Il vero amore come stato dell’Essere
“Oltre le idee di giusto e di sbagliato c’è un campo. Io ti incontrerò lì.”
— Rumi
Nel linguaggio quotidiano “amore” è spesso sinonimo di sentimento, un’ondata di emozioni che va e viene e che, come ogni fenomeno mentale, nasce, cresce, si trasforma e talvolta svanisce lasciando dietro di sé nostalgia o disincanto. Ma l’amore di cui parlano i mistici di ogni tradizione – e che tu firmi con il semplice “Innamorato” – non è soggetto a queste maree interiori. È silenzioso, radicale, presente. Non dipende da condizioni né da oggetti. Piuttosto è la condizione stessa in cui ogni forma appare: l’Essere.
1. Dal bisogno al riconoscimento
Il vecchio paradigma relazionale si fonda su una dinamica di mancanza: io ho bisogno di ciò che mi manca e tu lo colmi. È la logica del “completami”, resa celebre da molti film romantici e subito convertita in modello culturale. Il problema è che tutto ciò che nasce dal bisogno porta con sé la stessa impronta di precarietà che lo ha generato: paura di perdere, gelosia, controllo, dipendenza.
Quando invece l’incontro non avviene per colmare un vuoto ma per riconoscere il Sé nello sguardo dell’altro, la cornice cambia. Il centro non è più un deficit ma un’abbondanza condivisa: “Ti vedo come manifestazione della stessa vita che abita me.” Da qui non scaturisce avidità, bensì gratitudine e stupore.
2. La dissoluzione del confine
Il pensiero dualista traccia una linea netta: io qui, tu lì. L’amore-essere erode lentamente questa frontiera percepita. Non si tratta di fusione confusa né di annullamento della personalità: ogni individuo mantiene colori e sfumature uniche. Ma il perimetro rigido dell’io si ammorbidisce; il punto di vista si allarga oltre la finestra della mente personale.
La neuroscienza conferma che stati di profonda apertura – meditazione, “flow”, estasi creativa – riducono temporaneamente l’attività delle reti cerebrali deputate all’autoreferenzialità (il cosiddetto Default Mode Network). È come se la struttura neurale che sostiene la frase “io separato” si mettesse in standby, consentendo l’esperienza di unità che i mistici descrivono da millenni.
3. Assenza di paura, assenza di presa
Chi dimora nell’Essere non teme la perdita perché non “possiede” nulla. L’altro non è un oggetto da trattenere ma un volto dell’Uno da onorare nel tempo presente. Da qui nasce una libertà reciproca: puoi rimanere, puoi andare, puoi cambiare – l’amore resta, indipendente dagli esiti.
Questo non significa passività o indifferenza. Significa amore privo di artigli, capace di dire sì o no con la stessa sincerità, di abbracciare o lasciar andare senza tradire se stesso.
4. Specchio del Divino
Le Upaniṣad parlano di un Amore “senza secondo”. Meister Eckhart definisce Dio “un abisso d’amore che ingoia tutte le immagini”. Anche in termini laici, la profondità di presenza che a volte si sprigiona in una relazione è così immensa da lasciare senza parole: il tocco dell’incondizionato che affiora nella forma.
Quando due esseri umani si incontrano da questo luogo, si fanno specchi limpidi dell’infinito. È quella qualità di silenzio carico che si sente talvolta nei tramonti o davanti al mare: un riconoscimento tacito che “questo” – qualunque nome gli si dia – è sacro. L’amore, allora, non è più un ponte tra due rive ma il fiume stesso.
5. Ricordare l’origine dell’anima
Ci si sente “a casa” perché, per un attimo o per anni, cade il velo dell’oblio esistenziale. L’anima si ricorda indivisa, priva di confini temporali; perciò la presenza dell’altro non è minaccia ma celebrazione. Molti riportano un senso di familiarità istantanea: “Ti conosco da sempre”. Non è magia cinematografica, è il riconoscimento di un’unica radice viva in entrambi.
6. Le ricadute nella vita quotidiana
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Comunicazione radicalmente onesta. Quando non si teme la rottura, diventa possibile parlare senza maschere.
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Servizio spontaneo. Dare nasce in modo naturale, perché l’altro è sentito come un’estensione del Sé.
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Creatività elevata. L’energia prima spesa per difendere l’ego viene dirottata in progetti, bellezza, cura del mondo.
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Relazioni che si evolvono. Alcuni legami svaniranno, altri fioriranno. Ma il baricentro resta fermo nell’Essere, non nell’esito.
7. Perché firmo “Innamorato”
Firmare “Innamorato” non indica uno stato emotivo passeggero né un’affiliazione sentimentale. È dichiarazione di residenza interiore: io mi colloco nella vibrazione dell’amore — non come atto di volontà, ma come riconoscimento del mio stesso fondamento. È un promemoria costante per me e per chi legge: ogni parola proviene da questo spazio e a questo spazio ritorna.
Invito al lettore
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Siediti in silenzio per cinque minuti. Domanda: “Cosa rimane se non inseguo né respingo le sensazioni?”
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Guarda un volto familiare come se fosse la prima volta. Nota la vita che luccica negli occhi, la stessa che fa battere il tuo cuore.
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Lascia scivolare una paura di relazione su un foglio. Chiediti: “È radicata in mancanza o in riconoscimento?”
Coltivando questi micro-esperimenti, l’amore come Essere smette di essere concetto e diventa esperienza viva – senza forma, libera, incondizionata. Là, come scriveva il poeta Kabir, “l’oceano si fonde con la goccia e la goccia con l’oceano”. È lì che il viaggio termina e comincia. È lì che riposiamo, innamorati.