sabato 29 novembre 2025

“Quando l’aiuto diventa ricatto, la disabilità non è più nel corpo, ma nella libertà che qualcuno ti ruba a poco a poco.”

 

Quando il “prendersi cura” diventa un gioco sporco:
le manipolazioni mentali sulle persone con disabilità motorie

“Se non fosse per me, tu non potresti fare nulla. Quindi è giusto che decida io.”

Dietro frasi come questa non c’è amore. C’è potere.
E quando il potere incontra una persona fragile, magari con difficoltà motorie o invalida, può trasformarsi in una vera e propria gabbia psicologica.

In questo articolo ti porto dentro il “gioco delle manipolazioni mentali” rivolte alle persone con disabilità, smontandolo pezzo per pezzo: dinamiche, trucchi più usati, conseguenze profonde e – soprattutto – cosa si può fare per difendersi, sia come persona coinvolta sia come familiare, operatore o semplice alleato.


1. Cos’è davvero la manipolazione mentale?

Non è semplice “influenza” o “persuasione”.
La manipolazione mentale è un uso intenzionale di parole, silenzi, gesti e situazioni per piegare la volontà di qualcuno a proprio vantaggio, senza rispettarne la libertà.

Caratteristiche tipiche:

  • c’è sempre una differenza di potere (fisico, economico, emotivo, sociale)

  • il manipolatore non è trasparente: dice una cosa, ne vuole un’altra

  • la persona manipolata finisce per dubitare di sé, dei propri bisogni e della propria percezione

Nel caso di persone con disabilità motorie o invalidità, questa dinamica si amplifica, perché spesso dipendono da altri per:

  • spostarsi

  • lavarsi, vestirsi, mangiare

  • gestire documenti, soldi, pratiche burocratiche

  • avere accesso ai luoghi, alle attività, alla socialità

Questa dipendenza materiale può diventare – se usata male – una leva potentissima sul piano mentale ed emotivo.


2. Perché le persone con disabilità sono più esposte alla manipolazione

Non perché “più deboli” dentro, ma perché vivono in un sistema che spesso le rende vulnerabili.

Ecco alcune condizioni che aprono la porta alle manipolazioni:

2.1 Dipendenza pratica da un caregiver

Chi ti lava, ti sposta, ti porta in bagno, spesso è anche chi:

  • decide quando puoi uscire

  • controlla chi puoi vedere

  • gestisce eventuali soldi o documenti

Questo crea una realtà non detta:

“Se lo contraddico, rischio di perdermi l’aiuto. E io dipendo da quell’aiuto.”

Il manipolatore lo sa, e può usare questa dipendenza come minaccia implicita.


2.2 Isolamento sociale

Molte persone con difficoltà motorie:

  • escono meno di casa

  • incontrano meno persone nuove

  • si appoggiano a pochi riferimenti stabili

L’isolamento è uno dei terreni preferiti dai manipolatori:
meno contatti hai, meno confronti hai.
E senza confronto, è più facile credere che:

  • “forse esagero”

  • “sono io il problema”

  • “in fondo mi vuole bene, è solo fatto così”


2.3 Senso di colpa e “peso” percepito

A volte la società bombardando con l’idea che la persona disabile sia un “peso”, crea una ferita interna:

“Dò fastidio, costo, complico la vita agli altri.”

Un manipolatore trasforma questa ferita in uno strumento di controllo:

  • “Con tutto quello che faccio per te…”

  • “Ti rendi conto di quanto mi stanchi?”

  • “Dovresti ringraziarmi, non lamentarti.”

Queste frasi spostano il fuoco: non si parla più di ciò che è giusto o sbagliato, ma di quanto la persona disabile si “permette” di esigere.


3. Le forme più subdole di manipolazione mentale in questo contesto

Vediamole in modo chiaro, una per una.

3.1 Gaslighting: farti dubitare della tua realtà

Il gaslighting è la manipolazione che ti fa chiedere:
“Sto impazzendo?”

Esempi tipici:

  • Negare fatti evidenti:
    “Non ti ho mai detto così, te lo sei inventato.”

  • Minimizzare episodi gravi:
    “Ma era solo uno scherzo, sei tu che sei troppo sensibile.”

  • Girare la frittata:
    “Se ti alzi nervoso è colpa tua, io non ho fatto nulla.”

Su una persona già in difficoltà, magari con paura di pesare sugli altri, l’effetto è devastante:
inizia a fidarsi più di chi la manipola che di se stessa.


3.2 Ricatto affettivo travestito da “cura”

Qui il messaggio è:

“Se non fai come dico io, ti faccio mancare affetto, presenza o aiuto.”

Frasi come:

  • “Dopo tutto quello che faccio, potresti almeno non discutere.”

  • “Se continui così, vedi che non ti accompagno più da nessuna parte.”

  • “Ti vedo solo io, gli altri ti hanno già abbandonato… ricordalo.”

In apparenza c’è cura, in profondità c’è controllo.


3.3 Infantlizzazione: trattarti come un bambino

Succede quando ti parlano di te davanti ad altri, come se tu non fossi presente o fossi incapace di capire:

  • “Lui è bravo, eh, ma quando fa i capricci… lasciamo stare.”

  • “Non si preoccupi dottore, con lui ci penso io.”

Oppure quando:

  • non ti vengono spiegate le decisioni che ti riguardano

  • ti si parla con tono e parole che useresti con un bimbo di 3 anni

  • ogni tua opinione viene archiviata come “fantasia” o “fase”

Questo non è “protezione”: è annullamento della tua identità adulta.


3.4 Controllo economico e burocratico

Chi controlla:

  • pensione di invalidità

  • bonus, indennità, rimborsi

  • documenti, deleghe, firme

ha in mano un potere enorme.

Manipolazioni possibili:

  • “Ti gestisco io i soldi, tu non sei in grado.”

  • “Non preoccuparti di queste cose complicate, sono io che decido.”

  • “Se mi fai arrabbiare, la prossima domanda non la faccio.”

Questo può portare la persona a non avere più accesso reale ai propri mezzi, pur essendone formalmente titolare.


3.5 “Nessuno ti crederà”

Altra carta tipica del manipolatore:

  • “Chi vuoi che ti stia a sentire?”

  • “Con la tua situazione, penseranno che sei confuso.”

  • “Se lo dici in giro, faccio vedere io chi credono.”

La persona disabile viene così convinta di non avere voce, di essere vulnerabile anche sul piano della credibilità sociale.


4. Le conseguenze profonde: molto oltre il “malessere”

La manipolazione mentale non lascia lividi, ma lascia:

  • crollo dell’autostima

  • ansia costante, paura di sbagliare, ipervigilanza

  • senso di colpa patologico (“sono io a farlo arrabbiare”)

  • difficoltà a prendere decisioni autonome

  • vergogna nel chiedere aiuto (“magari esagero”)

  • in alcuni casi, sintomi depressivi o dissociativi

Per una persona che ha già una battaglia fisica quotidiana, aggiungere anche questo peso psicologico significa logorare lentamente il suo diritto a esistere con dignità.


5. Come riconoscere che sei (o qualcuno è) dentro questo “gioco sporco”

Non servono diagnosi da esperto: ci sono campanelli d’allarme concreti.

Fai attenzione se:

  • ti senti obbligato a ringraziare anche quando subisci mancanze di rispetto

  • ti accorgi che prima di parlare ti chiedi: “Si offenderà? Mi punirà?”

  • ti senti in colpa ogni volta che chiedi qualcosa che è un tuo diritto (uscire, cambiare orario, vedere qualcuno)

  • chi si prende cura di te:

    • ti isola dagli altri

    • parla male degli altri che ti vogliono bene

    • pretende riconoscenza eterna

  • ogni discussione finisce con:
    “Senza di me non saresti nessuno.”

Se sei familiare o amico, osserva:

  • cambiamenti improvvisi di umore e chiusura

  • frasi come: “Meglio che non lo dica, altrimenti si arrabbia.”

  • paura continua di “disturbare” chi assiste

  • rinunce inspiegabili a attività che prima facevano bene


6. Cosa fare per uscire – o almeno iniziare a incrinare il meccanismo

Non esiste una ricetta unica, ma alcuni passi possono aiutare.

6.1 Primo livello: dentro di te

  • Dai dignità alle tue sensazioni
    Se qualcosa ti fa stare male, non è “dramma”: è un segnale.

  • Separare aiuto da potere
    Una cosa è il supporto materiale, un’altra è avere il diritto di decidere al posto tuo su tutto.

  • Riconosci i NO che hai ingoiato
    Fai un elenco mentale (o scritto) di situazioni in cui avresti voluto dire no e non l’hai fatto per paura di perdere l’aiuto.

Questo non risolve subito, ma rimette te al centro del racconto.


6.2 Secondo livello: aprire spiragli all’esterno

La manipolazione prospera nel silenzio. Alcuni passi possibili:

  • Parlare con un’altra persona di fiducia
    Un familiare, un amico, un vicino, un operatore esterno: chiunque non sia legato a doppio filo al manipolatore.

  • Usare servizi di ascolto e supporto psicologico
    Anche una o due consulenze possono aiutare a fare chiarezza. Spesso basta uno sguardo esterno per “rinominare” ciò che stai vivendo.

  • Se sei un familiare: osserva senza giudicare
    Non partire con “ti stai facendo manipolare”, ma con:
    “Come ti senti quando succede questo? Ti senti rispettato davvero?”


6.3 Terzo livello: ridefinire il patto di cura

Qui si entra nel concreto, e ogni situazione è diversa. Alcune possibilità:

  • Stabilire regole chiare
    Orari, compiti, spazi di privacy. Non dev’essere solo il caregiver a decidere.

  • Prevedere più di una figura di supporto
    Se possibile, alternare più persone (familiari, assistenti, servizi) riduce il potere assoluto di una sola persona.

  • Separare gestione economica e cura fisica
    Chi ti lava non deve per forza essere chi gestisce i soldi o i documenti. Separare i ruoli riduce il rischio di abuso di potere.


6.4 Quando la manipolazione sfocia nell’abuso vero e proprio

Ci sono casi in cui la manipolazione mentale si accompagna a:

  • minacce esplicite

  • abbandono intenzionale (“ti lascio lì così impari”)

  • umiliazioni ripetute davanti ad altri

  • uso improprio dei tuoi soldi o dei tuoi dati

In queste situazioni, la parola non è più solo “manipolazione”, ma abuso.

Può diventare necessario:

  • coinvolgere altri familiari

  • informare servizi sociali, associazioni di tutela, enti competenti

  • valutare, con professionisti, percorsi legali o di protezione

Non è “tradire” qualcuno: è proteggere la tua integrità.


7. Il ruolo di chi sta intorno: familiari, operatori, amici, vicini

Se non vivi direttamente la disabilità ma sei vicino a chi la vive, puoi diventare parte della soluzione.

Cosa puoi fare concretamente:

  • Ascoltare senza minimizzare
    Evita frasi come “ma dai, esageri”, “in fondo ti vuole bene”.
    Piuttosto: “Ok, raccontami meglio, cosa succede di preciso?”

  • Offrire confronto, non solo pietà
    Chiedi: “Come ti piacerebbe che fosse organizzata la tua giornata?”
    Non sostituirti, ma aiutalo/a a riprendere voce.

  • Non chiudere gli occhi su dinamiche sospette
    Se vedi umiliazione sistematica, ricatti, isolamento, non archiviarli come “carattere difficile”. Sono segnali.

  • Fare rete
    Mettere in contatto la persona con associazioni, gruppi, professionisti. Più relazioni ha, meno una singola persona può dominarla.


8. Un punto chiave: non basta “essere buoni”, serve un’etica del potere

Assistenti, infermieri, OSS, volontari, familiari: tutti coloro che si occupano di persone con disabilità hanno, che lo vogliano o no, un potere.

Non è solo questione di “bondà” o “vocazione”. È questione di:

  • riconoscere che chi è dipendente fisicamente è in posizione di svantaggio

  • lavorare attivamente per restituire autonomia, voce, scelta

  • accettare che chi riceve il tuo aiuto ha il diritto di:

    • criticarti

    • lamentarsi

    • chiedere altro

    • cambiare assistente

Quando la cura non include questa consapevolezza, rischia di scivolare – anche senza cattive intenzioni – verso forme sottili di manipolazione.


9. Non sei “ingrato”: stai solo rivendicando dignità

Se sei una persona con difficoltà motorie o invalida e ti sei riconosciuto/a in anche solo un pezzo di ciò che hai letto, voglio dirti una cosa chiara:

  • Non sei esagerato se ti senti soffocare.

  • Non sei ingrato se metti dei limiti.

  • Non sei egoista se chiedi rispetto oltre all’aiuto.

Hai diritto:

  • a essere ascoltato, non solo assistito

  • a scegliere chi ti aiuta, come, quando, per quanto

  • a sbagliare, cambiare idea, dire “no”

  • a vivere relazioni in cui non devi pagare ogni gesto di cura con la tua libertà mentale

Se ti va, nel prossimo passo posso aiutarti a:

  • trasformare questo articolo in una serie di contenuti per il tuo blog (titoli, rubriche, call-to-action)

  • o creare una guida pratica scaricabile per persone con disabilità e per chi le assiste

Dimmi solo se preferisci un taglio più informativo, più emotivo o più orientato alla denuncia sociale, e procediamo da lì.



«Il riscaldamento globale è reale, ma ancora più rovente è la quantità di truffe che lo usano come scusa per bruciare i nostri soldi e la nostra fiducia.»

 Il riscaldamento globale come scusa perfetta: quante truffe ci girano intorno?


Prima di tutto: il clima è reale, le truffe pure

Partiamo da un punto fermo, così sgombriamo il campo: il riscaldamento globale è un fenomeno reale, documentato da decenni di dati scientifici.
Il problema è che proprio perché il tema “clima” è ovunque – news, politica, investimenti, bonus fiscali – è diventato una calamita per truffatori, furbetti e speculatori.

Il risultato? Dietro parole come “green”, “carbon neutral”, “net zero” e “energia pulita” spesso si nasconde un business opaco, quando non apertamente fraudolento.

In questo articolo vediamo:

  • Perché è impossibile dare un numero preciso delle truffe “climatiche”

  • Alcuni dati economici reali che ci danno un ordine di grandezza

  • Le principali categorie di truffe che usano il riscaldamento globale come alibi

  • Come riconoscerle e difendersi, sia come cittadini che come investitori


Quante truffe ci sono davvero?

La domanda è legittima: “Ok, ma in concreto… quante truffe ci sono?”
La risposta sincera è: non lo sa nessuno, e chi ti dà un numero secco sta semplificando troppo.

Quello che possiamo fare però è guardare le dimensioni economiche del fenomeno “crimini ambientali e green fraud”:

  • Organismi internazionali come UNEP, Interpol, FATF e OCSE stimano che il giro d’affari dei crimini ambientali (che includono anche frodi legate al clima, carbon credit fraud, ecc.) sia oggi tra 110 e 281 miliardi di dollari l’anno a livello globale.(OECD)

  • È uno dei settori criminali più redditizi al mondo, subito dietro droga, contraffazione e tratta di esseri umani.(interpol.int)

  • All’interno di questo enorme “ombrello” rientrano: illegal logging, traffico di rifiuti, commercio illegale di fauna, mining, ma anche frodi sui crediti di carbonio e falsi progetti climatici, cioè proprio quei meccanismi che usano il clima come narrativa di copertura.(UNEP - UN Environment Programme)

Un dato emblematico: la frode IVA sul mercato dei crediti di carbonio dell’UE (il famoso carbon trading VAT fraud) ha causato, secondo Europol, circa 5 miliardi di euro di danni ai contribuenti europei in pochi anni, con stime che indicano che in alcuni paesi fino al 90% degli scambi era fraudolento.(Europol)

E questo è un solo tipo di truffa, in un solo segmento (ETS/crediti di carbonio), in un solo continente, in un arco temporale limitato.

Quindi:
👉 Non abbiamo il numero delle truffe, ma abbiamo la prova che il “business criminale del clima” si misura in decine (se non centinaia) di miliardi l’anno.


Le grandi famiglie di truffe “green” che sfruttano il riscaldamento globale

1. Frodi nei crediti di carbonio e nei mercati volontari

È probabilmente la categoria più strutturata e tecnicamente complessa.

Come funziona in teoria:
Un’azienda che emette CO₂ compra crediti da progetti che “assorbono” o “evitano” emissioni (riforestazione, energie rinnovabili, conservazione foreste, ecc.). Un credito = 1 tonnellata di CO₂ compensata.

Come viene distorto nella pratica:

  • Vengono creati crediti fantasma: emissioni ridotte solo sulla carta, ma non nella realtà.

  • Si gonfiano i numeri: progetti che vantano benefici climatici molto superiori al reale.

  • Si vendono gli stessi crediti più volte a soggetti diversi.

  • Si usano schemi fiscali e IVA per frodare gli Stati (come nel caso europeo da 5 miliardi).(Europol)

Studi recenti sui mercati volontari del carbonio (VCM) parlano apertamente di corruzione, frode e supervisione debole, con un impatto enorme sulla credibilità dell’intero sistema.(Integrità e Corruzione)

Nel 2025, un report della London School of Economics ha evidenziato un aumento di cause legali in tutto il mondo contro aziende che usano in modo ingannevole i crediti di carbonio, incluse cause per frode legata agli offset negli Stati Uniti.(The Guardian)

Tradotto: il clima è reale, ma una parte del mercato dei “crediti per salvarlo” è diventata un terreno fertile per truffe e greenwashing spinto.


2. Investimenti “green” e truffe finanziarie a tema clima

Un’altra grossa categoria: finti investimenti green.

Cosa promettono:

  • Rendimenti “garantiti” grazie alla transizione energetica.

  • Progetti “innovativi” per salvare il pianeta.

  • Fondi “ESG – climate only” con rendimenti fuori scala.

Le autorità europee per la sicurezza finanziaria e le forze di polizia segnalano da anni frodi di investimento collegate a progetti ambientali, emissioni di certificati e green bond, gestione illecita di fondi e misappropriazione di capitali.(Europol)

Queste truffe usano parole chiave come:

  • carbon neutral, net zero, green transition, climate tech, renewable megaproject
    ma dietro spesso non c’è nessuna infrastruttura reale, né pianificazione concreta.


3. Truffe su pannelli solari, efficienza energetica e bonus

Qui arriviamo a qualcosa che tocca direttamente cittadini e famiglie.

Autorità come la Federal Trade Commission (FTC) negli USA e il Dipartimento del Tesoro hanno dedicato intere campagne alle truffe legate a:

  • Installazione di pannelli solari con promesse di risparmio irreale.

  • Finanziamenti e leasing opachi, con costi nascosti e vincoli pluridecennali.

  • Aziende che spariscono dopo aver incassato acconti o aver fatto firmare contratti capestro.(Federal Trade Commission)

Tra i pattern più comuni:

  • Call center aggressivi che chiamano “a nome del governo” o di programmi pubblici sul clima.

  • Promesse di “pannelli gratis grazie agli incentivi” quando in realtà si tratta di mutui o leasing lunghi e costosi.

  • Contratti complessi, con clausole che vincolano la casa (fino ad arrivare a ipoteche o problemi sul titolo di proprietà).(swce.coop)

Dietro la narrativa “lo facciamo per il pianeta” si nasconde semplicemente un trasferimento di ricchezza dal consumatore disinformato al venditore disonesto.


4. ONG fasulle, crowdfunding climatico e progetti “storytelling only”

Un’altra frontiera: le campagne di raccolta fondi.

  • Piattaforme di crowdfunding con progetti che promettono di piantare alberi, salvare foreste, proteggere comunità vulnerabili al cambiamento climatico, ma senza alcuna trasparenza sull’uso dei fondi.

  • “Associazioni ambientaliste” che esistono solo online, con indirizzi inesistenti, nessun bilancio, nessuna prova concreta di attività.

In questi casi la truffa è più sottile: non sempre si parla di reato penale su larga scala, ma di mille micro-raccolte che vivono solo di narrazione emotiva e storytelling.


5. Phishing e furto dati mascherati da emergenza climatica

Ultima categoria, ma in crescita:

  • Email che imitano organizzazioni internazionali, agenzie governative o utility che chiedono di aggiornare i dati per “accedere agli incentivi energetici”.

  • Finti portali per “calcolare la tua carbon footprint” che in realtà servono a raccogliere dati sensibili o spingerti verso investimenti dubbi.

  • Sondaggi online “per il clima” che poi diventano lead venduti ad aziende aggressive o, peggio, a truffatori.

Qui la leva psicologica è doppia: senso di urgenza + senso di colpa ambientale.


Perché il riscaldamento globale è una scusa così potente per chi truffa

Riassumendo, il “clima” è un alibi perfetto per almeno quattro motivi:

  1. È complesso
    ETS, offset, VCM, green bond, certificazioni… La maggioranza delle persone non ha il tempo (né la voglia) di approfondire i meccanismi tecnici. Questo crea uno spazio enorme per chi “vende fumo” ben confezionato.

  2. È carico di emozioni
    Paura del futuro, ansia ecologica, desiderio di “fare la propria parte”: tutti elementi che abbassano le difese critiche e rendono più facile dire “sì” a offerte che promettono di aiutare il pianeta.

  3. È sostenuto da soldi pubblici e incentivi
    Incentivi, bonus fiscali, programmi di transizione: una cascata di denaro reale che attira, inevitabilmente, chi vuole intercettare quei flussi in modo illecito o borderline.(Europol)

  4. È difficile verificare l’impatto reale
    Come fa un cittadino o un piccolo investitore a verificare se un progetto in Africa o in Amazzonia riduce davvero emissioni? Serve accesso a dati, immagini satellitari, audit indipendenti. Il che, di solito, non c’è.


Come riconoscere (e smontare) le truffe che usano il clima come scusa

Una sorta di checklist pratica, utile sia per i tuoi lettori sia per te come autore:

1. Rendimenti garantiti + narrativa etica = red flag
Se qualcuno ti promette rendimenti alti e sicuri perché “il mercato del clima è il futuro” o perché “i governi non possono che spingere il green”… sospetto immediato.

2. Pressione a decidere subito
“Offerta valida solo oggi”, “il fondo chiude tra 24 ore”, “gli incentivi stanno per finire”: la fretta è uno strumento classico della truffa, anche quando si traveste da emergenza climatica.

3. Nessuna trasparenza su chi certifica cosa
Nel mondo dei crediti di carbonio e dei progetti climatici seri esistono standard, verificatori indipendenti, registri pubblici. Se questi nomi non compaiono mai, o sono impossibili da verificare, è un pessimo segnale.(interpol.int)

4. Contratti incomprensibili per il consumatore medio
Nel caso di pannelli solari, efficienza energetica e simili: contratti lunghi, pieni di clausole tecniche, con poca chiarezza sul chi paga cosa, per quanto, con quali penali sono esattamente ciò che le autorità di consumo indicano come terreno fertile per abusi e truffe.(Consumer Advice)

5. Nessuna traccia online credibile
Progetto climaticamente rivoluzionario ma:

  • nessun bilancio,

  • nessun report,

  • nessun audit,

  • sito vetrina e basta?

Allora probabilmente è solo un trucco di comunicazione costruito sulla sensibilità ambientale del pubblico.


Conclusione: il clima non è una truffa, ma è pieno di truffe che usano il clima

Se dovessimo condensare tutto in una frase da usare come chiusura di articolo:

Non è il riscaldamento globale a essere una truffa:
è l’uso opportunistico del clima come copertura narrativa che ha creato un intero ecosistema di truffe, dal salotto del piccolo risparmiatore fino alle più sofisticate operazioni finanziarie globali.

Per il tuo blog puoi giocarti bene questo contrasto:

  • Da un lato: dati, report, numeri che mostrano quanto sia enorme il business criminale legato all’ambiente e al clima.

  • Dall’altro: strumenti concreti per aiutare il lettore a non farsi fregare dalla prossima “offerta green imperdibile”.

Se vuoi, nel prossimo passo posso aiutarti a:

  • trasformare questo pezzo in una serie di articoli (uno per ogni tipo di truffa),

  • oppure estrarne una checklist scaricabile o un mini “vademecum anti-truffe green” da offrire ai lettori come lead magnet.



giovedì 27 novembre 2025

“Dietro ogni decollo perfetto c’è un pilota che ha allenato la mente prima ancora delle mani.”

 I piloti di aerei di linea: addestramento, responsabilità e fattore psicologico

Quando sali a bordo di un aereo di linea e ti accomodi al tuo posto, probabilmente dai per scontato che “là davanti” ci siano due persone estremamente preparate. Ma cosa significa davvero essere pilota di linea oggi? Quanto è lunga la loro formazione? E quanto conta la psicologia, oltre alla tecnica?

In questo articolo entriamo nella cabina di pilotaggio dal punto di vista umano e professionale: formazione, addestramento continuo, gestione dello stress, lavoro di squadra e fattore psicologico.


1. Il lungo percorso per diventare pilota di linea

Diventare pilota non è un semplice “prendo una patente e vado”. È un percorso lungo, costoso e selettivo, che passa in genere da:

  • Licenza PPL (Private Pilot Licence) – È la base: consente di pilotare velivoli leggeri a scopo non commerciale.

  • Licenza CPL (Commercial Pilot Licence) – Permette di volare a pagamento, ma non ancora come comandante di linea su aerei di grandi dimensioni.

  • Abilitazione al volo strumentale (IR – Instrument Rating) – Fondamentale per volare in condizioni meteo avverse e affidarsi agli strumenti di bordo.

  • Abilitazione plurimotore (ME – Multi Engine) – Per pilotare aerei con più motori, tipici dell’aviazione commerciale.

  • ATPL (Airline Transport Pilot Licence) – È la licenza “top”, necessaria per diventare comandante di un aereo di linea. Spesso si inizia con un ATPL “frozen”, che diventa “unfrozen” dopo un certo numero di ore di volo.

A questo si sommano:

  • Test teorici molto intensi (navigazione, meteorologia, performance, regolamenti, sistemi aeronautici, ecc.).

  • Addestramento pratico su aerei scuola e simulatori, con scenari di emergenza ripetuti fino alla perfezione.

  • Selezioni delle compagnie aeree, che includono test attitudinali, conoscenza tecnica, prove in simulatore e valutazioni psicologiche.


2. Addestramento continuo: il lavoro non finisce mai

Una volta assunti in compagnia, non è che “ci si rilassa”: l’addestramento è continuo.

Check periodici

I piloti sono sottoposti a controlli regolari:

  • Recurrent training: sessioni periodiche in simulatore (tipicamente ogni 6 mesi) in cui vengono ripassate manovre normali e procedure di emergenza (piantata motore, depressurizzazione, avaria agli strumenti, atterraggi in condizioni meteo difficili, ecc.).

  • Line check: voli di linea con un esaminatore a bordo che valuta il pilota durante un normale turno di lavoro.

  • Check medici: le visite mediche aeronautiche sono obbligatorie e rigorose; un problema di salute può comportare la sospensione temporanea o definitiva dell’idoneità.

Standardizzazione delle procedure

Uno degli aspetti più importanti è la standardizzazione:

  • Checklist comuni, frasi standard, ruoli definiti tra comandante (Captain) e primo ufficiale (First Officer).

  • Ogni fase del volo (pre-volo, rullaggio, decollo, crociera, avvicinamento, atterraggio) ha procedure precise.

  • Questo riduce i margini di errore, specialmente in situazioni di stress o imprevisti.


3. Il fattore umano: più importante della tecnologia

Nell’aviazione moderna si parla spesso di Human Factors: il modo in cui le caratteristiche umane (cognitive, emotive, sociali) influenzano la sicurezza del volo.

CRM: Crew Resource Management

Uno dei pilastri è il CRM (Crew Resource Management), un insieme di competenze “non tecniche” insegnate e valutate:

  • Comunicazione chiara: saper parlare in modo diretto, senza ambiguità, nei momenti critici.

  • Leadership e followership: il comandante guida ma deve anche saper ascoltare; il primo ufficiale deve sentirsi autorizzato a parlare se nota un problema.

  • Gestione degli errori: l’errore umano è inevitabile; il sistema è progettato per intercettarlo e correggerlo rapidamente.

  • Gestione del carico di lavoro: prioritizzare i compiti, delegare, rinviare ciò che non è essenziale nei momenti critici (“aviate, navigate, communicate”).


4. Psicologia del pilota: stress, responsabilità e lucidità

Il pilota non è solo un tecnico: è una persona che, ogni giorno, porta con sé responsabilità enormi e deve mantenere lucidità costante.

Gestione dello stress

Fonti di stress:

  • Condizioni meteo difficili

  • Traffico aereo intenso

  • Ritardi, cambi di programma, pressioni operative

  • Eventi imprevisti (passeggero malato, avarie, deviazioni, ecc.)

I piloti vengono formati per:

  • Utilizzare tecniche di gestione dello stress (respirazione, focalizzazione su procedure, pensiero strutturato).

  • Separare il problema personale dal ruolo professionale: se un problema privato è troppo impattante, il pilota può anche auto-dichiararsi non idoneo al volo per quella giornata.

Decision making sotto pressione

La psicologia del pilota ruota attorno al decision making:

  • Raccogliere informazioni (strumenti, ATC, manuali, equipaggio).

  • Valutare alternative (proseguire? deviare? tornare indietro?).

  • Prendere una decisione tempestiva, né impulsiva né paralizzata dal dubbio.

  • Comunicarla in modo chiaro a equipaggio e passeggeri.

Spesso, la differenza tra un evento gestito in sicurezza e un incidente è proprio la qualità delle decisioni prese in pochi minuti.


5. Selezione psicologica e monitoraggio

Le compagnie aeree non valutano solo la competenza tecnica, ma anche il profilo psicologico.

  • Test attitudinali e psicoattitudinali in fase di selezione (attenzione, memoria, gestione del multitasking, reazione allo stress).

  • Colloqui con psicologi per valutare stabilità emotiva, capacità relazionali, attitudine al lavoro di squadra.

  • In molte realtà si punta a creare una cultura in cui chiedere aiuto non sia un tabù: meglio un pilota che segnala di avere un momento di difficoltà che uno che lo nasconde.

Negli ultimi anni c’è più attenzione al benessere mentale dei piloti: programmi di supporto, counseling, linee dedicate in caso di burnout, stress cronico o problemi personali.


6. Fatica, ritmi di lavoro e “fitness to fly”

Un altro elemento chiave è la fatica, che impatta le performance cognitive tanto quanto lo stress.

Per questo esistono:

  • Regole precise sui tempi di volo e di riposo (Flight Duty Time Limitations): massimo numero di ore giornaliere, mensili, annuali, e minimi di riposo tra un turno e l’altro.

  • Valutazioni pre-volo: il pilota deve essere “fit to fly”, cioè in condizioni psicofisiche adeguate. Se è troppo stanco o non in forma, ha il dovere di segnalarlo.

La fatica influisce su:

  • tempo di reazione

  • attenzione

  • memoria di lavoro

  • capacità di prendere decisioni complesse

La gestione intelligente della fatica è quindi parte integrante della professionalità del pilota.


7. Il rapporto con i passeggeri: comunicazione e fiducia

Dal punto di vista psicologico, il pilota ha un ruolo anche relazionale:

  • La voce dal cockpit, prima del decollo, non è solo un rituale: serve a creare fiducia.

  • In caso di turbolenza o ritardi, una comunicazione chiara e onesta riduce l’ansia dei passeggeri.

  • Il pilota è il “volto invisibile” della sicurezza: sapere che qualcuno è competente e calmo ai comandi ha un impatto psicologico su tutto il volo.


8. Piloti: professionisti della complessità

Riassumendo, il pilota di linea è un professionista della complessità:

  • Ha alle spalle anni di formazione tecnica e pratica.

  • Si sottopone continuamente a controlli, simulazioni, aggiornamenti.

  • Lavora in un ambiente altamente regolato, dove il fattore umano è studiato, allenato e monitorato.

  • Gestisce ogni giorno responsabilità enormi con lucidità, capacità decisionale e lavoro di squadra.

La prossima volta che allacci la cintura e senti i motori spingere per il decollo, puoi immaginare che, in cabina, non ci sia solo tecnologia avanzata, ma anche una grande quantità di preparazione mentale, disciplina interiore e competenze psicologiche messe a tua disposizione.



In un mondo che vuole potenziare la mente a tutti i costi, Adderall e fentanyl mostrano il prezzo più alto: dimenticare che la nostra umanità non si misura in pillole, ma nella capacità di accogliere i nostri limiti.

 L’illusione della pillola magica: Adderall, fentanyl e il lato oscuro del “potenziare la mente”


Negli ultimi anni ci siamo abituati all’idea che ogni limite possa essere aggirato con una pillola: più concentrazione, più energia, più produttività. Adderall è diventato, soprattutto nel mondo anglosassone, il simbolo di questo sogno: una compressa per “sbloccare” il cervello. In parallelo, un’altra molecola – il fentanyl – è diventata il simbolo dell’incubo opposto: overdose, dipendenze, vite spezzate.

In questo articolo provo a mettere in fila i pezzi: cosa è davvero l’Adderall, quali promesse porta con sé, che cosa c’entra con la cultura del “potenziamento” che ha aperto la strada alla tragedia quotidiana dei sinteticI oppioidi come il fentanyl.


Adderall: cos’è davvero (oltre il mito dello “smart drug”)

Adderall è un farmaco a base di anfetamine (amphetamine e dextroamphetamine), cioè stimolanti del sistema nervoso centrale. Viene prescritto per trattare principalmente ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività) e narcolessia. Usato correttamente, sotto controllo medico, può migliorare attenzione e capacità di concentrazione nelle persone che ne hanno reale bisogno. (American Addiction Centers)

Il problema nasce quando Adderall esce dall’ambulatorio e diventa:

  • “pillola per studiare” all’università

  • “aiutino” per lavorare più ore

  • “boost” per essere sempre performanti, anche quando il corpo chiede pausa

Effetti collaterali a lungo termine

Gli studi indicano che l’uso prolungato o improprio di Adderall può causare: (talkspace.com)

  • insonnia cronica e disturbi del sonno

  • perdita di appetito e calo di peso non voluto

  • problemi gastrointestinali

  • aumento di pressione e frequenza cardiaca, con rischi cardiovascolari nel lungo periodo (bellamonterecovery.com)

  • alterazioni dell’umore, ansia, irritabilità, fino a sintomi depressivi o psicotici

  • sviluppo di tolleranza (serve sempre più dose per lo stesso effetto) e dipendenza

Non è un caso se la stessa FDA statunitense evidenzia, nel foglietto illustrativo ufficiale, un forte avvertimento su abuso, misuso e rischio di dipendenza e morte per overdose legati ai CNS stimulants come Adderall. (FDA Access Data)


Dal potenziamento al pericolo: la normalizzazione dell’abuso

Una ricerca della Johns Hopkins Bloomberg School ha mostrato che, pur restando stabili le prescrizioni “ufficiali”, tra i giovani adulti è cresciuto in modo significativo l’uso non medico di Adderall, assieme agli accessi in pronto soccorso legati al farmaco. (publichealth.jhu.edu)

Tradotto:

  • chi ha una prescrizione spesso condivide o vende il farmaco

  • molti lo assumono senza una diagnosi, solo per “rendere di più”

  • il confine tra uso, abuso e dipendenza si assottiglia velocemente

Quando un’intera generazione inizia a credere che la mente vada “dopata” per essere all’altezza, il terreno diventa fertile per qualcosa di ancora più pericoloso: la ricerca di sostanze sempre più potenti, rapide, “risolutive”.

Qui entra in scena il fentanyl.


Fentanyl: quando la chimica passa dalla performance alla sopravvivenza

Il fentanyl è un oppioide sintetico estremamente potente, nato in ambito medico come analgesico per il dolore severo (per esempio in oncologia). Nella forma farmaceutica controllata è uno strumento terapeutico importante; il problema esplode con il fentanyl illegale, prodotto in laboratori clandestini e mescolato ad altre droghe.

A livello globale, gli oppioidi sono responsabili di circa l’80% dei decessi correlati all’uso di droghe, con decine di migliaia di morti per overdose ogni anno. (Organizzazione Mondiale della Sanità)

Negli Stati Uniti, le overdosi da oppioidi sintetici – principalmente fentanyl – sono diventate la principale causa di morte nelle persone tra i 18 e i 45 anni. (Council on Foreign Relations)
Le morti per fentanyl sono aumentate di oltre il 1000% in pochi anni, passando da meno di 2.000 casi nel 2011 a oltre 18.000 nel 2016, e continuando a crescere nella decade successiva. (usglc.org)

In alcune regioni (come la California) le overdosi da sintetici hanno superato di due-tre volte il numero di morti per incidenti stradali. (Wikipedia)

E non si tratta più solo di “giovani tossicodipendenti”: uno studio recente mostra un aumento del 9.000% nelle morti per overdose da fentanyl combinato con stimolanti (come cocaina e metanfetamine) nelle persone sopra i 65 anni tra il 2015 e il 2023. (New York Post)


Il filo invisibile tra Adderall e fentanyl

Adderall e fentanyl sono sostanze molto diverse (uno stimolante, l’altro un oppioide), ma raccontano la stessa storia culturale:

  1. L’idea di base

    • Adderall: “posso essere più concentrato, più produttivo, più competitivo.”

    • Fentanyl illegale: “posso cancellare il dolore fisico e mentale, subito.”

  2. La logica del mercato

    • Se c’è un bisogno di performance, qualcuno offrirà una pillola per colmarlo.

    • Se c’è un bisogno di fuga o anestesia, qualcuno offrirà una sostanza sempre più potente (e più economica) per soddisfarlo.

  3. La normalizzazione della chimica
    Quando la soluzione “prendo qualcosa e vado avanti” diventa riflesso automatico – per studiare, lavorare, dormire, calmare l’ansia – il passo verso sostanze più forti e rischiose diventa pericolosamente breve.

In Europa il fentanyl non ha ancora devastato le comunità come negli USA, ma i report più recenti delle agenzie europee avvertono un aumento di oppioidi sintetici “nuovi” (nitazeni, ecc.) e miscele di droghe sempre più complesse e potenti. (Global Initiative)

È come se il sistema continuasse a cercare la “versione 2.0” di ogni sostanza: più forte, più rapida, più redditizia. E dietro questo aggiornamento continuo troviamo sempre la stessa matrice: una cultura che non accetta la fragilità, la lentezza, il limite.


Le “malattie invisibili” create ogni giorno

Quando parliamo di Adderall e fentanyl, non parliamo solo di dipendenza chimica. Parliamo di un ecosistema di malesseri:

  • Disturbi d’ansia e depressione alimentati da una pressione costante a performare

  • Burnout lavorativo e scolastico mascherato da caffeina, energy drink, stimolanti

  • Solitudine e disconnessione compensate da sostanze che “staccano” il cervello dalla realtà

  • Corpi trattati come macchine, spinti oltre il proprio limite con farmaci nati per tutt’altro scopo

Le overdose sono il picco visibile dell’iceberg. Sotto la superficie ci sono milioni di persone che non muoiono, ma vivono male: sonno distrutto, relazioni compromesse, identità costruite solo sulla produttività.


Potenziare la mente… ma a quale prezzo?

La domanda vera non è “Adderall è buono o cattivo?”, né “il fentanyl è il male assoluto?”.
La domanda profonda è:

Che idea di essere umano c’è dietro la ricerca ossessiva della pillola che ci rende “migliori”?

Se crediamo che:

  • valiamo solo quando siamo efficienti

  • la lentezza è un difetto

  • la fatica mentale è un bug da correggere
    allora le sostanze diventano una conseguenza quasi logica.

Una cultura che accetta il limite, invece, si fa più domande:

  • ho bisogno di dormire meglio, non solo di restare sveglio

  • ho bisogno di imparare a concentrarmi, non solo di “spingere” il cervello

  • ho bisogno di chiedere aiuto, non solo di tenere tutto in piedi a ogni costo


Alternative concrete al “pillola-first”

Non esiste una ricetta magica, ma esistono strade più sane per prendersi cura della propria mente:

  • Igiene del sonno: il “no” alle notifiche di notte è un superpotere spesso sottovalutato.

  • Alimentazione e movimento: non sono slogan da palestra, ma veri modulatori di umore e attenzione.

  • Psicoterapia, coaching, supporto educativo: per lavorare sulle cause della distrazione, non solo sui sintomi.

  • Organizzazione del lavoro e dell’apprendimento: spesso il problema non è il cervello, è il sistema intorno a noi (deadline assurde, multitasking continuo, assenza di pause).

  • Comunità: parlare, condividere, togliere vergogna alle difficoltà riduce il ricorso alla “soluzione rapida” chimica.

E, quando c’è una diagnosi reale (ADHD, dolore cronico, ecc.), i farmaci possono avere un ruolo importante – ma dentro un percorso medico strutturato, non come scorciatoia fai-da-te.


Un cambio di paradigma: dalla pillola alla consapevolezza

Adderall e fentanyl sono due facce della stessa epoca:
una che sogna di superare ogni limite, l’altra che cerca di anestetizzare un dolore diventato insopportabile.

Se vogliamo davvero “potenziare la mente”, forse è il momento di cambiare verbo:

  • non potenziare, ma prendersi cura

  • non spingere, ma ascoltare

  • non aggiungere sostanze, ma togliere sovraccarichi

Se tu – o qualcuno vicino a te – stai usando stimolanti o oppioidi in modo che ti fa sentire fuori controllo, il passo più coraggioso non è resistere da solo, ma chiedere aiuto a un medico, a uno psicologo, a un servizio specializzato sulle dipendenze. Non è debolezza: è la scelta di non delegare la propria vita a una molecola.

La vera rivoluzione non è una pillola che ci rende super-umani.
È una cultura che ci permette di restare umani, senza doverci drogare per sopravvivere o per “essere all’altezza”.



mercoledì 26 novembre 2025

«La vera malattia non è sempre nel corpo, ma nel momento in cui qualcuno trasforma la nostra paura per la salute in un modello di profitto.»


Parliamo di potere, soldi e salute — con i piedi per terra e i dati alla mano.


Nuove malattie: invenzione o gioco di definizioni?

Negli ultimi anni si è fatta strada un’idea molto forte: “si inventano nuove malattie per vendere nuove cure”. Nel mirino ci sono soprattutto le grandi fondazioni, le multinazionali del farmaco e, più in generale, il “sistema” della salute globale.

Prima distinzione fondamentale, per onestà intellettuale:

  • Non ci sono prove serie che grandi fondazioni “creino” malattie in laboratorio per poi guadagnarci.

  • Esiste invece un fenomeno ben documentato: l’allargamento delle definizioni di malattia e la loro promozione aggressiva per allargare il mercato delle cure, il cosiddetto disease mongering (letteralmente “mercificazione della malattia”). (Wikipedia)

È qui che si intrecciano fondazioni, industrie, istituzioni pubbliche e media. Ed è qui che nasce quel malessere diffuso che spesso si trasforma in narrativa complottista.


Disease mongering: quando la malattia diventa prodotto

Il termine disease mongering è stato reso famoso da giornalisti e studiosi che hanno analizzato le strategie dell’industria farmaceutica nel ridefinire i confini di ciò che consideriamo “malattia”. (PMC)

In pratica, cosa significa?

  • Abbassare le soglie diagnostiche
    Per esempio, definire come “patologici” valori che prima erano considerati varianti normali (colesterolo, pressione, glicemia, ecc.), facendo crescere il numero di persone “malate”.

  • Trasformare disagi comuni in disturbi clinici
    Insonnia, calo del desiderio, stanchezza cronica, timidezza… vengono talvolta reinterpretati come “sindromi” che richiedono diagnosi, terapie, farmaci.

  • Campagne di “consapevolezza” sponsorizzate
    Dietro iniziative apparentemente neutrali per “sensibilizzare su una malattia”, ci sono spesso sponsor con interessi diretti nelle cure per quella stessa patologia. (PMC)

Una nota dell’Europarlamento definisce il disease mongering come “la promozione di pseudo-malattie principalmente da parte dell’industria farmaceutica per scopi economici”. (Parlamento Europeo)

Attenzione però a non estremizzare: non significa che tutte le nuove diagnosi siano inventate. Molte sono miglioramenti reali nella comprensione scientifica. Il punto non è negare la medicina, ma chiedersi chi decide dove finisce la normalità e dove inizia la malattia — e con quali interessi.


Il mondo delle grandi fondazioni: filantropia, business e “philanthrocapitalism”

Negli ultimi vent’anni le grandi fondazioni private (Gates, Rockefeller e molte altre) sono diventate protagoniste della salute globale. Investono miliardi in vaccini, programmi contro malaria, tubercolosi, HIV, nutrizione, ecc. (2030 Spotlight)

Parallelamente è nato un concetto critico: philanthrocapitalism.

  • È l’idea che le logiche del business (efficienza, ROI, indicatori numerici) vengano applicate alla filantropia.

  • In pratica, i mega-donatori non si limitano a “dare soldi”, ma influenzano l’agenda: quali malattie contano, quali programmi vengono finanziati, quali no. (ScienceDirect)

Diversi studi mostrano come alcune fondazioni, in particolare la Gates Foundation, abbiano un peso enorme nel definire le priorità dell’OMS e della salute globale, concentrandosi su specifiche malattie (es. polio, malaria) e meno sul rafforzamento sistemico dei sistemi sanitari. (Financial Times)

Questo non significa che queste iniziative siano “cattive” in sé (i loro programmi hanno anche salvato milioni di vite), ma solleva domande legittime:

  • Chi decide quali vite contano di più?

  • Perché alcuni problemi di salute hanno fondi immensi e altri restano marginali?

  • Quanto spazio rimane alla democrazia e alle priorità dei Paesi destinatari?


Il caso OMS: soldi vincolati e “dark money”

Negli ultimi anni sono cresciute le critiche alla WHO Foundation, il braccio di raccolta fondi della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità.

Un’inchiesta recente ha mostrato che una quota crescente dei finanziamenti arriva da donatori anonimi (“dark money”), spesso con categorie di spesa molto generiche come “Covid” o “operational costs”, senza dettagliare chi paga e perché. (The Guardian)

Due problemi chiave:

  1. Trasparenza
    Se non sappiamo chi finanzia, diventa difficile valutare i conflitti di interesse: potrebbero essere aziende i cui prodotti incidono direttamente sulla salute (alimentare, tabacco, alcol, farmaceutica, piattaforme digitali…).

  2. Agenda-setting
    Quando i contributi sono “vincolati” a determinati progetti, l’agenzia internazionale rischia di trasformarsi in un esecutore di priorità decise altrove.

Nel frattempo, studi di BMJ Global Health segnalano come la dipendenza da grandi donatori privati, come la Gates Foundation, stia crescendo man mano che alcuni Stati riducono il loro contributo. (Financial Times)

Il rischio non è “la malattia inventata”, ma la salute globale guidata da pochi attori opachi o privati, con una responsabilità pubblica limitata.


Il nodo dei conflitti di interesse nella ricerca

Quando parliamo di “nuove malattie” e fondazioni, dobbiamo guardare anche a come è organizzata la ricerca:

  • Numerosi studi mostrano che il finanziamento da parte dell’industria o di soggetti con interessi economici tende ad aumentare la probabilità di risultati favorevoli ai finanziatori e a influenzare quali domande di ricerca vengono poste. (NCBI)

  • Le principali istituzioni etiche (come l’Institute of Medicine negli USA o il codice dell’American Medical Association) riconoscono i conflitti di interesse come un problema sistemico e chiedono regole più severe, trasparenza e gestione attiva di queste situazioni. (NCBI)

Anche il finanziamento da parte di fondazioni non è “puro” per definizione: può creare dipendenze, ruoli ambigui, carriere costruite su un certo filone di ricerca. (annemergmed.com)

Di nuovo: non è una prova che “si inventano malattie”, ma un segnale chiaro che gli interessi economici possono orientare cosa chiamiamo malattia, cosa misuriamo e cosa curiamo.


Perché l’idea “inventano nuove malattie per profitto” attecchisce così bene

Da un lato abbiamo dati reali su disease mongering, lobbying, conflitti di interesse e soldi anonimi.
Dall’altro lato abbiamo narrazioni estreme: “le fondazioni creano nuovi virus”, “ogni nuova diagnosi è una truffa”, ecc.

Perché queste narrazioni complottiste piacciono così tanto?

  • Semplificano un sistema complesso
    Invece di analizzare meccanismi economici, regolatori, culturali, è più facile immaginare un “cattivo assoluto” che tira i fili.

  • Trasformano la sfiducia in storia
    La sfiducia verso istituzioni, governi, aziende e media è reale. Le teorie del complotto offrono una trama coerente (anche se falsa) a quel sentimento.

  • Danno un nemico chiaro
    “La grande fondazione X”, “il miliardario Y”: volti riconoscibili su cui proiettare paure e rabbia, al posto di un sistema pieno di grigi.

Il punto, per chi scrive e legge in modo critico, è restare in equilibrio:
denunciare i meccanismi documentati senza scivolare nella fantasia totale.


Oltre il complotto: cosa serve davvero cambiare

Se vogliamo proteggere la salute pubblica dai veri rischi, serve molto più di uno slogan contro “le fondazioni cattive”.

  1. Trasparenza radicale sui finanziamenti

    • Elenco pubblico e dettagliato di chi finanzia cosa, a tutti i livelli (ricerca, linee guida, campagne di sensibilizzazione, fondi OMS, fondazioni). (The Guardian)

  2. Regole rigide sui conflitti di interesse

  3. Più fondi pubblici indipendenti

    • Meno dipendenza da grandi donatori privati e industrie, più responsabilità democratica su come vengono stabilite le priorità di salute. (2030 Spotlight)

  4. Cultura critica nella popolazione

    • Saper distinguere tra:

      • legittima critica basata su dati (disease mongering, fondi anonimi, lobbying…)

      • teorie infondate che negano la medicina, minimizzano malattie reali o diffondono disinformazione pericolosa.

  5. Media e divulgatori più coraggiosi

    • Raccontare le sfumature: né propaganda pro-sistema, né complottismo clickbait, ma analisi dei meccanismi di potere che agiscono sulla salute.


Conclusione: non “nuove malattie”, ma vecchie dinamiche di potere

Dire che “le grandi fondazioni inventano malattie per aumentare i profitti” è una formula che colpisce, ma rischia di confondere due piani:

  • il piano fantastico, in cui pochi individui “creano” malattie dal nulla;

  • il piano reale, molto più interessante (e pericoloso), in cui diagnosi, linee guida, priorità di ricerca e campagne globali vengono orientate da soldi, potere e interessi privati dentro un sistema poco trasparente.

È su questo secondo piano che vale la pena scavare:
lì troviamo il disease mongering, il philanthrocapitalism, i conflitti di interesse, il “dark money”, e soprattutto la necessità urgente di ricostruire fiducia con regole chiare e controlli seri.

Se vogliamo davvero difendere la salute delle persone, non basta denunciare “le nuove malattie”: dobbiamo illuminare i meccanismi che decidono cosa chiamiamo malattia, chi la cura e chi ci guadagna.

«La concentrazione di potere tecnologico ed economico nelle mani di pochi ha trasformato i giovani delle fasce più deboli da cittadini con diritti in semplici utenti dipendenti da strumenti che non hanno scelto loro.»

 

Ti propongo un articolo strutturato e critico, ma basato su fatti verificabili, non su teorie complottiste.


1. Perché parlare delle “ombre” di Bill Gates

Bill Gates è una delle persone più influenti degli ultimi 40 anni: co-fondatore di Microsoft, ha contribuito a portare il computer in quasi tutte le case del pianeta e oggi è uno dei principali filantropi globali tramite la Bill & Melinda Gates Foundation, che ha investito oltre 100 miliardi di dollari in salute, educazione e agricoltura. (PMC)

Proprio per questo potere enorme – economico, tecnologico, culturale e ora anche “umanitario” – è giusto analizzare anche le criticità e le conseguenze problematiche, soprattutto per i giovani.


2. L’era Microsoft: monopolio, standard imposti e dipendenze digitali

2.1. Il problema del monopolio

Negli anni ’90 Microsoft ha dominato il mercato dei sistemi operativi e dei software per PC. Il caso antitrust United States v. Microsoft ha stabilito che l’azienda ha mantenuto il proprio monopolio con pratiche anticoncorrenziali, ad esempio legando Internet Explorer a Windows per ostacolare i browser concorrenti come Netscape. (Wikipedia)

Conseguenze problematiche:

  • Scarsa concorrenza: meno alternative, innovazione rallentata in alcuni settori e prezzi poco trasparenti.

  • Standard di fatto imposti: formati proprietari (es. .doc, .xls) che obbligavano scuole, aziende e governi a usare prodotti Microsoft per poter “parlare la stessa lingua”.

  • Dipendenza sistemica: interi paesi e istituzioni costruiti su un solo ecosistema, con costi enormi di migrazione a software alternativi.

Per i giovani questo ha significato crescere in un mondo in cui “computer = Windows”, con poco spazio culturale per pensare a software libero, alternative aperte, autonomia tecnologica.


2.2. Il modello “chiuso” e il ritardo sulla cultura open-source

Per anni la strategia Microsoft è stata profondamente proprietaria: codice chiuso, licenze rigide, poca apertura verso il software libero. Solo più tardi, sotto la guida di altri CEO, Microsoft ha iniziato a investire seriamente sull’open-source.

Effetti sui giovani:

  • Meno accesso, negli anni formativi, al codice sorgente con cui “smanettare” e imparare in modo creativo.

  • Una cultura in cui il software è qualcosa che consumi, non qualcosa che puoi comprendere, modificare, condividere.


2.3. L’esplosione della vita digitale: produttività o dipendenza?

Ovviamente non è “colpa personale” di Gates se il mondo è diventato dipendente dallo schermo, ma il successo di Microsoft ha contribuito a:

  • Digitalizzare il lavoro (Office, Outlook, ecc.).

  • Portare il PC in casa come strumento di studio, gioco, socialità.

Oggi vediamo gli effetti di questa rivoluzione:

  • Sedentarietà e problemi fisici legati alle ore davanti allo schermo.

  • Sovraccarico informativo, FOMO, ansia da notifiche.

  • Difficoltà di concentrazione lunga e frammentazione dell’attenzione.

Paradossalmente, proprio Gates e altri “padri” della rivoluzione digitale hanno limitato molto l’uso di tecnologia ai propri figli, ritardando l’accesso agli smartphone e ponendo limiti severi allo screen-time, mentre miliardi di altri giovani nel mondo venivano immersi in un ecosistema digitale senza quasi regole. (World Economic Forum)

Questo crea una diseguaglianza educativa: chi progetta la tecnologia se ne protegge i figli, mentre i figli di tutti gli altri la subiscono.


3. Filantropia e potere: il ruolo della Gates Foundation

3.1. Una fondazione enorme, più grande di molti ministeri

La Bill & Melinda Gates Foundation è una delle più grandi fondazioni private del mondo e annuncia l’intenzione di distribuire quasi tutta la fortuna di Gates (oltre 200 miliardi) entro il 2045, soprattutto in salute globale. (PMC)

A questa scala, la filantropia diventa di fatto politica globale: influenza l’OMS, i governi, le priorità di ricerca e le agende sanitarie.

3.2. Critiche principali

Molti studiosi e attivisti non contestano “il fare del bene” in sé, ma come viene fatto e quali effetti collaterali genera: (umhs-sk.org)

  1. Concentrazione di potere privato

    • Una persona (o una piccola élite) decide, di fatto, su programmi sanitari e educativi in paesi interi.

    • Il rischio: democrazia indebolita, perché le decisioni vengono prese da entità private e non da processi pubblici e partecipativi.

  2. Agenda selettiva

    • Forte focus su progetti “tecnologici” (vaccini specifici, soluzioni high-tech) rispetto al rafforzamento strutturale dei sistemi sanitari di base (ospedali locali, medici, infrastrutture). (OECD)

    • Ciò può produrre miglioramenti mirati, ma lascia fragili le fondamenta.

  3. Possibili conflitti di interesse

    • Critiche per investimenti in aziende legate a combustibili fossili o a grandi corporation, mentre la Fondazione promuove obiettivi legati a salute e clima. (umhs-sk.org)

  4. Influenza sulle istituzioni internazionali

    • La Fondazione è tra i maggiori finanziatori dell’OMS e di altre agenzie; vari studi segnalano il rischio che questa influenza spinga le priorità dell’OMS verso interessi se non privati, quantomeno non discussi democraticamente. (gh.bmj.com)


4. Giovani, educazione e modello di sviluppo

4.1. Scuola e “soluzioni” big tech

Microsoft e la Gates Foundation sono molto attivi nell’educazione: software per scuole, piattaforme digitali, programmi di riforma didattica.

Le critiche principali:

  • Standardizzazione: spinta verso modelli educativi uniformi, valutazioni basate su test standardizzati, uso intensivo di piattaforme digitali.

  • Dipendenza da fornitori privati: scuole e sistemi educativi che costruiscono la propria didattica su software e servizi proprietari, difficili da abbandonare.

Questo può:

  • Ridurre lo spazio per pedagogie alternative, lente, esperienziali, corporee.

  • Trasformare gli studenti in utenti permanenti di servizi digitali, abituandoli sin da piccoli a un ambiente controllato da grandi aziende.


4.2. Messaggio culturale ai giovani: successo = tecnologia + ricchezza

La narrativa attorno a Gates (come a Jobs, Musk, ecc.) ha costruito il mito del genio miliardario salvamondo:

  • Se sei abbastanza intelligente e aggressivo negli affari, puoi diventare ricchissimo e poi “salvare il pianeta” con la filantropia.

  • La ricchezza estrema non è vista come un problema sistemico, ma come la condizione legittima per deciso il destino di tutti.

Per i giovani il messaggio implicito è:

  • Valgo se ho successo economico.

  • Il cambiamento del mondo non nasce dalla politica, dai movimenti, dalle comunità, ma da singoli “super-eroi” miliardari.

Questo può scoraggiare l’impegno collettivo e alimentare una cultura del salvatore privato, incompatibile con una democrazia matura.


5. Effetti psicologici e sociali sui giovani

Riassumendo alcune delle problematiche che toccano direttamente i giovani:

  1. Dipendenza digitale e attenzione frammentata

    • Un ecosistema di lavoro-studio-svago che passa quasi tutto attraverso schermi e software (in gran parte creati e resi dominanti da Microsoft e dalla cultura che ne è derivata).

  2. Percezione distorta del potere

    • L’idea che poche persone ricchissime possano “aggiustare il mondo” al posto delle istituzioni pubbliche.

  3. Rischio di passività

    • Ci si abitua a usare strumenti chiusi progettati altrove, invece di sviluppare strumenti propri, comunitari, aperti.

  4. Pressione a essere sempre “online” e produttivi

    • Il computer non è più solo un attrezzo, ma un obbligo: per fare compiti, restare in contatto, lavorare, trovare opportunità.


6. Oltre il mito: che cosa possiamo imparare da queste criticità

Non ha molto senso dire che Bill Gates “ha portato solo problemi al mondo”: ha contribuito a creare infrastrutture tecnologiche e sanitarie che hanno anche salvato e migliorato molte vite. Ma è altrettanto insensato raccontarlo solo come un benefattore neutrale.

Le lezioni più importanti, soprattutto per i giovani, potrebbero essere:

  1. Diffidare delle concentrazioni di potere
    Che siano stati, corporation o filantropi: quando troppo potere si accumula in poche mani, servono trasparenza, controlli e dibattito pubblico.

  2. Sviluppare autonomia digitale

    • Imparare software liberi e open-source.

    • Capire come funzionano gli strumenti, non solo usarli.

  3. Coltivare una cittadinanza attiva

    • Le decisioni su salute, scuola, ambiente non dovrebbero dipendere dalla volontà di un singolo miliardario, per quanto animato da buone intenzioni.

    • È necessario pretendere politiche pubbliche, processi democratici, partecipazione.

  4. Ripensare il rapporto con la tecnologia

    • Se persino i grandi pionieri del digitale hanno limitato l’uso di schermi ai figli, forse è il momento di farlo anche a livello sociale, riscoprendo il corpo, la natura, le relazioni reali.


7. Conclusione

Bill Gates incarna perfettamente le ambivalenze del nostro tempo:

  • Ha contribuito a connettere il mondo, ma anche a renderlo dipendente da pochi sistemi chiusi.

  • Usa la sua ricchezza per finanziare la salute globale, ma in questo modo concentra potere privato su scelte che riguardano l’intera umanità.

  • È presentato come modello per i giovani, ma lo stile di vita che ha contribuito a creare genera ansia, dipendenza digitale e senso di impotenza politica.

Il punto non è demonizzare la persona, ma mettere in discussione il modello che rappresenta: un capitalismo tecnologico e filantropico che promette salvezza, ma spesso sposta il potere sempre più lontano dalle mani delle persone comuni e dei giovani che dovranno vivere nel mondo che ne deriva.



«Quando uno Stato arresta un innocente, non priva della libertà solo quella persona: incrina la fiducia di un intero popolo nella giustizia.»

 In molti Paesi “democratici” oggi esiste un paradosso feroce: puoi essere privato della libertà, sbattuto in prima pagina come “colpevole”, passare mesi o anni in carcere… e poi scoprire che non avevi commesso alcun crimine. Nel frattempo, però, la tua vita è stata distrutta.

In questo articolo ti porto dentro il problema degli arresti (e delle misure cautelari) su persone innocenti, dalle basi giuridiche agli effetti psicologici, dai numeri alle responsabilità di media e politica.


1. Il principio tradito: presunzione di innocenza

Sulla carta, il sistema è chiarissimo:

  • La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’articolo 5, garantisce il diritto alla libertà e alla sicurezza, imponendo che ogni arresto sia legale, motivato e non arbitrario.(Agenzia Unione Europea per i Diritti Fondamentali)

  • L’articolo 6 afferma che ogni persona è presunta innocente fino a condanna definitiva e ha diritto a un processo equo in tempi ragionevoli.(ordineavvocatitorino.it)

In teoria, arresto e custodia cautelare dovrebbero essere “misure di ultima istanza”, usate solo quando:

  • c’è un fondato sospetto basato su fatti concreti;(Rete Europea di Contenzioso Carcerario)

  • c’è rischio reale di fuga, inquinamento prove o reiterazione del reato;(cep-probation.org)

  • non bastano strumenti meno invasivi (obbligo di firma, braccialetto, divieti di avvicinamento, ecc.).

Nella pratica, però, spesso avviene il contrario: la custodia cautelare diventa una pena anticipata, inflitta a persone che, alla fine, risultano innocenti.


2. Non è solo teoria: numeri e tendenze

A livello europeo e internazionale, le organizzazioni che si occupano di giustizia penale denunciano da anni:

  • uso eccessivo della detenzione preventiva, anche dove potrebbero bastare misure alternative;(cep-probation.org)

  • motivazioni stereotipate e generiche (“rischio di fuga” presunto, gravità astratta del reato) invece di valutazioni individuali;(cep-probation.org)

  • forti disparità etniche e sociali: in Inghilterra e Galles, ad esempio, il 50% degli imputati neri è stato mandato in custodia in attesa di giudizio, contro il 40% dei bianchi.(Fair Trials)

In Italia il tema emerge soprattutto sotto la voce “ingiusta detenzione”: persone rimaste in carcere o ai domiciliari e poi assolte, che chiedono un risarcimento allo Stato. La giurisprudenza continua a ridefinire le condizioni per ottenere questo risarcimento, proprio perché il fenomeno non è marginale.(iris.unibocconi.it)

Dietro ogni numero, però, c’è una storia: una famiglia sfasciata, un lavoro perso, una reputazione cancellata.


3. Che cosa significa essere arrestato da innocente

Essere arrestato, anche solo per pochi giorni, quando non hai commesso un reato, ha un impatto che si stratifica su più livelli.

3.1 Livello giuridico

  • Perdita di libertà immediata: carcere, domiciliari, obblighi restrittivi.

  • Difficoltà nel preparare la difesa: meno accesso ai documenti, contatto limitato con gli avvocati, impossibilità di muoversi per cercare prove o testimoni.(cep-probation.org)

  • Rischio che la custodia cautelare sia usata di fatto come strumento di pressione: “collabora, confessa, così forse ti alleggeriamo la misura”.

3.2 Livello psicologico

  • Shock e trauma: la sensazione di non essere più persona ma numero, corpo spostato da altri.

  • Vergogna e stigma: anche se sei innocente, ti senti osservato come colpevole.

  • Sfiducia radicale nelle istituzioni: dopo un’esperienza del genere, per molti lo Stato smette di essere “tutore di diritti” e diventa un potere da cui difendersi.

  • Possibili esiti clinici: ansia, depressione, disturbo post-traumatico, pensieri suicidari.

3.3 Livello sociale ed economico

  • Lavoro: perdita del posto, chiusura di attività autonome, difficoltà future a essere assunto (“ma lei è quello che è finito sui giornali?”).

  • Famiglia: rotture, sfiducia, figli costretti a convivere con lo stigma sul genitore.

  • Reputazione digitale: gli articoli restano online, anche se vieni assolto anni dopo in silenzio stampa.

In sintesi, la persona viene trattata come colpevole prima che la colpa sia dimostrata.


4. I punti critici del sistema che producono arresti “ingiusti”

4.1 Indagini frettolose e “ragionevole sospetto” deformato

La Convenzione Europea parla di “ragionevole sospetto” basato su fatti o informazioni verificabili.(Rete Europea di Contenzioso Carcerario)
Se questo standard si abbassa, se ci si accontenta di indizi deboli, testimonianze non verificate o ricostruzioni affrettate, l’arresto diventa un azzardo sulla pelle delle persone.

4.2 Custodia cautelare come strumento ordinario

La detenzione preventiva dovrebbe essere eccezionale, ma molti rapporti internazionali mostrano che è usata in modo routinario, a volte persino:(cep-probation.org)

  • per “dare un segnale” di severità;

  • per ottenere confessioni;

  • per semplificare indagini complesse (il sospettato è fermo, sotto controllo).

4.3 Tempi del processo: quando l’attesa è già una condanna

Anche se il processo si conclude con un’assoluzione, se nel frattempo la persona è stata privata della libertà per anni, il danno è irreversibile. La Corte Europea ha più volte richiamato gli Stati sull’obbligo di garantire processi in “tempo ragionevole”.(ordineavvocatitorino.it)

4.4 Media e gogna pubblica

Spesso l’arresto produce una narrazione mediatica immediata:

  • titoli urlati, foto in manette, dettagli morbosi;

  • nessun filtro sulla presunzione di innocenza;

  • successiva assoluzione relegata in un trafiletto, quando non del tutto ignorata.

Risultato: l’opinione pubblica ricorda l’arresto, non la sentenza. E questo rende più facile accettare, quasi senza domande, l’idea che “se lo hanno arrestato, qualcosa avrà fatto”.


5. Il tema del risarcimento: può bastare?

A livello sovranazionale, si riconosce che la vittima di detenzione illegittima o ingiusta ha diritto a un risarcimento effettivo.(IBA)

In Italia esiste un sistema specifico per la riparazione per ingiusta detenzione, disciplinato dal codice di procedura penale e costantemente interpretato dalla giurisprudenza. Alcune decisioni recenti della Cassazione hanno chiarito che:(Archivio Penale)

  • non si può negare il risarcimento solo perché l’imputato ha taciuto o si è difeso in modo “passivo”: il diritto al silenzio è fondamentale;

  • per negare la riparazione bisogna dimostrare un nesso causale diretto tra comportamenti dolosi dell’imputato (ad esempio dichiarazioni false) e l’errore nella misura cautelare;

  • il risarcimento non può essere simbolico o sproporzionato rispetto alla gravità del danno, altrimenti il diritto riconosciuto dalla Convenzione resta “illusorio”.(ECHR-KS)

Ma qui c’è il punto centrale:
può davvero esistere un risarcimento adeguato per anni di vita rubati?
La risposta, onestamente, è no. Il denaro è necessario, ma non è sufficiente: non cambia la storia che è stata impressa nella carne e nella memoria.


6. Quando l’arresto ingiusto diventa strumento politico

In alcuni contesti, l’arresto di persone innocenti non è neppure un “errore”, ma un mezzo deliberato di intimidazione e repressione. Organizzazioni internazionali documentano casi di:

  • oppositori politici incarcerati con accuse vaghe;

  • attivisti e giornalisti arrestati per “disturbo dell’ordine pubblico” o “propaganda”.(AP News)

In questi scenari, la presunzione di innocenza non è violata per disfunzione del sistema, ma per scelta deliberata di potere.


7. Che cosa servirebbe davvero per cambiare rotta

Un articolo non può cambiare il sistema, ma può chiarire dove stanno i nodi. Alcune direzioni concrete:

  1. Alzare lo standard del “sospetto ragionevole”

    • Niente arresti basati solo su dichiarazioni non riscontrate.

    • Obbligo di verifiche rapide e documentate prima di chiedere misure cautelari.

  2. Limitare drasticamente la custodia cautelare in carcere

    • Uso prioritario di misure meno invasive quando possibile.

    • Revisione periodica reale, non formale, delle esigenze cautelari.(cep-probation.org)

  3. Ridurre la durata dei processi

    • Investimenti seri in personale, digitalizzazione, organizzazione.

    • Sanzioni o correttivi quando il sistema accumula ritardi ingiustificati.

  4. Responsabilità comunicativa dei media

    • Ricordare sistematicamente che un arresto non è una condanna.

    • Dare spazio anche alle assoluzioni, non solo agli arresti.

  5. Rafforzare i meccanismi di riparazione

    • Procedure più rapide e accessibili per chi ha subito ingiusta detenzione.

    • Criteri di calcolo che tengano conto non solo dei giorni passati in cella, ma dell’impatto complessivo su vita, salute e relazioni.(IBA)

  6. Educazione civica e giuridica

    • Spiegare ai cittadini, sin da scuola, che la libertà personale è un diritto fragile e non negoziabile, e che la presunzione di innocenza protegge tutti, non solo “i colpevoli”.


8. Una conclusione scomoda ma necessaria

Il problema delle persone arrestate senza aver commesso un crimine non è un dettaglio tecnico per addetti ai lavori. È uno specchio del livello reale di civiltà di una società.

Perché la misura di una democrazia non si vede da come tratta i cittadini “perfetti”, ma da come tratta chi è sospettato, fragile, marginale, o semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Finché accetteremo con indifferenza che qualcuno possa perdere anni di vita per un errore giudiziario, o per un eccesso di zelo, o per convenienza politica, nessuno di noi sarà davvero al sicuro.

E forse il primo passo è proprio questo: smettere di pensare che “capita sempre agli altri”.



lunedì 24 novembre 2025

“Dai bambini di *Zombie* ai satelliti in orbita, la guerra cambia forma ma resta la stessa: cuori spenti che premendo un tasto spengono il cielo agli altri.”

 Parto da Zombie, poi allarghiamo alla “guerra dei satelliti” e colleghiamo le due cose.

The Cranberries - Zombie (Official Music Video) - Respect Due


1. Di cosa parla davvero Zombie

  • È un brano del 1994 dei Cranberries, scritto da Dolores O’Riordan.

  • Nasce come reazione alla bomba dell’IRA a Warrington (1993), che uccise due bambini, Johnathan Ball (3 anni) e Tim Parry (12 anni).(Wikipedia)

  • Sullo sfondo ci sono i Troubles in Irlanda del Nord: decenni di conflitto, attentati, morti civili.(Wikipedia)

Alcuni passaggi chiave:

  • “Another head hangs lowly / child is slowly taken” → l’immagine nuda del bambino ucciso.

  • “It’s not me, it’s not my family” → rifiuto del fanatismo: la violenza viene giustificata “a nome del popolo”, ma in realtà molte persone non la vogliono.

  • “In your head… they are fighting” → il vero “zombie” non è il mostro dei film, ma la mente anestetizzata dalla propaganda e dall’odio, che continua il conflitto in loop.

  • “When the violence causes silence / we must be mistaken” → se la violenza zittisce tutti, allora c’è qualcosa di profondamente sbagliato.

È un pezzo anti-terrorismo e anti-guerra, non “di parte”: contesta l’idea stessa di usare bombe per cause politiche o identitarie.(Wikipedia)


2. Dalla bomba nel cestino alla guerra in orbita

Negli anni ’90 la guerra era ancora, nell’immaginario, fisica e vicina: bombe in strada, soldati, carri armati. Oggi, la “guerra che verrà” di cui parli – quella dei satelliti – è molto più astratta, tecnica e invisibile, ma altrettanto reale.

Cosa significa “guerra dei satelliti”?

Oggi i satelliti sono il sistema nervoso del pianeta:

  • comunicazioni (internet, telefoni, Starlink ecc.)

  • GPS e navigazione

  • osservazione della Terra, spionaggio, droni

  • finanza globale (sincronizzazione oraria)

Per questo gli eserciti stanno sviluppando armi contro i satelliti (counterspace):(Secure World Foundation)

  • armi cinetiche: missili che colpiscono e distruggono un satellite (USA, Russia, Cina, India hanno già fatto test reali creando detriti).(Secure World Foundation)

  • armi “morbide”:

    • jamming (disturbo del segnale radio)

    • spoofing (falsificare il segnale GPS)

    • cyberattacchi ai sistemi a terra o ai satelliti stessi.(CSIS)

E infatti:

  • in Ucraina c’è stato un uso massiccio di Starlink per mantenere comunicazioni e guidare droni; il sistema è stato bersaglio di jamming e cyberattacchi.(CSIS)

  • un blackout globale di Starlink ha bloccato per oltre due ore le comunicazioni militari ucraine, mostrando quanto sia fragile affidarsi a una sola costellazione privata.(Reuters)

  • il jamming del GPS ha già colpito voli civili e istituzionali in Europa; nel 2025 si è parlato di interferenze sul volo della presidente della Commissione UE.(The Guardian)

Negli organismi internazionali si discute apertamente di outer space come “war-fighting domain”: alcuni Stati lo dichiarano esplicitamente e si parla di corsa agli armamenti in orbita.(United Nations Press)


3. Il filo rosso: dai “zombie” con la bomba ai “tecnici” con il mouse

Se vuoi approfondire il tema in chiave narrativa/filosofica (ad esempio in un articolo):

a) La disumanizzazione

In Zombie il cuore è questo: chi uccide civili è come uno zombie, ha delegato il pensiero a un’idea astratta (“la causa”, “la nazione”, “Dio”, “la storia”).

Nella guerra dei satelliti il rischio è simile, ma più subdolo:

  • chi “attacca” spesso non vede direttamente le vittime.

  • un ingegnere che lancia un malware su un satellite di comunicazione “taglia” ospedali, ambulanze, famiglie, a migliaia di km, ma sullo schermo vede solo log, grafici, percentuali.

È una nuova forma di violenza a distanza, ancora più disincarnata.

b) La retorica: “non siamo noi, è la tecnologia”

Così come nel brano si sente il “non è colpa mia, è la mia storia, la mia identità”, nella guerra orbitale la scusa diventa: “non è guerra, è solo una misura tecnica”, “è solo jamming”, “è solo un test ASAT”.(ccdcoe.org)

Ma:

  • se un blackout satellitare isola un Paese, rallenta soccorsi, blocca le cure, gli effetti sono concreti quanto una bomba nel cestino.

c) Il nuovo “campo di battaglia” è la nostra testa

Dolores cantava “in your head, in your head, they are fighting”.
Oggi:

  • la guerra passa dai dati che vediamo o non vediamo: immagini satellitari che arrivano o vengono bloccate; mappe che guidano o disorientano.(Business Insider)

  • chi controlla i satelliti controlla la narrazione della guerra (quello che si vede dallo spazio) e la logistica sul terreno.

È come se il “campo di battaglia mentale” di Zombie si fosse spostato negli strati invisibili dell’infrastruttura digitale.


4. Spunti concreti per “approfondire l’argomento” (anche in chiave blog)

Ti lascio qualche idea strutturata che puoi sviluppare:

  1. Titolo possibile:
    Da Zombie alle guerre dei satelliti: quando la violenza smette di avere un volto

  2. Struttura:

    • Hook iniziale: l’urlo di Dolores nel 1994 e un blackout di Starlink nel 2025: cosa hanno in comune?(Wikipedia)

    • Parte 1 – La bomba nel cestino: breve racconto della strage di Warrington, dei Troubles e della nascita di Zombie.

    • Parte 2 – La bomba che non si vede: spiegare in modo semplice cos’è un satellite, cosa sono ASAT, jamming, cyberattacchi.(Secure World Foundation)

    • Parte 3 – Gli zombie del XXI secolo: non più kamikaze in strada, ma tecnici e decisori che spengono infrastrutture da una tastiera, convinti che sia “pulito” perché non vedono il sangue.

    • Parte 4 – Etica dell’orbita: rischi di detriti, corsa agli armamenti spaziali, mancanza di regole forti su armi in orbita.(outerspacelawsapienza.it)

    • Chiusura: riprendere il verso “When the violence causes silence, we must be mistaken” come monito: la guerra dei satelliti è silenziosa proprio perché non fa rumore, ma per questo va raccontata ancora di più.

  3. Domanda finale al lettore:
    Non è forse il momento di aggiornare le nostre canzoni di protesta – non solo contro i fucili, ma contro i cursori che spengono il cielo?



Mediaset non è stata solo televisione, ma una leva di potere capace di trasformare la visibilità in fiducia, le aziende in marchi e il lavoro invisibile dietro le quinte in un’influenza che ha segnato un’epoca.

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