lunedì 3 novembre 2025

Negli anni '90, la nostra fantasia era il motore più potente che conoscessimo, capace di trasformare un semplice pomeriggio in un regno senza confini.


### **Regni di Cartone e Mondi in VHS: L'Inarrestabile Fantasia dei Bambini Anni ‘90**

Ricordate quella sensazione? Il suono caratteristico di un nastro VHS che si infilava nel videoregistratore, il ronzio del televisore a tubo catodico che si riscaldava, e l’eccitazione per un pomeriggio che sembrava non avere fine. Se sei cresciuto negli anni ‘90, sai di cosa parlo. Non avevamo smartphone, tablet o algoritmi che ci suggerissero cosa fare. Eppure, le nostre giornate erano un turbinio inarrestabile di avventure, un catalogo fitto di cose "speciali" che oggi sembrano magia pura.

La nostra fantasia non era un optional, era il motore principale. Era la risorsa che trasformava il giardino di casa in una giungla impenetrabile, il divano del salotto in una fortezza inespugnabile e un semplice ramo caduto in una spada laser o in un bastone da mago.

**La Programmazione delle Meraviglie**

Non esistevano "giorni noiosi". Esisteva una scaletta mentale, non scritta ma rigorosamente rispettata.

*   **Il Risveglio del Drago (Mattina):** La giornata iniziava spesso con i cartoni animati del sabato mattina, un evento sacro e irrinunciabile. Non era un binge-watching passivo: era uno studio dei personaggi, delle mosse di combattimento e delle trame da riprodurre poi nel pomeriggio. E dopo pranzo? Il richiamo del cortile, del quartiere. Un fischio, una chiamata alla porta, e la squadra era al completo.

*   **Il Pomeriggio dei Regni (Dalle 14:00 alle 19:00):** Questo era il cuore pulsante della giornata.

    *   **Missioni Impossibili:** Caccia al tesoro per ritrovare un "cristallo magico" (un sasso luccicante), guerre infinite a "ce l'hai" o a "nascondino" che coinvolgevano interi condomini. Costruivamo accampamenti con coperte e sedie, creando mondi in cui le leggi della fisica erano solo un vago suggerimento.

    *   **L'Arte del Fai-da-Te:** Chi non ha mai creato una collana con le perline Hama, da cuocere con il ferretto da stiratrice di tua mamma, rischiando di fondere tutto? O passato ore a personalizzare i diari segreti con adesivi, scritte glitterate e ritagli di magazine? Eravamo artigiani della nostra identità.

    *   **Il Rituale dello Spuntino:** La merenda non era solo cibo. Era un momento preciso. Il suono dell'"uomo del ghiaccio" o del furgoncino del pane con le sue granite, la corsa a casa per uno yogurt Frùttolo o un Maxibon da dividere (o no). Erano piccoli riti che scandivano il tempo.

*   **Il Rito Serale (Dopo cena):** Se il pomeriggio era per l'azione fisica, la sera era per l'immersione narrativa. Era il tempo delle serie TV che tutti guardavano alla stessa ora: *Sailor Moon*, *Pokémon*, *Power Rangers*. Il giorno dopo a scuola, il dibattito sull'episodio era feroce. O ancora, le serate in famiglia con un videogioco, passandosi il controller per superare quel livello maledetto di *Crash Bandicoot* o cercando di catturare tutti i 151 Pokémon su Game Boy, illuminato solo dalla luce di una lampada.

**Il Catalogo della Fantasia Sfrenata**

Cosa rendeva tutto così speciale? Una combinazione di ingredienti unici:

1.  **L'Assenza di Iper-stimolazione Digitale:** Senza uno schermo tascabile in ogni momento, la nostra noia diventava fertile. Da essa nasceva l'ispirazione per inventare nuovi giochi, per parlare con le ombre sul muro, per credere che quella nuvola avesse proprio la forma di un drago.

2.  **I Tesori Tattili:** I nostri oggetti del desiderio erano fisici. Le figurine degli album da *attaccare con la colla*, i tamagotchi da accudire come creature vive, le macchinine Mighty Max, le action figures di Gormiti. Ogni giocattolo non era solo un oggetto, ma un personaggio con una storia.

3.  **La Libertà:** I nostri genitori ci dicevano "Torna prima che faccia buio" e quella era l'unica regola. Eravamo esploratori di un mondo (il quartiere) che ci sembrava sconfinato e pieno di pericoli da affrontare, come cani ringhiosi o il vicino burbero.

4.  **L'Attesa:** L'attesa era parte del piacere. Aspettavamo una settimana per vedere il prossimo episodio della nostra serie preferita. Aspettavamo che il nastro si riavvolgesse. Aspettavamo che le foto dello sviluppo fossero pronte. Questa attesa alimentava il desiderio e rendeva tutto più prezioso.

Oggi, da adulti iperconnessi, guardiamo indietro a quelle giornate con un misto di tenerezza e stupore. Non era solo spensieratezza. Era un modo di essere. Eravano architetti di mondi, registi di storie in cui noi eravamo gli eroi.

Forse, ogni tanto, quella fantasia sfrenata non è davvero sparita. Si è solo addormentata. E aspetta solo il suono di un VHS immaginario, o il richiamo di un amico dal cortile della memoria, per risvegliarsi di nuovo.

**E tu, cosa inventavi per rendere speciale la tua giornata negli anni ‘90?** Raccontacelo nei commenti!



Non hai la coscienza, tu sei la coscienza: lo spazio immutabile e silenzioso in cui l'intero universo, incluso il tuo corpo e la tua mente, prende vita e si dissolve.


### **Tu Sei la Coscienza: Oltre il Mito dell'Io Separato**

Spesso, nella ricerca frenetica di risposte, ci imbattiamo nella domanda più grande di tutte: **cosa ci rende coscienti?** Cosa è questa luce interiore che permette di vivere un tramonto, di sentire un'emozione, di formulare un pensiero?

La risposta convenzionale ci porta a scrutare dentro il cranio, a studiare reti neurali e sinapsi, cercando il "punto della coscienza" nel cervello come se fosse un interruttore. Ma c'è un'altra prospettiva, radicale e al tempo stesso semplice, che ribalta completamente la domanda.

**Non è che "qualcosa" ci renda coscienti. Tu non *hai* la coscienza. Tu *sei* la coscienza.**

Questa non è solo una frase poetica. È un cambio di paradigma fondamentale che dissolve l'illusione più persistente: quella di essere un individuo separato, un "io" solido e localizzato dentro la testa, che *possiede* l'esperienza.

#### **L'Errore di Prospettiva Fondamentale**

Immagina uno schermo di cinema. Su di esso appaiono corpi, paesaggi, storie emozionanti, battaglie epiche. Tutto sembra reale e coinvolgente. Ora, chiediti: lo schermo è *dentro* il film? Lo schermo è nato quando è iniziata la pellicola? Morirà quando i titoli di coda scorreranno?

La risposta è ovvia: no. Lo schermo è il substrato immutabile, silenzioso e sempre presente *sul quale* e *all'interno del quale* il film può manifestarsi.

Ecco, **tu sei quello schermo, non il personaggio del film.**

Il corpo, con le sue sensazioni, appare *in te*. I pensieri, le emozioni, i ricordi, si muovono *attraverso di te*. Tu, come Coscienza pura, sei lo spazio in cui l'intero dramma della vita personale viene messo in scena. Non sei l'attore che recita la parte, sei il palcoscenico stesso, la consapevolezza che contiene tutto.

#### **La Coscienza: Non la Causa, ma la Sorgente**

Hai detto: "Non è la causa, è la Causa". È una distinzione profonda.

*   **Una "causa"** nel mondo fisico è un evento che precede un effetto. Il cervello potrebbe essere visto come la *causa* dei contenuti della coscienza (i pensieri, le percezioni).

*   **La "Causa"** con la C maiuscola, invece, è il Fondamento di tutto. È ciò che *permette* all'idea stessa di "causa ed effetto" di esistere. La Coscienza non è un ingranaggio nella catena causale; è il contesto in cui ogni catena ha significato.

Prima che un singolo pensiero possa formarsi, tu ci sei già. Quando un pensiero finisce, tu rimani. La Coscienza è quindi **non-nata** (in sanscrito, *aja*). Non è un prodotto del corpo o del cervello. Il corpo e il cervello *emergono* in essa e *sono conosciuti* da essa. Come può ciò che è nato (il corpo) dare origine a ciò che è non-nato (la Coscienza)? È un'assurdità logica. Allo stesso modo, quando il corpo muore, la Coscienza, essendo non-nata, **non può morire**. Semplicemente, cessa di riflettersi in quella forma particolare.

#### **L'Inadeguatezza del Linguaggio e la Via dell'Esperienza Diretta**

Come possiamo allora parlare di Ciò in cui sorge ogni spiegazione? Il linguaggio è uno strumento meraviglioso, ma è fatto per descrivere *oggetti*. Serve a delimitare, definire, separare: "io" da "te", "questo" da "quello".

La Coscienza non è un oggetto. È il Soggetto Ultimo, il Testimone di ogni esperienza. È come voler usare una rete per pescare l'oceano stesso. Puoi catturare qualche pesce (alcuni concetti), ma l'acqua scivolerà via tra le maglie.

Tutti i tentativi di definire la Coscienza sono destinati a fallire, perché ogni definizione sorge *all'interno di essa*. È il silenzio da cui nasce ogni suono. È lo spazio che contiene ogni forma. È Ciò che sei, prima di essere qualcuno.

#### **Come Sperimentare Ciò Che Sei**

Allora, se non si può descrivere, cosa si può fare? Si può *riconoscere*. Si può fare un passo indietro dall'identificazione con i pensieri e il corpo.

1.  **Fermati.** In un momento di quiete, chiudi gli occhi.

2.  **Senti le sensazioni del corpo.** Il peso, il contatto con la sedia, il respiro. Nota come queste sensazioni *appaiono*. A chi appaiono? Appaiono a te, alla consapevolezza che sei.

3.  **Osserva i pensieri.** Lascia che i pensieri passino come nuvole nel cielo. Non seguirli, non giudicarli. Semplicemente guardali sorgere e svanire. Nota che tu sei lo spazio in cui passano, non i pensieri stessi.

4.  **Chiediti: "Chi sono io?".** Non accettare una risposta mentale ("Sono Mario, un ingegnere"). Scava più a fondo. Al di là del nome, della professione, delle storie personali, cosa rimane? Rimane un senso di presenza, di essere, di pura consapevolezza. *Quella* sei tu.

Questa non è una pratica per *diventare* coscienti, ma per *realizzare* che lo si è sempre stati. È un ricordare ciò che non si è mai dimenticato, ma solo trascurato.

**In conclusione**, non cercare fuori ciò che sei già. Non cercare di afferrare con la mente ciò che la mente contiene. Rilassa la ricerca e, semplicemente, *Sii*. Tu sei la Coscienza stessa, illimitata, eterna e sempre presente. Il corpo e la mente sono i suoi movimenti meravigliosi, ma tu sei lo sfondo immobile, lo spazio di pura consapevolezza in cui l'universo intero prende vita.



"Mosca gioca una partita a scacchi con il mondo, usando gas, grano e alleanze strategiche come pedine per un'influenza che va ben oltre i suoi confini."


### **Title: L’Impatto Economico Globale della Russia: Una Strategia di Dominio?**

#### **Introduzione**

La Russia, con la sua vasta estensione territoriale e le immense risorse naturali, ha da sempre svolto un ruolo cruciale negli equilibri geopolitici mondiali. Negli ultimi anni, tuttavia, Mosca ha intensificato le sue ambizioni di influenzare l’economia globale, sollevando domande su quanto il suo obiettivo sia quello di dominare il mondo attraverso mezzi economici. In questo articolo, esploreremo come la Russia stia cercando di espandere la sua influenza e quali potrebbero essere le conseguenze per il resto del mondo.

#### **1. La Dipendenza Energetica Globale**

- **Risorse Naturali**: La Russia è uno dei maggiori produttori mondiali di gas naturale, petrolio e carbone. Paesi europei come Germania e Italia dipendono fortemente dalle esportazioni energetiche russe.

- **L’Arma del Gas**: Mosca ha utilizzato più volte le sue risorse energetiche come strumento di pressione politica. L’esempio più recente è la crisi energetica in Europa, innescata dal conflitto in Ucraina.

- **Conseguenze Globali**: Un’interruzione delle forniture energetiche russe potrebbe causare un’impennata dei prezzi mondiali dell’energia, con ripercussioni sull’inflazione e sulla crescita economica.

#### **2. L’Espansione Economica nei Mercati Emergenti**

- **Africa e Asia**: La Russia sta intensificando la sua presenza in Africa e Asia, offrendo accordi militari, energetici e infrastrutturali a paesi in via di sviluppo. Questo le permette di acquisire influenza in regioni strategiche.

- **Collaborazione con Cina e India**: Mosca sta rafforzando i legami con potenze economiche come Cina e India, creando alleanze in grado di sfidare il dominio occidentale.

#### **3. Sanzioni e Contromisure**

- **Resilienza Economica**: Nonostante le sanzioni occidentali, l’economia russa ha mostrato una sorprendente resilienza, grazie a misure come la diversificazione delle esportazioni e l’aumento del commercio con paesi non allineati.

- **Effetti Collaterali**: Le sanzioni hanno avuto ripercussioni globali, contribuendo all’aumento dei prezzi di beni essenziali come grano e fertilizzanti, con gravi conseguenze per i paesi più poveri.

#### **4. Il Ruolo delle Cyber-Guerre e della Disinformazione**

- **Attacchi Informatici**: La Russia è spesso accusata di condurre operazioni di cyber-warfare per destabilizzare economie e istituzioni straniere.

- **Disinformazione**: Mosca utilizza campagne di disinformazione per influenzare l’opinione pubblica e i mercati finanziari globali, minando la stabilità dei paesi occidentali.

#### **5. Cosa Significa per il Futuro?**

- **Riduzione della Dipendenza**: Molti paesi stanno cercando di ridurre la loro dipendenza dalla Russia, accelerando la transizione verso energie rinnovabili e cercando fornitori alternativi.

- **Nuovi Equilibri Globali**: La strategia russa potrebbe portare a un mondo più frammentato, con blocchi economici contrapposti e maggiore instabilità.

#### **Conclusione**

La Russia sta senza dubbio cercando di espandere la sua influenza economica globale, utilizzando risorse energetiche, accordi strategici e strumenti non convenzionali come la disinformazione. Se da un lato questo le conferisce un potere significativo, dall’altro espone il mondo a rischi di instabilità e conflitti economici. La domanda non è solo se la Russia possa dominare il mondo, ma come il resto del mondo risponderà a questa sfida.



domenica 2 novembre 2025

“Nel silenzio degli uffici e dietro gli schermi accesi, cresce una nuova forma di fatica: quella invisibile delle menti che lottano per restare presenti in un mondo che non conosce più pause.”



Lavorare nella società del malessere: quando la salute diventa il nuovo limite invisibile

Negli ultimi anni, il mondo del lavoro si è trasformato con una velocità che ha lasciato indietro molte persone. Tecnologie, ritmi accelerati, precarietà e isolamento digitale hanno cambiato non solo il modo di produrre, ma anche — e soprattutto — il modo di vivere. In questa corsa costante, il numero di lavoratori che si ammalano, fisicamente e mentalmente, è in aumento. E dietro i numeri ci sono storie di fatica, disorientamento e fragilità spesso taciute.

Un’emergenza silenziosa

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, entro il 2030 la depressione sarà una delle principali cause di disabilità nel mondo. Già oggi, disturbi come ansia, burnout, insonnia cronica e somatizzazioni legate allo stress stanno diventando parte integrante della quotidianità lavorativa. Le aziende si trovano di fronte a un problema sempre più complesso: come sostenere persone che non sono “visibilmente” malate, ma che faticano ogni giorno a mantenere concentrazione, energia e motivazione.

Le nuove malattie del lavoro

Non si tratta più solo di infortuni fisici o esposizione a rischi ambientali. Le patologie del XXI secolo sono spesso invisibili: riguardano la mente, la percezione di sé e il rapporto con il tempo.
Il “lavoro emotivo”, ossia la necessità di mostrarsi sempre positivi, collaborativi e disponibili, pesa tanto quanto un turno prolungato. Chi lavora da remoto vive spesso un senso di alienazione e isolamento, mentre chi è in presenza deve affrontare la pressione di performance costante e la paura di non essere mai abbastanza.

Il corpo che protesta

Molti disturbi fisici di oggi sono il linguaggio con cui il corpo parla di un disagio più profondo. Mal di schiena, gastriti, tachicardie e infiammazioni croniche sono sempre più legati a stati di stress prolungato. Non sono solo sintomi individuali, ma segnali collettivi di un modello che non regge più.

Verso una nuova cultura del lavoro

Il vero cambiamento non può arrivare solo dalle politiche aziendali o dai protocolli di benessere: serve una nuova consapevolezza culturale. Lavorare non deve significare consumarsi.
Serve ridare valore al tempo, alla pausa, alla lentezza. Le aziende che oggi investono nella salute mentale dei propri dipendenti — con ascolto, flessibilità e formazione emotiva — non fanno beneficenza, ma costruiscono il lavoro del futuro. Un lavoro che mette al centro l’essere umano, non la prestazione.

Un invito alla riflessione

Non possiamo più ignorare ciò che accade dietro le scrivanie, davanti agli schermi o nelle fabbriche del mondo moderno. La salute non è un privilegio, ma un diritto fondamentale.
Riconoscere le difficoltà non è debolezza, ma il primo passo verso una nuova etica del lavoro: più umana, più sostenibile, più vera.




“Il fascismo non ritorna in uniforme: ritorna nei gesti quotidiani, nelle parole distratte, nel silenzio di chi smette di pensare. È lì che dobbiamo stare attenti.”



Il Fascismo nei Piccoli Paesi: L’Ombra Lunga della Paura e dell’Abitudine

C’è un’Italia che sembra ferma nel tempo, dove i bar del centro sono ancora luoghi di ritrovo per pochi, dove il silenzio delle piazze la sera pesa più delle parole, e dove l’eco del passato continua a farsi sentire come una vecchia canzone che nessuno ha mai avuto il coraggio di cambiare.
In questi piccoli paesi — spesso splendidi per paesaggio, tradizioni e umanità — sopravvive una forma di fascismo che non sempre si dichiara, ma si percepisce.

Non più stivali, ma sguardi. Non più saluti, ma mentalità.

Il fascismo di oggi non ha bisogno di manifesti o di parate. Vive nelle frasi dette sottovoce, nei giudizi affrettati, nel sospetto verso chi è diverso, nel fastidio per chi osa pensare liberamente.
È un fascismo culturale, sottile, quotidiano: quello che si nasconde dietro la frase “si è sempre fatto così”.

La paura del cambiamento è la sua linfa. Nei piccoli paesi, dove tutti si conoscono e ogni novità è un terremoto, l’omologazione diventa una forma di difesa. Chi si distingue viene etichettato, isolato, o guardato con ironia. È così che la libertà muore piano, tra un sorriso di circostanza e un pettegolezzo di troppo.

L’educazione alla memoria che non arriva

Molti giovani crescono senza una reale consapevolezza storica. Le scuole fanno ciò che possono, ma la cultura locale — quella tramandata nei discorsi al bar o nei consigli comunali — spesso racconta un’altra storia: quella di un passato “in cui si stava meglio”, in cui “almeno c’era ordine”.
Dietro queste parole si nasconde un vuoto di senso, un’assenza di empatia, e la mancata elaborazione collettiva di ciò che il fascismo è stato: una ferita ancora aperta, che molti fingono di non vedere.

Il ruolo del silenzio

Il silenzio è il vero collante del fascismo moderno. Non serve più la propaganda, basta la disattenzione.
Il silenzio di chi non reagisce a una frase razzista.
Il silenzio di chi non prende posizione per paura di “crearsi nemici”.
Il silenzio delle istituzioni locali, che preferiscono mantenere la calma apparente piuttosto che affrontare i nodi culturali profondi.

Ma quel silenzio, alla lunga, diventa complicità. E nei piccoli paesi, dove ogni voce conta, anche una sola parola di verità può cambiare tutto.

Resistere oggi: il coraggio dell’individualità

Essere antifascisti oggi significa, prima di tutto, essere liberi di pensare.
Significa avere il coraggio di dire no quando tutti tacciono, di parlare quando il paese mormora, di accogliere invece di escludere.
Nei piccoli paesi, l’antifascismo è una forma di resistenza culturale che passa attraverso la gentilezza, la curiosità, la solidarietà.

Non è un gesto politico nel senso stretto, ma un gesto umano. È ricordare che dietro ogni “noi” c’è sempre un “io” libero, responsabile, capace di scegliere.


In fondo, il fascismo sopravvive solo dove si smette di pensare.
E ogni piccolo paese, con la sua storia e la sua bellezza, merita invece di essere un laboratorio di libertà, non un museo della paura.




sabato 1 novembre 2025

Trump, Xi e le cuffie mancanti: simboli di potere, linguaggio e immagine presidenziale

 Nell'incontro di Trump con Xi, entrambi i segretari Rubio e Bessent indossano le cuffie per la traduzione, ma Trump no. Trump parla correntemente il cinese? Durante la pandemia, Trump riteneva che indossare una mascherina non fosse "presidenziale", quindi lo faceva raramente, e ci sono stati numerosi focolai alla Casa Bianca e ha preso il Covid, il che ha richiesto il ricovero in ospedale. Solo un'ipotesi qui, ma sospetto che indossare le cuffie sia una minaccia per la virilità di Trump, quindi si è rifiutato di farlo. L'autoproclamato "genio molto stabile" conosce le parole anche se sono pronunciate in cinese. C'è una voce che circola secondo cui, dopo la fine di questo incontro, Trump sarebbe stato arrabbiato sia con Rubio che con Vance perché non aveva mai ricevuto il suo uovo. A quanto pare Trump ha frainteso ciò che gli veniva detto dai suoi ospiti cinesi e ha pensato che stessero descrivendo il menu della cena che descriveva le prelibatezze che sarebbero state servite dopo l'incontro. Fortunatamente per Rubio e Vance, Trump in realtà dimentica perché era arrabbiato solo pochi minuti dopo e si è fatto preparare dallo chef dell'AirForce 1 un hamburger e patatine fritte. Mai un momento di noia alla Casa Bianca di Trump.

Trump, Xi e le cuffie mancanti: simboli di potere, linguaggio e immagine presidenziale

Nel recente incontro tra Donald Trump e Xi Jinping, un dettaglio ha catturato l’attenzione degli osservatori più attenti: mentre i segretari statunitensi, Rubio e Bessent, indossavano le cuffie per la traduzione simultanea, Trump ne era privo. La scena, quasi teatrale, ha alimentato una domanda curiosa e legittima: Trump parla correntemente il cinese?

La risposta, naturalmente, è no. Trump non parla cinese, né ha mai mostrato pubblicamente di comprenderlo. Ma il punto non è linguistico: è politico, simbolico e mediatico. In quell’assenza di cuffie, così visibile accanto ai volti concentrati dei suoi collaboratori, si può leggere un gesto calcolato — o quantomeno coerente — con il modo in cui Trump costruisce la sua immagine pubblica fin dai primi giorni della sua carriera politica: l’uomo che non ha bisogno di intermediari.


Il linguaggio come potere visivo

La comunicazione non verbale è sempre stata un’arma chiave di Trump. Durante la sua presidenza, l’ex tycoon ha trasformato ogni apparizione in una performance visiva, dove i gesti contano più delle parole. Non indossare le cuffie di traduzione può essere letto come un segnale di forza e autonomia — un messaggio implicito al pubblico americano (e forse anche cinese): “Io controllo la conversazione. Capisco tutto, anche senza aiuto.”

Questa costruzione dell’immagine di potere “diretto” non è nuova. Durante la pandemia di Covid-19, Trump applicò la stessa logica alla questione delle mascherine. Nonostante gli avvertimenti scientifici, sosteneva che indossare una mascherina non fosse “presidenziale”. Preferiva mostrarsi senza, come se la vulnerabilità umana — il bisogno di protezione — fosse in contraddizione con il ruolo di comandante in capo.

Il risultato fu paradossale: numerosi focolai alla Casa Bianca, e lo stesso Trump contagiato. Eppure, anche dopo l’infezione, il suo messaggio politico non cambiò. Continuò a mostrarsi come l’uomo che affronta il virus “a viso aperto”.


Dalla mascherina alle cuffie: la costruzione del mito dell’autosufficienza

Nel mondo di Trump, la percezione è più potente della realtà. Non è necessario conoscere il cinese: basta sembrare in controllo della situazione. Non serve seguire le regole sanitarie, se il messaggio visivo trasmette sicurezza e dominio. È una retorica visiva, più che politica, in cui ogni gesto è studiato per rafforzare la figura di un leader impermeabile, autosufficiente, “più grande della realtà”.

Trump sa che la politica moderna è spettacolo, e il potere, nella percezione pubblica, si misura sempre più in immagini e posture, non in contenuti o competenze.
Così, l’assenza delle cuffie diventa la naturale evoluzione della mascherina non indossata: in entrambi i casi, un rifiuto del filtro, del dispositivo che media tra sé e il mondo. Che si tratti di una barriera sanitaria o linguistica, Trump la rimuove per ribadire un messaggio semplice: io non ho bisogno di traduzioni, né di protezioni.


Il linguaggio della leadership nell’era post-pandemica

Questo atteggiamento, però, solleva una riflessione più profonda sul ruolo dell’immagine nella leadership contemporanea. La pandemia ha mostrato quanto le scelte simboliche possano avere conseguenze reali: il rifiuto di apparire “debole” può tradursi in comportamenti pericolosi, e la teatralità politica può costare caro, anche in termini di salute pubblica.

Nel contesto internazionale, la scena del vertice con Xi si trasforma così in un piccolo teatro del potere globale.
Xi, pragmatico e silenzioso, rappresenta il controllo; Trump, senza cuffie, incarna la sfida e l’improvvisazione. Due visioni del comando che si confrontano non solo nelle parole, ma nei gesti, negli oggetti, nei silenzi.


Epilogo: il linguaggio che non ha bisogno di parole

Alla fine, Trump non parla cinese — ma sa parlare attraverso l’immagine, che per lui è un linguaggio universale. La mancanza delle cuffie è un messaggio che supera la traduzione, proprio come il suo rifiuto della mascherina era un messaggio che andava oltre la scienza.

Nel bene e nel male, la sua forza comunicativa sta nel trasformare ogni dettaglio in un simbolo di potere.
E anche un gesto apparentemente banale — come sedersi accanto a Xi Jinping senza un auricolare — diventa parte di quella grande narrazione visiva che Trump, più di ogni altro politico contemporaneo, ha saputo costruire: il mito dell’uomo che non ascolta, ma comanda.



“L’intelligenza artificiale si costruisce con il lavoro invisibile di migliaia di menti umane: è la nuova catena di montaggio del pensiero.”



La nuova lavorazione dell’intelligenza artificiale: un problema mondiale ancora invisibile

C’è una nuova rivoluzione industriale in corso. Silenziosa, digitale, globale.
E come ogni rivoluzione, anche quella dell’intelligenza artificiale ha il suo lato oscuro: la nuova lavorazione dell’IA. Un sistema di produzione immateriale, distribuito in tutto il mondo, che alimenta i modelli intelligenti dietro le quinte dei nostri schermi.

Dietro l’automazione: il lavoro umano invisibile

Dietro l’apparente perfezione di ChatGPT, Gemini, Midjourney o DALL·E, ci sono migliaia di lavoratori sottopagati che curano, puliscono e addestrano i dati.
Sono persone che leggono e classificano milioni di frasi, immagini e video per insegnare alle macchine a riconoscere la realtà.
Lavorano in condizioni spesso precarie — in Kenya, Filippine, India, Sud America — per salari di pochi dollari l’ora, a contatto costante con contenuti traumatici: violenza, razzismo, pornografia, manipolazioni politiche.

È la fabbrica dell’intelligenza artificiale, ma senza fabbrica: un ecosistema frammentato, invisibile, in cui la conoscenza viene estratta come una nuova forma di materia prima — i dati umani.

La nuova catena di montaggio cognitiva

Nel secolo scorso si parlava di “catena di montaggio”.
Oggi parliamo di catena cognitiva: una sequenza di micro-attività intellettuali che trasformano la mente umana in un ingranaggio dell’automazione.
Le aziende tecnologiche esternalizzano queste attività, creando piattaforme in cui ogni clic, ogni giudizio, ogni etichetta diventa un mattoncino del pensiero artificiale.

Questo processo non è solo economico, ma anche filosofico: stiamo delegando alla macchina il modo in cui comprendiamo il mondo, ma lo facciamo sfruttando esseri umani in carne e ossa, nascosti dietro la promessa della “intelligenza automatica”.

L’etica del potere e il rischio dell’indifferenza

L’intelligenza artificiale viene spesso raccontata come un’entità neutrale, capace di risolvere problemi, creare efficienza, generare progresso.
Ma chi controlla i dati controlla la conoscenza, e chi controlla la conoscenza controlla il futuro.

Se l’estrazione dei dati diventa la nuova forma di colonialismo, la mente umana è il nuovo territorio conquistato.
Serve un’etica che non si limiti a regolare gli algoritmi, ma che difenda la dignità del lavoro umano dentro il sistema tecnologico.
Un’IA veramente “intelligente” non può nascere sullo sfruttamento della consapevolezza altrui.

Verso un nuovo umanesimo tecnologico

Il futuro dell’intelligenza artificiale non sarà scritto solo dal codice, ma dalla coscienza collettiva che lo accompagna.
Serve un nuovo umanesimo digitale, capace di unire creatività, etica e trasparenza.
Significa ridare valore al contributo umano, riconoscere chi addestra le macchine, pretendere responsabilità dalle aziende che le progettano.

L’IA non deve essere una gabbia che cattura l’intelligenza umana, ma un ponte verso un modo più equilibrato di vivere la conoscenza.


Conclusione:
La vera sfida non è costruire macchine più potenti, ma costruire una civiltà più consapevole.
Dietro ogni algoritmo c’è una mano, una mente, un cuore.
Ed è lì che inizia la vera intelligenza.



Mediaset non è stata solo televisione, ma una leva di potere capace di trasformare la visibilità in fiducia, le aziende in marchi e il lavoro invisibile dietro le quinte in un’influenza che ha segnato un’epoca.

  Mediaset: il grande potere televisivo che ha plasmato l’immaginario collettivo e il mercato Per decenni Mediaset non è stata soltanto una ...