lunedì 1 dicembre 2025

“Stiamo barattando la nostra umanità con uno schermo, una siringa di bellezza e un piatto troppo pieno, e non ci accorgiamo che più riempiamo le mani, più svuotiamo l’anima.”

 

Stiamo davvero “evolvendo”?
Come smartphone, corpi filtrati e tavolate infinite stanno logorando l’umanità

Per la prima volta nella storia, abbiamo in tasca più potere di quanto ne avesse un’intera civiltà qualche decennio fa. Possiamo parlare con chiunque, vedere qualsiasi cosa, comprare tutto, modificare il nostro volto, il nostro corpo, perfino la percezione che gli altri hanno di noi.

Eppure, dietro questa vetrina luccicante, c’è una verità scomoda: stiamo contribuendo attivamente alla rovina della nostra stessa specie, non con bombe o catastrofi improvvise, ma con micro-scelte quotidiane che sommate creano un disastro silenzioso.

In questo articolo entriamo nel cuore di tre pilastri del problema:

  1. Lo smartphone come protesi mentale

  2. L’estetica modificata a colpi di sieri “miracolosi” e filtri

  3. Le abbuffate ai tavoli importanti: il teatro del potere e dell’eccesso


1. Lo smartphone: non è più uno strumento, è una dipendenza riconosciuta

Abbiamo normalizzato qualcosa che, se lo guardassimo dall’esterno, ci apparirebbe inquietante: milioni di esseri umani che passano ore ogni giorno a fissare un rettangolo luminoso.

  • Lo consultiamo appena apriamo gli occhi.

  • Lo tocchiamo prima ancora di salutare chi vive con noi.

  • Lo controlliamo compulsivamente anche quando non c’è nessuna notifica.

Non è più comunicazione: è condizionamento.

Effetti reali (e devastanti) che fingiamo di non vedere

  • Attenzione frammentata: il cervello si abitua a contenuti da pochi secondi. Approfondire, leggere, studiare, riflettere diventa faticoso.

  • Dipendenza dall’approvazione: like, cuori, visualizzazioni diventano la nuova unità di misura del nostro valore.

  • Isolamento travestito da connessione: abbiamo migliaia di contatti, ma sempre meno relazioni vere.

  • Perdita di contatto con il corpo e il presente: non sappiamo più annoiarci, aspettare, camminare senza uno schermo in mano.

Il paradosso è assurdo: abbiamo creato uno strumento che doveva liberarci, e invece ci tiene in ostaggio.

E mentre pensiamo di “scegliere” i contenuti, un algoritmo, invisibile e impersonale, decide cosa farci vedere, cosa farci desiderare, cosa farci temere.


2. L’estetica modificata: il corpo come prodotto da ottimizzare

Creme miracolose, sieri rivoluzionari, ritocchini “leggeri”, filtri che ti cambiano il viso in tempo reale: siamo entrati nell’era in cui non esistiamo più così come siamo, ma solo come veniamo presentati.

Non ci basta essere vivi: vogliamo essere vendibili.

L’industria dell’insicurezza

Per convincerti a comprare, prima devono farti sentire sbagliato.

E allora:

  • Una ruga diventa un problema.

  • Una pancia morbida diventa un fallimento personale.

  • Un viso “normale” diventa “non abbastanza fotogenico”.

La narrazione è chiara:

“Così come sei non vai bene. Ma se compri questo, se fai questo trattamento, se ti adegui a questo standard… forse sarai accettato.”

Il risultato? Una generazione che:

  • ha paura di mostrarsi senza filtro;

  • si giudica duramente allo specchio;

  • si confronta in continuazione con immagini ritoccate e irraggiungibili;

  • misura la propria autostima in funzione di come appare, non di chi è.

Stiamo trasformando il corpo in un progetto perenne, mai concluso, mai soddisfacente.
E mentre ci concentriamo ossessivamente sull’involucro, l’interiorità – mente, cuore, anima, chiamala come vuoi – viene lasciata all’abbandono.


3. Abbuffate ai tavoli importanti: l’eccesso come status, lo spreco come normalità

C’è poi un altro teatro, meno discusso ma altrettanto simbolico: quello dei tavoli importanti, delle cene di lusso, dei buffet infiniti, dei meeting dove il cibo è scenografia del potere.

Piatti su piatti, portate su portate, calici, degustazioni, assaggi, sprechi.
Il messaggio è sottile ma chiarissimo:

“Conta chi può esagerare senza pensare alle conseguenze.”

In un mondo in cui una parte dell’umanità non ha accesso al cibo, l’altra si vanta di quanto può permettersi di buttare.

Non è solo questione di dieta o di salute fisica: è un problema etico e simbolico.

  • Mangiare fino a stare male.

  • Fotografare il piatto e non godersi il momento.

  • Usare il cibo come status, non come nutrimento.

La tavola, che potrebbe essere un luogo di connessione, diventa:

  • palcoscenico di apparenza;

  • distrazione da vuoti interiori;

  • anestetico emotivo (“mangio per non sentire”).


Il filo invisibile che unisce tutto questo

Smartphone, estetica modificata, abbuffate di cibo e di status: sembrano temi diversi, ma in realtà sono facce della stessa medaglia.

Tutto porta verso un’unica grande illusione:

“Non sei abbastanza. Ti manca qualcosa. Devi comprare, modificare, mostrare, accumulare per valere.”

E così:

  • non abbiamo più tempo per pensare;

  • non abbiamo più coraggio di mostrarci imperfetti;

  • non abbiamo più spazio per sentire davvero.

La vera rovina non è un’esplosione improvvisa, ma una disconnessione progressiva:

  • dall’altro (relazioni vere sostituite da interazioni superficiali);

  • dal proprio corpo (usato come oggetto, mai ascoltato);

  • dalla natura (vista come sfondo, non come casa);

  • da sé stessi (non sappiamo più chi siamo, solo come appariamo).


Ma allora siamo spacciati? No. Però dobbiamo smettere di raccontarcela.

Continuare a dire “è normale”, “lo fanno tutti”, “è il progresso” è il modo più veloce per accompagnare silenziosamente la nostra stessa decadenza.

Non abbiamo bisogno di diventare eremiti, né di distruggere la tecnologia o demonizzare ogni crema e ogni cena.

Ma abbiamo disperatamente bisogno di consapevolezza.

Cosa possiamo iniziare a fare, concretamente

  • Ridare un ruolo allo smartphone
    Non è un’estensione del nostro corpo. È un oggetto. Posalo. Imposta tempi, spazi senza schermo, passeggiate senza cuffie, momenti di noia volontaria.

  • Riappropriarci del corpo reale
    Guardarsi allo specchio senza filtro, imparare a prendersi cura di sé senza inseguire modelli impossibili. Chiedersi: “Questa cosa la faccio per me o per farmi approvare?”

  • Restituire sacralità al cibo e alla tavola
    Mangiare meno ma meglio. Essere presenti. Non trasformare ogni pasto in un contenuto. Ricordarsi che ogni piatto ha una storia, un costo umano e ambientale.

  • Allenare la profondità
    Leggere, contemplare, camminare, stare in silenzio, scrivere. Fare cose che non generano like ma radici.


Conclusione: la rovina non è inevitabile, ma è già iniziata

Il mondo, così com’è impostato, ci spinge verso una forma di auto-distruzione dolce: non ce ne accorgiamo perché tutto è presentato come comodo, bello, desiderabile.

Sta a noi scegliere se continuare a partecipare a questa recita o iniziare a sabotarla dall’interno, con piccoli gesti quotidiani.

Ogni volta che:

  • scegli di guardare il cielo invece dello schermo;

  • accetti una ruga invece di odiarla;

  • ti siedi a tavola per nutrirti, non per esibirti;

stai facendo qualcosa di enorme: stai interrompendo, anche solo per un istante, il meccanismo che sta logorando l’umanità.

La rovina non arriva da fuori.
La stiamo producendo noi, un tap, un filtro, un piatto alla volta.

E, per la stessa logica, possiamo anche essere noi a invertire la rotta.



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