mercoledì 12 novembre 2025

Quando l’Io si Scioglie: il Cielo che Rimane dopo le Nuvole del Pensiero

 Titolo: Quando l’Io si Scioglie: il Cielo che Rimane dopo le Nuvole del Pensiero

Ci sono tradizioni spirituali, filosofie e vie contemplative che, pur provenendo da culture lontane, si incontrano in un punto essenziale: l’idea che l’“io” sia un’illusione. Dal buddhismo zen all’advaita vedānta, fino a certi approcci moderni della psicologia contemplativa, la consapevolezza viene vista come uno spazio senza centro personale, un campo in cui i pensieri sorgono e svaniscono come onde su un mare che non si muove mai davvero.

Eppure, anche dopo aver compreso questa prospettiva — anche dopo aver “visto” che l’io non è un’entità reale — i pensieri egocentrici continuano a sorgere. “Io voglio”, “Io temo”, “Io ricordo”. Come spiegare questa persistenza?

L’eco di un sogno

Le scuole non-duali risponderebbero che l’illusione dell’io è un’abitudine millenaria. Non è una costruzione mentale che svanisce con una singola intuizione, ma un pattern, un solco inciso nel sistema nervoso, nella memoria, nel linguaggio.
Vedere l’illusione è come svegliarsi da un sogno molto vivido: anche una volta svegli, per qualche istante, il corpo reagisce ancora alle emozioni del sogno. Il battito resta accelerato, il respiro corto. Così i pensieri egocentrici persistono come residui di energia psichica, echi di una storia che la mente ha raccontato per anni.

Il corpo come radice dell’illusione

Le tradizioni contemplative spesso ricordano che il senso dell’io personale è radicato nella percezione del corpo. Finché c’è respiro, finché il cuore batte e gli organi inviano segnali al cervello, l’esperienza sensoriale mantiene una continuità narrativa. Il corpo diventa la pagina su cui la storia dell’“io” continua a scriversi, anche quando si è già compreso che l’autore è immaginario.

Non si tratta di un fallimento dell’illuminazione, ma di una naturale coesistenza tra due livelli: la visione e la condizione. La visione è chiara, la condizione è umana.

L’osservatore che non cade nella trappola

Chi ha visto l’illusione non smette di avere pensieri egocentrici — semplicemente, non li crede più. La differenza è sottile ma radicale. Il pensiero “io voglio essere riconosciuto” può ancora sorgere, ma non trova più un centro a cui aggrapparsi. È un movimento, non un fatto.
In questa libertà, la mente diventa come un cielo che non si identifica con le nuvole. I pensieri passano, si dissolvono, e il cielo resta intatto: vasto, silenzioso, senza proprietario.

La dissoluzione graduale

Molti maestri descrivono questo processo non come un’illuminazione istantanea, ma come una dissoluzione graduale. Ogni volta che un pensiero egocentrico sorge e viene visto per quello che è, l’illusione perde forza. Ogni riconoscimento è come una piccola fiamma che consuma la nebbia.

Nel tempo, ciò che resta non è un “nuovo io”, ma una presenza trasparente, consapevole del gioco, libera dalla necessità di possedere ogni esperienza.

Il cielo non ha bisogno di riposo

Alla fine, la mente smette di lottare contro i propri pensieri. Non cerca più di eliminarli, perché ha capito che non possono contaminare ciò che realmente è. Il cielo non teme le nuvole.
Quando l’“io” viene visto come un miraggio, ciò che rimane non è il nulla, ma la realtà nuda e viva di ogni istante. Una consapevolezza che osserva il mondo danzare — e non chiede più di essere qualcun altro.


Conclusione:
L’illusione dell’io non svanisce come una fiamma spenta, ma come il fumo che lentamente si dissolve nel vento. Finché il corpo respira, l’eco della storia personale continuerà a suonare, ma chi ascolta non è più catturato dalla melodia.
E in quel silenzio, sotto il rumore dei pensieri, si apre l’immenso cielo della presenza: ciò che non è mai nato, e che perciò non può morire.




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