Quando diciamo che “il terreno è maltrattato dai poteri forti” non stiamo usando una metafora poetica: stiamo descrivendo, in modo quasi letterale, ciò che sta accadendo a suolo, foreste, fiumi, città. Mafie, lobby economiche e guerre ridisegnano le mappe del pianeta secondo la logica del profitto e del controllo, non del bene comune.
In questo articolo proviamo a dare un nome a questi poteri, capire come pianificano il territorio e cosa significa, concretamente, “approfondire il globo” dal punto di vista delle persone, non dei board aziendali o degli eserciti.
1. Dare un nome al problema: non “poteri forti”, ma mafie, guerre, finanza estrattiva
“Poteri forti” è un’espressione generica che rischia di diventare uno sfogo e basta. Se vogliamo cambiare qualcosa, dobbiamo nominare gli attori:
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Mafie ed ecomafie: non più solo racket e droga, ma gestione illegale dei rifiuti, cemento, appalti, traffico di rifiuti tossici, speculazioni sui terreni agricoli. In Italia, il termine ecomafia viene utilizzato da Legambiente dagli anni ’90 per indicare le attività criminali organizzate che devastano l’ambiente, un settore divenuto altamente redditizio per centinaia di clan. (Wikipedia)
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Guerre e complesso militare-industriale: i conflitti non distruggono solo vite umane, ma anche suolo, falde, biodiversità. Organizzazioni internazionali e ricercatori sottolineano come le guerre lascino dietro di sé ecosistemi contaminati, desertificati, incendi boschivi e infrastrutture tossiche. (Nazioni Unite)
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Finanza estrattiva e land grabbing: fondi di investimento e grandi corporation acquistano o affittano enormi superfici di terra (soprattutto nel Sud globale) per agricoltura intensiva, biocarburanti, mega impianti energetici e miniere, spesso a scapito delle comunità locali. (IPES-Food)
Non è “un caso” se tante lotte territoriali in giro per il mondo assomigliano tra loro: spesso dietro c’è la stessa logica di concentrazione del potere su terra, acqua ed energia.
2. Il terreno maltrattato: tre ferite aperte sul globo
Per capire cosa significa “pianificazione del terreno maltrattato”, guardiamo tre scenari globali.
2.1. Ecomafie: quando l’illegalità ridisegna la geografia
In Italia, i rapporti annuali sulle ecomafie raccontano un Paese dove:
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i reati ambientali restano migliaia ogni anno;
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la gestione illegale dei rifiuti inquina suoli, fiumi e falde;
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l’abusivismo edilizio trasforma coste, campagne e periferie in territori fragili, esposti a frane e alluvioni. (legambiente.it)
La cosa più inquietante è che la mappa dell’illegalità coincide spesso con quella della vulnerabilità sociale: dove il lavoro scarseggia e i servizi pubblici sono deboli, lì attecchiscono cave abusive, discariche illegali, capannoni pieni di rifiuti bruciati di notte.
2.2. Land grabbing: quando la terra viene “presa” a chi la abita
Negli ultimi decenni, il fenomeno del land grabbing – l’accaparramento di grandi estensioni di terra da parte di attori potenti – è esploso in molte regioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Spesso le terre vengono vendute o concesse per:
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monocolture destinate all’esportazione;
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mega progetti “verdi” (biocarburanti, grandi impianti energetici);
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infrastrutture e mining.
Le conseguenze sono quasi sempre le stesse: comunità sfollate, insicurezza alimentare, distruzione di ecosistemi locali. Sempre più studi sottolineano come queste operazioni, giustificate a volte con il linguaggio della “transizione ecologica”, aggravino disuguaglianze e crisi climatiche. (IPES-Food)
2.3. Guerre: il fronte invisibile è l’ambiente
Dalle città bombardate alla distruzione di infrastrutture industriali, le guerre lasciano dietro di sé un’eredità tossica:
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in Ucraina, gli studi europei evidenziano un mix pericoloso di incendi boschivi su larga scala, inquinamento di suolo e acque e emissioni climalteranti legate alle attività belliche; (joint-research-centre.ec.europa.eu)
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nella Striscia di Gaza, valutazioni recenti delle Nazioni Unite parlano di danni gravissimi a suoli, falde e costa, con impatti a lungo termine su salute, acqua e cibo. (UNEP - UN Environment Programme)
La guerra non devasta solo “il terreno” come scenario di combattimento: ne compromette la capacità di nutrire, dissetare, far vivere.
3. Come pianificano il territorio i poteri forti
La parola chiave è pianificazione, ma declinata al contrario di come la intendiamo dal basso.
3.1. Dall’alto verso il basso
La pianificazione del territorio viene spesso decisa:
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in sale riunioni lontane dai luoghi;
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attraverso strumenti tecnici incomprensibili ai cittadini (deroghe, finanza strutturata, appalti opachi);
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con una comunicazione che “vende” ogni progetto come occasione d’oro: posti di lavoro, sviluppo, modernizzazione.
Dietro le slide patinate, però, si nascondono spesso:
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vincoli ambientali aggirati,
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comunità locali escluse dal processo decisionale,
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complicità tra pezzi delle istituzioni e interessi criminali o speculativi.
3.2. L’uso delle crisi come leva
Un’altra costante è l’uso della crisi come giustificazione:
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crisi energetica → nuovi gasdotti, trivellazioni, impianti “temporanei”;
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crisi climatica → grandi progetti “verdi” che però cacciano le comunità dai propri territori;
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crisi occupazionale → si accettano progetti inquinanti o opachi pur di “portare lavoro”.
Il risultato? Il territorio viene trattato come un sacrificabile, una merce da consumare per risolvere problemi nel breve periodo, spostando i costi ambientali e sociali sul futuro.
4. Un globo sotto pressione: cosa sta succedendo alla Terra
Se allarghiamo lo sguardo al globo, vediamo un disegno coerente: la terra – intesa come suolo, foreste, città, oceani – viene spremuta oltre il limite.
Alcuni segnali:
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Le grandi foreste tropicali (Amazonia, bacino del Congo, Sud-est asiatico) stanno perdendo la loro capacità di assorbire CO₂ e, in alcune aree, sono diventate emittenti nette a causa di deforestazione, incendi e agricoltura intensiva. (The Guardian)
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Le popolazioni che storicamente hanno custodito i territori – comunità indigene, discendenti di schiavi, piccoli agricoltori – vengono spesso spinte ai margini o private di diritti sulla terra, mentre i loro territori vengono concessi a progetti industriali o discariche. (The Guardian)
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Crisi climatica, guerre e land grabbing si sommano, generando migrazioni di massa e spostamenti forzati: milioni di persone costrette ad abbandonare terre rese invivibili da alluvioni, siccità, inquinamento e conflitti. (The Guardian)
Il filo rosso è questo: la geografia del potere si ridisegna attraverso la geografia del danno.
5. Ripensare la pianificazione: dal potere che prende al potere che custodisce
A questo punto la domanda è: cosa significa pianificare un terreno ferito in modo diverso?
5.1. Partire dai custodi, non dai proprietari
In molti casi, i territori sono già curati da comunità che:
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conoscono stagioni, corsi d’acqua, equilibri ecologici;
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hanno costruito economie locali resilienti;
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hanno un rapporto identitario con la terra.
Metterle al centro significa:
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riconoscere diritti collettivi sulla terra, non solo proprietà individuali;
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includerle nei processi decisionali, non come “audience” ma come soggetti politici;
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tutelare legalmente il loro ruolo di custodi (non solo come minoranze “folkloristiche”).
5.2. Rendere visibili i costi nascosti
Ogni grande decisione territoriale dovrebbe rispondere a domande semplici:
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Chi guadagna davvero da questo progetto?
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Chi paga i costi ambientali e sanitari?
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Cosa succede tra 20 o 30 anni a suolo, acqua, biodiversità?
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Ci sono alternative più piccole, diffuse, meno impattanti?
La trasparenza non è uno slogan, ma la condizione minima per spezzare l’intreccio tra poteri forti, mafie e guerre economiche.
5.3. Spostare il potere di decidere
Una pianificazione diversa del terreno richiede nuovi luoghi di decisione:
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assemblee cittadine e territoriali con poteri reali di proposta e veto su grandi opere;
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bilanci partecipativi che orientino investimenti verso rigenerazione, non speculazione;
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alleanze tra città e campagne, per evitare che le prime “scarichino” i loro problemi (rifiuti, inquinamento, consumo di suolo) sulle seconde.
Non si tratta di sostituire un potere forte con un altro, ma di passare da un potere che prende a un potere che custodisce.
6. Approfondire il globo: cambiare sguardo, non solo dati
“Approfondire il globo” significa smettere di guardare il mondo come una palla da sfruttare e cominciare a vederlo come un intreccio di relazioni:
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tra chi abita un luogo e chi decide lontano da esso;
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tra l’albero tagliato e l’alluvione di domani;
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tra la guerra di oggi e il deserto di dopodomani;
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tra il nostro stile di vita e le terre “invisibili” che lo rendono possibile.
Come persone, cittadini, lettori, possiamo:
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informarci andando oltre i comunicati ufficiali e i titoli sensazionalistici;
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sostenere comunità e movimenti che difendono i territori (anche solo amplificando le loro voci);
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fare pressione sulle istituzioni, perché la pianificazione del territorio sia trasparente, partecipata e ancorata ai limiti ecologici reali.
Il terreno è maltrattato, sì. Ma non è muto. Ogni frana, ogni falda inquinata, ogni foresta che brucia, sono messaggi chiari. Sta a noi decidere se restare pubblico passivo di una mappa disegnata da mafie, guerre e finanza, o se mettere mano – insieme – a una nuova cartografia del pianeta, dove il potere forte è quello di chi cura, non di chi consuma.
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