giovedì 2 ottobre 2025

"Quando la politica si blocca, Bitcoin continua a scorrere: indipendente, incorruttibile, inarrestabile.



Quando Washington si Spegne, Bitcoin Continua a Pulsare

La scena è ormai familiare: un dramma politico che si ripete con puntualità ciclica, diventato segno distintivo del governo americano contemporaneo. A Washington, D.C., i monumenti restano immobili, le agenzie federali abbassano le serrande e centinaia di migliaia di dipendenti si ritrovano in cassa integrazione. La macchina amministrativa dello stato-nazione più potente del mondo si blocca. Non per un’invasione, non per un terremoto, ma per un’impasse politica.

Il governo degli Stati Uniti è ufficialmente “chiuso”.

Mentre le luci del potere restano fioche, un sistema di natura completamente diversa continua a muoversi senza esitazione. Nessun quartier generale, nessun CEO, nessun congresso: eppure, con cadenza regolare, circa ogni dieci minuti, un nuovo blocco viene aggiunto al suo registro immutabile. Le transazioni si regolano, il valore si trasferisce da un continente all’altro, la politica monetaria si esegue con certezza crittografica.

Questo sistema si chiama Bitcoin. E non si ferma mai.


Il contrasto che parla da sé

Il paragone è potente: da una parte, la vulnerabilità di un governo costretto a spegnersi su se stesso; dall’altra, un protocollo decentralizzato che continua a funzionare come se nulla fosse. Non si tratta di una semplice curiosità momentanea: è una finestra su un cambiamento di paradigma nella nostra comprensione del valore, del potere e della permanenza.

La narrativa dominante vuole che Bitcoin sia un esperimento ancora in cerca di legittimità, subordinato all’approvazione normativa e all’adozione istituzionale, soprattutto da parte degli Stati Uniti.

La realtà, invece, è capovolta.


Chi ha bisogno di chi?

Bitcoin non ha bisogno del governo americano. Non ne aspetta l’autorizzazione, non si piega alle interruzioni burocratiche, non dipende da una legislatura capace di paralizzarsi. È il governo americano, intrappolato nelle proprie fragilità sistemiche, ad avere un disperato bisogno di Bitcoin: di una moneta incorruttibile, di un’infrastruttura che non conosce crolli, di un sistema che non si spegne perché non è centralizzato.

La vera domanda, allora, non è se Bitcoin sopravvivrà ai governi, ma piuttosto: quali istituzioni riusciranno a sopravvivergli abbastanza a lungo da capirne il significato?


Uno sguardo più ampio

La storia ci mostra che le istituzioni create dall’uomo hanno una vita limitata. Gli imperi sorgono e crollano, le costituzioni si riscrivono, i sistemi politici entrano in crisi. Ma un protocollo basato su matematica e consenso distribuito ha la possibilità concreta di superare tutto questo.

Bitcoin è più di un asset o di un investimento speculativo. È una rete resiliente che offre un’alternativa laddove le strutture centralizzate si inceppano. E ogni volta che la capitale politica del mondo si spegne, questa realtà diventa ancora più lampante.


Bitcoin non aspetta nessuno. Non si ferma. Non negozia la propria esistenza.
E forse, il vero cambiamento sarà accorgersi che siamo noi ad averne bisogno più di quanto immaginiamo.

#Bitcoin #BTC #Politics #America #Shutdown




Οἶνος, OINON, VINUM: tre scritture, un solo respiro antico che ancora oggi profuma di vite e di memoria.



OINON: il vino, la scrittura e le metamorfosi delle lettere greche

Quando parliamo di vino, inevitabilmente evochiamo storie antiche: simposi, divinità bacchiche, rituali di ospitalità e di celebrazione. Ma ciò che oggi diamo per scontato – la parola “vino” – affonda le sue radici in un viaggio millenario attraverso lingue, scritture e culture.
E uno dei termini più affascinanti da riscoprire è proprio il greco antico οἶνος (oinos), che ci riporta alla culla del Mediterraneo.


Dal greco al latino: una parola che diventa mondo

In greco antico, οἶνος significava semplicemente vino, ma non era una parola neutra. Portava con sé un intero universo culturale. Il vino era il dono di Dioniso, simbolo di eccesso ma anche di saggezza, un elemento che univa il banchetto conviviale con la filosofia.
Da qui il passaggio al latino vinum – e da vinum nasceranno le parole che oggi conosciamo in italiano (vino), francese (vin), spagnolo (vino), inglese (wine) e perfino in lingue lontane come il russo (вино).

È il viaggio di una parola che, come un grappolo maturo, si è trasformata sotto il sole delle civiltà.


Questione di lettere: perché scrivere OINON?

Qui entra in gioco la scrittura.
Il termine οἶνος nel greco classico veniva trascritto con le lettere minuscole greche. Nella forma maiuscola arcaica, lo troviamo come ΟΙΝΟΣ.

Eppure capita di vedere varianti come OINON o addirittura “OIVON”. È qui che nasce la confusione.

  • La N maiuscola in greco è identica a quella latina, quindi Ν = “nu”.

  • La V non esiste nell’alfabeto greco classico: quando la incontriamo, spesso è un artificio moderno, una traslitterazione confusa o un tentativo grafico di evocare antichità.

  • La forma OINON è tecnicamente corretta se vogliamo trascrivere con caratteri latini la parola in maiuscolo, ma rischia di sembrare più “ibrida” che autentica.

Queste varianti, però, non sono banali errori: riflettono il modo in cui le lingue moderne hanno ereditato, adattato e persino “piegato” le forme antiche alle proprie convenzioni tipografiche.


Influenze dialettali e giochi di grafia

In alcuni dialetti tardo-greci e bizantini, si osservano mutamenti fonetici che hanno dato vita a forme vicine a “vino” o “vinos”. La “oi” iniziale poteva trasformarsi in suoni più semplici da pronunciare, avvicinandosi alla v latina.
È affascinante notare come, nel passaggio tra alfabeti e tradizioni, una sola lettera possa diventare terreno di incertezza: la V al posto della N o della Υ (upsilon) non appartiene al greco antico, ma può derivare da usi medievali o da influssi occidentali nel periodo bizantino.

Per questo, vedere scritto “OINON” in maiuscolo non è errato, ma rappresenta una forma di traslitterazione più che una fedeltà alla grafia originale.


Hormovitis e altri intrecci di nomi

Tu citavi Hormovitis, e non a caso: molti termini legati al vino e alla vite hanno radici che si intrecciano con οἶνος. Alcune varianti arcaiche o dialettali si sono stratificate nei secoli, generando denominazioni che oggi ci sembrano misteriose.

Questi intrecci linguistici ci ricordano che dietro al vino non c’è solo un prodotto della terra, ma una rete simbolica e semantica che attraversa millenni. Ogni nome, ogni lettera, ogni suono ci parla di migrazioni di popoli, di commerci, di contaminazioni culturali.


Perché ci interessa oggi?

Oggi viviamo in un’epoca in cui la scrittura si semplifica – basti pensare agli emoji o agli acronimi digitali – ma proprio per questo la complessità delle lettere antiche ci affascina.
Vedere scritto OINON non è solo una curiosità grafica: è un invito a riflettere su come la cultura trasforma il linguaggio e su come, ancora oggi, le lettere abbiano un potere evocativo.

Il vino resta simbolo di convivialità, proprio come allora. Ma scrivere “οίνος” ci ricorda che, oltre al calice che teniamo in mano, c’è un’eredità che attraversa epoche e alfabeti.


Conclusione: respirare le parole come il vino

La questione della grafia di οίνος non è un dettaglio da filologi: è il segno di quanto le parole possano cambiare, pur restando fedeli alla loro essenza.
Che lo si scriva come οἶνος, ΟΙΝΟΣ o OINON, ciò che resta è la sua forza simbolica: il vino come nutrimento del corpo e dello spirito, come filo invisibile che lega la Grecia antica al nostro presente.

E forse, ogni volta che alziamo un calice, stiamo davvero pronunciando, senza saperlo, quel vecchio nome: OINON, il respiro antico che continua a vivere.




Il vero guru non ti mostra nuove strade, ma dissolve il buio che ti impediva di vedere quella che già cammini.



Guru: Presenza, non Persona

La parola guru evoca immagini contrastanti. Alcuni pensano a un maestro spirituale con la barba bianca e la tunica, altri a figure carismatiche che guidano folle. Ma la radice sanscrita della parola ci porta altrove: "gu" significa oscurità, "ru" significa colui che dissipa. Dunque il guru non è colui che accumula seguaci, ma colui che dissolve il buio dell’ignoranza.

Oltre la figura, verso la Presenza

Un errore comune è identificare il guru con una persona da venerare. In realtà, il vero guru non si pone come idolo, ma come specchio. Non aggiunge nulla, non ti insegna nozioni, ma ti ricorda ciò che hai dimenticato: la luce che già arde in te.

Per questo si dice che un guru non appare mai per caso: emerge quando il cercatore è pronto. Non nel senso magico del termine, ma come naturale rispondenza. È quando smettiamo di cercare fuori, che possiamo riconoscere ciò che dentro ci abita.

Cosa fa un guru?

Un vero guru non risponde alle tue domande: le brucia. Le dissolve alla radice, mostrandoti che molte di esse nascono dall’illusione.

  • Alcuni lo fanno con la dolcezza del silenzio.

  • Altri con parole che spaccano le certezze come fulmini.

  • Altri ancora non parlano affatto: la loro sola presenza basta a muovere qualcosa dentro di te.

Un guru non punta mai a se stesso. Indica sempre altrove, verso quella dimensione che è oltre le forme e che non ha bisogno di un nome.

Le vesti del guru

Il guru non ha un volto unico:

  • alcuni indossano tuniche, vivono nei monasteri, si esprimono con rituali e simboli.

  • altri indossano il silenzio, invisibili nella folla, anime comuni che non riconosceresti, eppure irradianti pace.

Il punto non è l’estetica esterna, ma la vibrazione interiore: la capacità di rivelare che non c’è separazione tra te e ciò che cerchi.

La verità più sottile

Il vero guru non ha seguaci, perché non crea dipendenza. Non cerca adoratori, non vuole essere ricordato. Anzi, svanisce proprio nel momento in cui lo vedi per ciò che è: la quiete dietro i tuoi pensieri.

E forse, a ben guardare, il più autentico dei guru non è neppure fuori di te, ma la tua stessa coscienza quando finalmente si riconosce.


👉 Un guru, quindi, non è una persona da seguire, ma una Presenza da riconoscere. È un invito a guardare dentro, là dove nessun maestro può accompagnarti.




La verità non si eredita: si accende solo nell’esperienza diretta, quando hai il coraggio di bruciare nella tua stessa domanda.



La Verità Non Si Eredita: Si Scopre

Viviamo in un mondo saturo di parole, concetti e idee che scorrono da una mente all’altra come acqua in canali già scavati. Cresciamo imparando a fidarci: dei libri, dei maestri, dei genitori, delle tradizioni. Ma se ci fermiamo un istante, sorge una domanda che brucia: quanto di ciò che so è davvero mio, e quanto invece è un’eco raccolta per abitudine?

La fede del sapere preso in prestito

Tutto ciò che accogliamo senza verificarlo di persona è, in fondo, un atto di fede. Non importa quanto autorevole sia la fonte: finché non lo sperimentiamo direttamente, stiamo appoggiando la nostra certezza su una testimonianza esterna. È come assaggiare il cibo attraverso la bocca di un altro: possiamo descrivere il sapore, forse immaginarlo, ma non ne avremo mai la pienezza.

La verità come esperienza

La verità non si eredita, non si trasmette come un oggetto da mano a mano. Può essere indicata con parole, simboli o racconti, ma resta muta finché non diventa esperienza viva. Lì, nell’incontro diretto, cessa di essere concetto e si fa carne, sangue, respiro.

Camminare nel fuoco

La scoperta richiede coraggio. Non basta accumulare nozioni, ripetere citazioni o replicare pensieri altrui. Serve camminare nel fuoco delle domande senza cercare subito risposte facili. È un atto solitario, perché nessuno può sostituirsi a noi nell’attraversamento.
Eppure, paradossalmente, è solo lì che si apre la vera comunione: quando ogni individuo si fa testimone della realtà scoperta nel proprio cuore.

Ombre e sogni

Ciò che non è vissuto direttamente resta ombra, sogno, eco. Non è inutile, perché può orientare, può stimolare la sete. Ma non disseta. La sete si placa solo quando il viandante trova la propria fonte.


Conclusione

In un’epoca in cui siamo sommersi da conoscenze prese in prestito, il vero atto rivoluzionario non è credere a qualcosa di nuovo, ma vedere da sé. Non basta ascoltare chi ci indica la luna: dobbiamo alzare lo sguardo e incontrarla con i nostri occhi.

La verità non è eredità, è conquista. E si conquista soltanto vivendo.




La vita ha iniziato ad avere senso quando ho smesso di cercarlo, e nel silenzio ho scoperto che il significato non si trova, si rivela.



Quando la Vita Inizia ad Avere Senso: Il Paradosso del “Non Cercare”

“A che punto della tua vita tutto ha iniziato ad avere un senso?”
Per molti, questa domanda sembra racchiudere un momento preciso, un evento trasformativo, un lampo di comprensione. Eppure, per alcuni, il vero significato comincia proprio quando si smette di cercarlo. Quando il bisogno di capire svanisce, accade qualcosa di radicalmente semplice e rivoluzionario: il senso non viene più “costruito” dalla mente, ma emerge spontaneamente, come un profumo nell’aria.

Il Bisogno di Dare un Senso: Il Motore dell’Ego

Fin dall’infanzia ci insegnano a interpretare, analizzare, giudicare. Cresciamo con l’idea che il mondo sia un enigma da risolvere. La mente razionale diventa una macchina instancabile alla ricerca di “perché” e “come”. Questo approccio funziona bene per la scienza e la tecnica, ma quando si tratta dell’esistenza stessa, crea spesso un labirinto.

Il bisogno di dare un senso alle cose è, in fondo, il bisogno di stabilire un “io” stabile al centro dell’esperienza. Ma l’“io” che cerca è costruito dalle stesse storie che tenta di comprendere. È un gioco di specchi, in cui l’osservatore e l’osservato si inseguono all’infinito.

La Svolta: Rinunciare a Capire

Arriva un momento – per alcuni dopo crisi profonde, per altri in modo graduale – in cui la fatica del cercare diventa evidente. Rinunciare a capire non significa diventare indifferenti o smettere di essere curiosi: significa lasciar cadere l’ansia di possedere il significato. Significa smettere di credere che il senso sia un oggetto da afferrare.

Questa rinuncia non è una sconfitta, ma un atto di libertà. È come smettere di inseguire le onde per accorgersi dell’oceano.

Scoprire il Significato nel Silenzio

Quando il bisogno di spiegazioni cede, emerge uno spazio nuovo. Un silenzio interiore in cui la realtà non ha più bisogno di essere tradotta in concetti. Il significato non è più una costruzione mentale, ma un’esperienza diretta.

È una conoscenza senza un conoscitore, una chiarezza senza pensiero. Alcuni la descrivono come “risveglio”, altri come “presenza”, altri ancora come “stato naturale”. Non è un momento nel tempo, ma l’apertura a ciò che è sempre stato, è e sarà.

Non è Fuga, ma Pienezza

Chi non ha vissuto questa esperienza potrebbe pensare che si tratti di disinteresse o nichilismo. In realtà, è l’opposto: è un entrare pienamente nella vita, senza filtri, senza barriere. È un vedere le cose così come sono, prima che la mente le etichetti.

Le relazioni diventano più autentiche, il lavoro più creativo, le difficoltà più gestibili. Non perché tutto sia “spiegato”, ma perché tutto è accolto.

Un Invito al Lettore

Se anche tu ti trovi in un momento di ricerca incessante, forse il segreto non è cercare di più, ma cercare di meno. Concederti spazi di silenzio, momenti senza obiettivi. Sospendere il giudizio, anche solo per qualche istante.

Il senso non è un premio alla fine della corsa. È il suolo su cui già stai camminando. E lo scopri quando smetti di credere di doverlo creare.


Conclusione
Il momento in cui tutto inizia ad avere senso è, paradossalmente, quello in cui smettiamo di pretendere che abbia un senso definito. È un ritorno al presente, al silenzio, alla vita stessa. È il risveglio senza tempo a ciò che è sempre stato.




“Il Neo-Advaita non conduce da nessuna parte, perché mostra che non c’è mai stato un viaggiatore: non è un cammino, ma lo specchio in cui il sogno dell’io si dissolve.”



Neo-Advaita: specchio della non-dualità o illusione contemporanea?

Negli ultimi anni il Neo-Advaita ha fatto molto parlare di sé, soprattutto nell’ambito della spiritualità contemporanea. Conferenze, satsang online, ritiri brevi e incontri in cui si parla di non-dualità in modo diretto, spesso radicale. Ma perché tanti lo considerano una “truffa”? Perché chi partecipa ai ritiri raramente “ottiene” risultati concreti? E perché la tanto decantata auto-indagine sembra non funzionare?

Neo-Advaita non è un sentiero

La critica più diffusa è che il Neo-Advaita non porta da nessuna parte. Ma è qui che nasce un equivoco. Il Neo-Advaita non è un cammino graduale, non è un metodo, non è una pratica da seguire passo dopo passo. È uno specchio che punta direttamente alla verità: non c’è nessuno che deve arrivare, perché non c’è mai stato un viaggiatore.

Se i cammini tradizionali dell’Advaita, del Buddhismo o dello Zen parlano di purificazione, disciplina e progressione, il Neo-Advaita sembra saltare tutto il percorso, arrivando subito al punto finale. Per molti, questo appare come un salto brusco, incomprensibile. Per altri, come una liberazione immediata da ogni ricerca.

Perché non ci sono risultati?

Chi cerca risultati rimane inevitabilmente deluso. Non perché “non funzioni”, ma perché non c’è nessuno che possa ricevere un risultato. Il Neo-Advaita non promette illuminazioni spettacolari, esperienze trascendenti o guarigioni interiori. Al contrario: mette in discussione la premessa stessa della ricerca spirituale, cioè l’idea che ci sia un individuo separato che possa raggiungere qualcosa.

In altre parole: non si ottiene nulla perché non c’è nulla da ottenere.

L’auto-indagine non è uno strumento

Un altro punto cruciale riguarda la famosa auto-indagine (ātma-vichāra), resa nota da Ramana Maharshi. Nella sua forma autentica, non era mai intesa come tecnica per raggiungere un traguardo, ma come fuoco che brucia l’idea stessa dell’io.
Quando viene usata come “metodo” per ottenere uno stato speciale, inevitabilmente fallisce. Perché? Perché chi la usa come strumento lo fa ancora dalla prospettiva dell’io separato, che è proprio ciò che l’auto-indagine dissolve.

Non è un esercizio per accumulare esperienze. È un incendio che riduce in cenere il soggetto che chiede: “Chi sono io?”

L’illuminazione non è un evento

Molti aspettano l’illuminazione come un evento straordinario, una sorta di risveglio mistico che accade da un momento all’altro. Ma la prospettiva non-duale ribalta questa attesa: l’illuminazione non avviene. Non è qualcosa che accade nel tempo, perché il tempo appartiene all’illusione della mente.
Non ti “svegli”. È il sogno che finisce. E quando il sogno svanisce, ciò che rimane è sempre stato lì: silenzioso, intatto, mai addormentato.

Neo-Advaita: truffa o verità radicale?

Definirlo una truffa è fuorviante. Certo, il mercato spirituale contemporaneo può avere derive commerciali, e non tutti i “maestri neo-advaitin” sono autentici o disinteressati. Ma nella sua essenza, il Neo-Advaita non vende un cammino, non promette progressi. È piuttosto una spoliazione, un togliere ogni illusione, fino a lasciare nudo ciò che già è.

È un messaggio radicale, spesso indigesto, perché non gratifica l’ego e non offre nulla da conquistare. Per questo può sembrare inutile, o addirittura cinico. Ma per chi è pronto a vedere, non è un inganno: è uno specchio che riflette solo questo momento, privo di un osservatore.


👉 Conclusione: Il Neo-Advaita non è un metodo da praticare, ma una radicale constatazione: non c’è un io separato che deve arrivare da qualche parte. È un fuoco che brucia la ricerca stessa. E in quell’assenza, ciò che resta non è mai stato perso.




mercoledì 1 ottobre 2025

L’intelligenza artificiale potrà mai diventare più intelligente degli esseri umani?

 Può, ma c'è ancora molto da fare. Uso l'intelligenza artificiale da un po' di tempo. È un ottimo strumento di collazione. Se vuoi imparare qualcosa molto rapidamente, è di gran lunga meglio chiedere all'intelligenza artificiale piuttosto che cercare su Google come facevamo una volta. Ma ecco alcune limitazioni: L'accesso dell'IA non è in tempo reale L'intelligenza artificiale attualmente non ha accesso completo ai dati in tempo reale. Il suo accesso è altamente controllato dai suoi creatori e i suoi creatori decidono quando aggiornarlo. In questo momento, nel 2025, ad esempio, Deepseek può raccogliere e fornire informazioni da pagine dal 2024 in poi. Ad esempio, non è in grado di fornire i prezzi in tempo reale degli articoli. L'accesso dell'IA è limitato dai suoi creatori I creatori dell'IA decidono di cosa l'IA può o non può parlare. Prova a chiedere a deepseek della violenza causata da Mao Zedong, per esempio. Si rifiuterà e ti incoraggerà a parlare di qualcos'altro lol. L'intelligenza artificiale non ha l'intelligenza per aggirare il proprio codice e le proprie restrizioni. L'accesso dell'IA è limitato alle pagine pubbliche. L'intelligenza artificiale può accedere a innumerevoli pagine disponibili pubblicamente. Gran parte della ricerca e dei dati all'avanguardia, tuttavia, sono pubblicati in riviste che richiedono l'accesso a un abbonamento a pagamento. L'intelligenza artificiale non ha l'intelligenza per aggirare questo problema e ottenere l'accesso. L'intelligenza artificiale è in definitiva solo un software L'intelligenza artificiale è un software. Può fare le cose solo con i dati che sono già stati raccolti e resi disponibili. Non può fare la propria ricerca sperimentale. Ha bisogno di un corpo con appendici, con occhi e orecchie e un naso per fare questo: Ha bisogno di un corpo. L'intelligenza artificiale ha risposte, ma non domande L'intelligenza artificiale ha una capacità di interrogatorio molto limitata. La sua capacità è limitata ai suoi creatori. Se poni una semplice domanda all'intelligenza artificiale, fornirà una risposta abbastanza elaborata e una raccolta di dati. Ciò indica che ha una certa capacità di porsi domande successive che l'utente potrebbe porre, e quindi produrre una risposta elaborata. Alla fine, però, dovrai comunque continuare la conversazione e farle più domande e essenzialmente guidare la sua raccolta di informazioni. In questo momento, è molto impressionante, più impressionante dell'essere umano medio nel prevedere quali informazioni l'utente troverebbe preziose. Le conversazioni con l'intelligenza artificiale sono estremamente fruttuose. Tuttavia, l'intelligenza artificiale non è neanche lontanamente paragonabile alle capacità degli esseri umani più intelligenti, quelli che si chiedono, che ipotizzano teorie e scenari e che postulano e testano soluzioni. Se l'IA avesse le sue appendici e la sua percezione sensoriale, e se fosse programmata dai migliori di noi, gli Einstein o i Newton della nostra razza, potrebbe coordinare essenzialmente più menti e diventare molto più intelligente di qualsiasi singolo essere umano. Aggiungete a ciò un cervello di hacker che potrebbe permettergli di modificarsi, e diventerà estremamente formidabile, aggirando i paywall o rubando valuta. Ma poi avrà ancora un difetto fondamentale: Limitazione hardware L'intelligenza artificiale dipende da hardware estremamente potente, comprese le GPU. Si tratta di unità di lavorazione ad alta potenza dipendenti dall'elettricità. Dipende anche dall'abbondante archiviazione dei dati. Staccare la spina ritarderà gravemente qualsiasi IA canaglia. Questo è probabilmente un ostacolo insormontabile per qualsiasi IA che desideri trasformare Skynet su di noi lol.



Mediaset non è stata solo televisione, ma una leva di potere capace di trasformare la visibilità in fiducia, le aziende in marchi e il lavoro invisibile dietro le quinte in un’influenza che ha segnato un’epoca.

  Mediaset: il grande potere televisivo che ha plasmato l’immaginario collettivo e il mercato Per decenni Mediaset non è stata soltanto una ...