: quando la malattia diventa prodotto
Il termine disease mongering è stato reso famoso da giornalisti e studiosi che hanno analizzato le strategie dell’industria farmaceutica nel ridefinire i confini di ciò che consideriamo “malattia”. (PMC)
In pratica, cosa significa?
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Abbassare le soglie diagnostiche
Per esempio, definire come “patologici” valori che prima erano considerati varianti normali (colesterolo, pressione, glicemia, ecc.), facendo crescere il numero di persone “malate”. -
Trasformare disagi comuni in disturbi clinici
Insonnia, calo del desiderio, stanchezza cronica, timidezza… vengono talvolta reinterpretati come “sindromi” che richiedono diagnosi, terapie, farmaci. -
Campagne di “consapevolezza” sponsorizzate
Dietro iniziative apparentemente neutrali per “sensibilizzare su una malattia”, ci sono spesso sponsor con interessi diretti nelle cure per quella stessa patologia. (PMC)
Una nota dell’Europarlamento definisce il disease mongering come “la promozione di pseudo-malattie principalmente da parte dell’industria farmaceutica per scopi economici”. (Parlamento Europeo)
Attenzione però a non estremizzare: non significa che tutte le nuove diagnosi siano inventate. Molte sono miglioramenti reali nella comprensione scientifica. Il punto non è negare la medicina, ma chiedersi chi decide dove finisce la normalità e dove inizia la malattia — e con quali interessi.
Il mondo delle grandi fondazioni: filantropia, business e “philanthrocapitalism”
Negli ultimi vent’anni le grandi fondazioni private (Gates, Rockefeller e molte altre) sono diventate protagoniste della salute globale. Investono miliardi in vaccini, programmi contro malaria, tubercolosi, HIV, nutrizione, ecc. (2030 Spotlight)
Parallelamente è nato un concetto critico: philanthrocapitalism.
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È l’idea che le logiche del business (efficienza, ROI, indicatori numerici) vengano applicate alla filantropia.
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In pratica, i mega-donatori non si limitano a “dare soldi”, ma influenzano l’agenda: quali malattie contano, quali programmi vengono finanziati, quali no. (ScienceDirect)
Diversi studi mostrano come alcune fondazioni, in particolare la Gates Foundation, abbiano un peso enorme nel definire le priorità dell’OMS e della salute globale, concentrandosi su specifiche malattie (es. polio, malaria) e meno sul rafforzamento sistemico dei sistemi sanitari. (Financial Times)
Questo non significa che queste iniziative siano “cattive” in sé (i loro programmi hanno anche salvato milioni di vite), ma solleva domande legittime:
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Chi decide quali vite contano di più?
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Perché alcuni problemi di salute hanno fondi immensi e altri restano marginali?
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Quanto spazio rimane alla democrazia e alle priorità dei Paesi destinatari?
Il caso OMS: soldi vincolati e “dark money”
Negli ultimi anni sono cresciute le critiche alla WHO Foundation, il braccio di raccolta fondi della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità.
Un’inchiesta recente ha mostrato che una quota crescente dei finanziamenti arriva da donatori anonimi (“dark money”), spesso con categorie di spesa molto generiche come “Covid” o “operational costs”, senza dettagliare chi paga e perché. (The Guardian)
Due problemi chiave:
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Trasparenza
Se non sappiamo chi finanzia, diventa difficile valutare i conflitti di interesse: potrebbero essere aziende i cui prodotti incidono direttamente sulla salute (alimentare, tabacco, alcol, farmaceutica, piattaforme digitali…). -
Agenda-setting
Quando i contributi sono “vincolati” a determinati progetti, l’agenzia internazionale rischia di trasformarsi in un esecutore di priorità decise altrove.
Nel frattempo, studi di BMJ Global Health segnalano come la dipendenza da grandi donatori privati, come la Gates Foundation, stia crescendo man mano che alcuni Stati riducono il loro contributo. (Financial Times)
Il rischio non è “la malattia inventata”, ma la salute globale guidata da pochi attori opachi o privati, con una responsabilità pubblica limitata.
Il nodo dei conflitti di interesse nella ricerca
Quando parliamo di “nuove malattie” e fondazioni, dobbiamo guardare anche a come è organizzata la ricerca:
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Numerosi studi mostrano che il finanziamento da parte dell’industria o di soggetti con interessi economici tende ad aumentare la probabilità di risultati favorevoli ai finanziatori e a influenzare quali domande di ricerca vengono poste. (NCBI)
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Le principali istituzioni etiche (come l’Institute of Medicine negli USA o il codice dell’American Medical Association) riconoscono i conflitti di interesse come un problema sistemico e chiedono regole più severe, trasparenza e gestione attiva di queste situazioni. (NCBI)
Anche il finanziamento da parte di fondazioni non è “puro” per definizione: può creare dipendenze, ruoli ambigui, carriere costruite su un certo filone di ricerca. (annemergmed.com)
Di nuovo: non è una prova che “si inventano malattie”, ma un segnale chiaro che gli interessi economici possono orientare cosa chiamiamo malattia, cosa misuriamo e cosa curiamo.
Perché l’idea “inventano nuove malattie per profitto” attecchisce così bene
Da un lato abbiamo dati reali su disease mongering, lobbying, conflitti di interesse e soldi anonimi.
Dall’altro lato abbiamo narrazioni estreme: “le fondazioni creano nuovi virus”, “ogni nuova diagnosi è una truffa”, ecc.
Perché queste narrazioni complottiste piacciono così tanto?
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Semplificano un sistema complesso
Invece di analizzare meccanismi economici, regolatori, culturali, è più facile immaginare un “cattivo assoluto” che tira i fili. -
Trasformano la sfiducia in storia
La sfiducia verso istituzioni, governi, aziende e media è reale. Le teorie del complotto offrono una trama coerente (anche se falsa) a quel sentimento. -
Danno un nemico chiaro
“La grande fondazione X”, “il miliardario Y”: volti riconoscibili su cui proiettare paure e rabbia, al posto di un sistema pieno di grigi.
Il punto, per chi scrive e legge in modo critico, è restare in equilibrio:
denunciare i meccanismi documentati senza scivolare nella fantasia totale.
Oltre il complotto: cosa serve davvero cambiare
Se vogliamo proteggere la salute pubblica dai veri rischi, serve molto più di uno slogan contro “le fondazioni cattive”.
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Trasparenza radicale sui finanziamenti
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Elenco pubblico e dettagliato di chi finanzia cosa, a tutti i livelli (ricerca, linee guida, campagne di sensibilizzazione, fondi OMS, fondazioni). (The Guardian)
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Regole rigide sui conflitti di interesse
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Limiti chiari ai ruoli doppi: chi scrive linee guida non dovrebbe essere strapagato dai produttori di quei farmaci. (code-medical-ethics.ama-assn.org)
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Più fondi pubblici indipendenti
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Meno dipendenza da grandi donatori privati e industrie, più responsabilità democratica su come vengono stabilite le priorità di salute. (2030 Spotlight)
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Cultura critica nella popolazione
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Saper distinguere tra:
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legittima critica basata su dati (disease mongering, fondi anonimi, lobbying…)
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teorie infondate che negano la medicina, minimizzano malattie reali o diffondono disinformazione pericolosa.
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Media e divulgatori più coraggiosi
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Raccontare le sfumature: né propaganda pro-sistema, né complottismo clickbait, ma analisi dei meccanismi di potere che agiscono sulla salute.
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Conclusione: non “nuove malattie”, ma vecchie dinamiche di potere
Dire che “le grandi fondazioni inventano malattie per aumentare i profitti” è una formula che colpisce, ma rischia di confondere due piani:
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il piano fantastico, in cui pochi individui “creano” malattie dal nulla;
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il piano reale, molto più interessante (e pericoloso), in cui diagnosi, linee guida, priorità di ricerca e campagne globali vengono orientate da soldi, potere e interessi privati dentro un sistema poco trasparente.
È su questo secondo piano che vale la pena scavare:
lì troviamo il disease mongering, il philanthrocapitalism, i conflitti di interesse, il “dark money”, e soprattutto la necessità urgente di ricostruire fiducia con regole chiare e controlli seri.
Se vogliamo davvero difendere la salute delle persone, non basta denunciare “le nuove malattie”: dobbiamo illuminare i meccanismi che decidono cosa chiamiamo malattia, chi la cura e chi ci guadagna.
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