venerdì 30 maggio 2025

"L'intelligenza artificiale non sostituisce l'umanità, ma la sfida: il suo sviluppo segna il confine tra progresso e perdita di ciò che ci rende veramente umani."

 Sapevi che l'intelligenza artificiale è il prossimo passo nell'evoluzione umana? Che diventeremo obsoleti Mi occupo di intelligenza artificiale e informatica da più tempo della maggior parte delle persone; Ho programmato per la prima volta un computer negli anni '60. Non lo definirei il prossimo passo nell'evoluzione umana, anche se è un grande passo nella tecnologia umana e nell'elaborazione delle informazioni. Ma lo vedo come una continuazione di cose che sono andate avanti per centinaia di anni, fin dalle prime forme di automazione come le macchine che potevano regolare la propria velocità e le macchine per tessere automatiche in cui era possibile programmare i modelli che producevano. L'intelligenza artificiale è abbastanza versatile nel processo decisionale, ma in realtà abbiamo avuto un certo livello di processo decisionale automatico per migliaia di anni, ad esempio l'impianto idraulico che devia il trabocco di una cisterna. Questo è fondamentalmente lo stesso di una programmazione di un'istruzione if-then. "Se cistern=full, deviare l'acqua verso il percorso ausiliario." Il fatto che sia o meno il prossimo passo nell'evoluzione umana dipende principalmente dal fatto che cambi o meno in modo significativo le nostre opportunità di riprodurci e trasmettere i nostri geni, e c'è chi sostiene che un'intelligenza artificiale buona e soddisfacente rende più improbabile che tu sia coinvolto in una relazione e abbia figli con un tesoro. Sei almeno un po' incuriosito dall'idea di avere un robot artificialmente intelligente che è il nuovo amore della tua vita? Se è così, forse questo è l'esatto OPPOSTO di essere il prossimo passo nell'evoluzione umana; piuttosto, l'evoluzione potrebbe fermarsi in quel momento.





Gli 883 non sono solo musica, ma un pezzo indelebile della cultura pop italiana degli anni '90, capace di evocare nostalgia e generazioni intere."

 Il travolgente successo ottenuto dalla serie su Sky a loro dedicata, ci indica che gli 883 resteranno nella storia della musica italiana? Non so se resteranno negli annali della Musica italiana, anche perché, con rispetto parlando, ci sono band che hanno fatto letteralmente la storia. Penso ai Nomadi, i Pooh, i Dik Dik, ecc. Per non parlare poi dei cantautori davvero sono evergreen e multigenerazionali (De Andrè, Guccini, De Gregori, Battisti, Battiato, Venditti) di cui più i testi sono effettivamente poesie. Gli 883 furono senz'altro un gruppo che proponeva qualcosa di nuovo nel panorama di quegli anni, a partire dal loro esordio con "Hanno ucciso l'uomo ragno" che, come tematica, era decisamente originale. Oltretutto i supereroi allora non andavano ancora così tanto di moda, anche se l'Uomo Ragno (notare: non Spiderman!) lo conoscevano un po' tutti. A livello di testi, tranne eccezioni, sono comunque molto legati al loro tempo rispetto ad altri. Tutto ci parla degli anni '90: dalla moneta usata (il deca!), ai modi di dire giovanili, alle discoteche che andavano in voga (Celebrità), al rimpianto degli anni precedenti (gli anni), ecc. Alcune di queste, sentendole oggi, ci sembrerebbero parecchio datate, proprio perché appartenenti a quel periodo preciso che aveva nella mia generazione (fine anni '70 inizi '80) il loro target principale. Mentre, al contrario, i testi di Battiato, Branduardi, De Andrè, Guccini, ecc. sono così profondi e, in un certo senso, talmente fuori dal tempo, da sembrare decisamente più attuali dei loro. Musicalmente non erano male ma è indubbio che, per fare un esempio, il gruppo "Elio e le Storie tese" loro contemporaneo era decisamente superiore sia per quanto riguarda l'originalità e il virtuosismo che, uniti all'uso dell'ironia dei loro testi, li rende tuttora una pietra miliare della Musica italiana. Gli 883 e Max Pezzali pur avendo rappresentato molto tra gli anni 90 e i primi 2000 e avendo vinto moltissimi premi, non credo passeranno così alla Storia. Ammetto che io pur apprezzandoli tuttora, molto fa anche l'effetto-nostalgia. Una brevissima nota sulla serie TV a loro ispirata che sto vedendo in questi giorni. Premetto che di solito le Serie TV che guardo sono di genere molto diverso (SF, fantasy, thriller, horror, ecc.) ma questa la sto apprezzando molto. Oltre a essere ben fatta, ben recitata, con interpreti adeguati, (unico neo, l'attore che interpreta Repetto che dimostra molti più anni del 18enne che dovrebbe essere, a differenza di quello di Max che è molto più credibile nel ruolo), con un buon ritmo, ecc. a me piace perché mi evoca davvero gli anni '90 che sono stati così decisivi per la mia formazione, sia in senso positivo che negativo. Anni di illusioni e delusioni, ma anche le fondamenta che hanno costruito il me stesso di oggi, con i suoi pregi e difetti. Il fatto poi che sia ambientata prevalentemente tra Milano e Pavia, in zone che conosco piuttosto bene, me la fa apprezzare ancora di più. Quindi ci sta il fattore-nostalgia di cui sopra. Per me gli 883, assieme al Dylan Dog, ai Simpson, al Karaoke di Fiorello con il suo codino e ai Cavalieri dello Zodiaco, sono a livello pop gli anni '90 come poche altre cose!



**"Nel silenzio delle strade e nei numeri dei mercati, l’economia mondiale ignora le vite spezzate, mentre le droghe diventano l’ultima voce di chi non ha più nessuno che lo ascolti."**



L’economia della disperazione: perché le persone si tolgono la vita con le droghe mentre le autorità fingono di scavare

Nel cuore pulsante dell’economia mondiale si nasconde una verità scomoda: mentre i numeri crescono nei mercati finanziari, milioni di persone cadono in silenzio, consumate da un dolore che le droghe, sempre più letali e raffinate, promettono di anestetizzare. Non è solo una crisi sanitaria. È il sintomo terminale di un sistema globale malato, dove la disperazione viene venduta al dettaglio e la speranza è un prodotto di lusso.

Ogni giorno, giovani e adulti in ogni angolo del pianeta cercano rifugio in sostanze sintetiche, spesso create in laboratori invisibili al cittadino comune ma ben noti a chi dovrebbe controllare. Non si tratta più di “errori individuali” o di “devianze sociali”: ci troviamo davanti a un meccanismo preciso, alimentato da una rete nera internazionale che si nutre della fragilità umana, mentre le autorità – quelle che dichiarano guerra alla droga – sembrano partecipare a una danza dell’ambiguità.

Una guerra mai vinta (e mai davvero combattuta)

Le operazioni di polizia, gli arresti in diretta TV, i comunicati trionfali... tutto fa parte della coreografia. Ma la verità resta inchiodata davanti ai nostri occhi: le droghe si moltiplicano, cambiano forma, diventano più potenti e più economiche. I numeri reali raccontano di overdose in crescita, di adolescenti che muoiono con pillole “colorate”, di comunità devastate. Le autorità “scavano”, ma è un teatro: scavano dove non c’è nulla da trovare, mentre lasciano intatti i pilastri delle industrie nere.

Perché non si parte dall’alto? Perché non si chiudono le fonti? Perché si lascia che certi colossi economici, ben noti e ben tracciabili, continuino a finanziare, legalmente o indirettamente, laboratori di sintesi, logistica oscura, rotte invisibili che passano tra le pieghe del commercio globale?

Le industrie nere: quelle che tutti conoscono ma nessuno tocca

Parliamo di industrie che operano ai margini della legalità, spesso protette da paradisi fiscali e da meccanismi di anonimato finanziario. Multinazionali che trafficano in precursori chimici, “aziende farmaceutiche” con ramificazioni nei mercati paralleli, imprese tecnologiche che forniscono criptazione e logistica ai trafficanti. Il mondo li conosce. I dossier esistono. I nomi circolano.

Eppure, invece di agire alla radice, si continua a colpire il consumatore, a criminalizzare il disperato, a incarcerare l’ultimo anello della catena. È più semplice, più “vendibile” mediaticamente. Ma è anche la più grande ingiustizia del nostro tempo.

Un’economia costruita sull’illusione

Il vero dramma è che il sistema economico globale ha bisogno di consumatori, in ogni forma. Anche del dolore. Anche della fuga. L’industria del narcotraffico muove trilioni di dollari, che poi rientrano nel sistema attraverso lavaggi legali, investimenti “puliti”, partnership ambigue. In fondo, è solo un’altra economia. Una macchina che funziona e genera ricchezza, purché nessuno guardi troppo da vicino.

Nel frattempo, le città si svuotano di sogni. I giovani si perdono nel fumo di sostanze sempre più intelligenti, sempre più distruttive. Famiglie si spezzano. Comunità intere si abituano al dolore come parte del paesaggio.

E se davvero volessimo cambiare?

Bloccare le industrie nere non è impossibile. Servirebbe volontà politica, reale. Servirebbe una cooperazione internazionale non basata sulle apparenze, ma su dati, tracciabilità e coraggio. Servirebbe smettere di proteggere i grandi nomi che si travestono da benefattori, ma che sotto la superficie alimentano la dipendenza mondiale. Servirebbe soprattutto un cambio culturale: smettere di vedere la droga come un problema del singolo e riconoscerla per ciò che è – un sintomo collettivo.

Siamo ancora in tempo? Forse. Ma servono scelte radicali. Servono voci nuove. Serve la verità.




**"Abbiamo distrutto un paradiso chiamato Terra per nutrire la macchina del denaro, e ora sogniamo di costruire un nuovo mondo su Marte, dimenticando che chi non ha saputo custodire la vita non potrà ricrearla altrove."**



Marte e Terra: Il Paradosso del Progresso

Immaginate una scena spaziale: il pianeta Terra, perfettamente blu e vibrante, galleggia accanto a Marte, il gigante rosso e spoglio. Due mondi, uno rigoglioso e l’altro arido. Eppure oggi, il sogno collettivo dell’umanità sembra non essere più proteggere la bellezza della Terra, ma colonizzare l’austera superficie marziana.

Com’è possibile? Com’è accaduto che un pianeta perfetto come la Terra sia oggi in bilico tra collasso ecologico, squilibri sociali e guerre per risorse che essa stessa ha sempre offerto in abbondanza?

La risposta, per quanto dura, è semplice: abbiamo sacrificato la Terra al dio denaro.
Abbiamo permesso che il valore delle cose fosse dettato non dalla loro bellezza, dalla loro utilità o dalla loro delicatezza, ma solo dal loro prezzo nel mercato globale. La macchina dei soldi ha divorato foreste, ghiacciai, oceani. Ha trasformato la biodiversità in una cifra di profitto, l’equilibrio climatico in una voce di spesa, la cultura in marketing.

E ora, quando la Terra mostra segni di stanchezza, invece di curarla, la vogliamo sostituire.
Marte è diventato il nuovo sogno industriale: colonizzare, terraformare, costruire. Un mondo che non ci ha chiesto nulla, ma sul quale proiettiamo il nostro desiderio di fuga e di ricominciare. Come se fosse possibile resettare il gioco della civiltà, ignorando il fallimento del primo round.

Ma c’è una stranezza profonda in tutto questo: chi distrugge un mondo perfetto come la Terra in nome del denaro, come potrà costruirne uno migliore in un deserto rosso e spietato?

Per ogni problema creato da questa macchina che consuma e si autoalimenta, si trova una soluzione rapida: un’app, una legge, una conferenza. Ma ogni toppa applicata su una falla genera nuove crepe altrove. Il ciclo è perverso: creare problemi per risolverli non è progresso, è logica da incendio controllato. E non si può vivere perennemente in un mondo che brucia.

L’umanità sta giocando a fare il demiurgo, ma si dimentica che la creazione non è solo potere, è anche responsabilità. Ogni volta che costruiamo una nuova città, una nuova tecnologia, una nuova narrazione, ci illudiamo di essere in controllo. E invece, ogni aggiustamento rischia di rompere qualcos’altro: un equilibrio ecologico, un tessuto sociale, un valore etico.

Dovremmo fermarci. Osservare. E ricordare che il vero pianeta da colonizzare era, ed è ancora, la Terra stessa.
Non nelle sue terre vergini o nei suoi deserti esotici, ma nei nostri modi di viverla. Nella qualità delle nostre relazioni, nella profondità delle nostre scelte, nella lentezza dei nostri gesti.

Marte può attendere.
La Terra, invece, non può più farlo.




Spegni lo schermo, alza lo sguardo: la vita vera non lampeggia, ma fiorisce in silenzio tra le stelle, gli alberi e il respiro del vento.

 Titolo: Il Tempo della Rinascita Naturale – Una Storia dei Giorni Nostri

C’era un tempo, non molto lontano da oggi, in cui l’umanità viveva in connessione diretta con la Terra. Non servivano schermi per guardare il cielo, né notifiche per ricordarci che il sole stava tramontando. Bastava alzare lo sguardo. Bastava respirare. Bastava vivere.

Poi venne l’epoca delle macchine, delle luci artificiali, dei microchip sempre più piccoli ma capaci di tenere in pugno intere vite. In nome del progresso, ci sedemmo davanti a monitor, chini su smartphone, con le dita che scorrevano incessantemente su superfici lisce e fredde. I giorni iniziarono a confondersi. L’alba e il tramonto persero la loro magia. L’estate era solo una parola, non più un profumo. Le stagioni, ormai, si riconoscevano dai cataloghi online più che dai cambiamenti nel vento.

Questa immagine è lo specchio della nostra epoca. A sinistra, l’uomo illuminato dalla luce fredda dello schermo, circondato da silenzio digitale, estraniato dalla vita vera. A destra, lo stesso uomo in piedi sotto un cielo stellato, le mani libere, gli occhi pieni di meraviglia. Guarda il cielo, non per cercare un segnale Wi-Fi, ma per scorgere una stella cadente. Per un attimo, il tempo si ferma.

Ed è proprio lì, in quella metà di immagine, che inizia la nuova storia dei nostri giorni. Una storia che molti stanno cominciando a scrivere nel silenzio delle foreste, lungo sentieri dimenticati, nei campi dorati al tramonto. È la storia di chi sceglie di tornare a osservare le cose naturali, quelle vere, quelle che nessuna app può replicare. Il canto di un uccellino che annuncia il mattino. L’odore dell’erba calda sotto il sole di luglio. Il rumore del vento tra gli alberi. La meraviglia pura di un cielo notturno, senza filtri.

Non è una fuga dalla tecnologia, ma una ribellione contro l'eccesso. È una rivoluzione silenziosa che si nutre di semplicità. Camminare scalzi sull’erba. Fermarsi ad ascoltare il mondo. Mangiare frutti raccolti con le proprie mani. Parlare guardandosi negli occhi. Dormire con le finestre aperte, lasciando che la notte entri con i suoi suoni e le sue stelle.

Nei giorni nostri, il cambiamento non arriva con rumore, ma con lentezza. Non con slogan, ma con scelte quotidiane. Una passeggiata senza auricolari. Un giorno senza notifiche. Un respiro profondo nella natura, fino a sentirsi parte del tutto.

Questa è la nuova storia: un invito a tornare umani. A ricordarci che il nostro cuore batte in armonia con il mondo, non con l’algoritmo. Che la bellezza non ha bisogno di pixel per essere vista. Che la vita, quella vera, profuma d’estate, canta tra i rami e brilla nel cielo ogni notte.

Forse è tempo di spegnere lo schermo, anche solo per un po’, e uscire fuori. Non per cercare qualcosa. Ma per sentirsi finalmente trovati.



"L'intelligenza artificiale militare è il nuovo elefante bianco nella stanza: ignorarlo oggi potrebbe significare affrontarne le conseguenze domani."

 Dopo il recente finale in due parti dei film di Mission: Impossible, pensi che l'umanità abbia imparato qualcosa sui pericoli dell'IA? Lo facciamo, ovviamente. La sfida è trovare il giusto equilibrio tra costi, sicurezza, protezione e meccanismo di monitoraggio rapido e affidabile dell'intelligenza artificiale. Possiamo firmare trattati per monitorare e verificare le IA militari che controllano le armi nucleari, ma è dannatamente costoso. Inoltre, nessun paese è disposto a lasciare che le proprie IA militari siano verificate da terze parti, poiché espone dati e software militari sensibili, come le posizioni per l'energia nucleare e le basi per le armi nucleari, alle spie. Abbiamo trattati per monitorare le armi nucleari in luoghi divulgati, ma non sono stati attuati correttamente a causa del segreto politico e aziendale, e non abbiamo idea di luoghi non divulgati (a meno che non siano confermati da spie). Nel 1968, in seguito alla crisi dei missili di Cuba, solo 5 paesi dichiararono di avere armi nucleari. Gli altri hanno firmato il TNP che non avrebbero prodotto armi nucleari, ma diversi paesi si sono successivamente ritirati e hanno continuato a produrre armi nucleari per rafforzare la loro sicurezza nazionale. Gli Stati Uniti e l'URSS hanno firmato dicendo che limiteranno la produzione di armi nucleari – questo non è seguito rigorosamente. Le immagini satellitari e i sensori sismici mostrano che i test nucleari continuano a verificarsi. Vale a dire, i "trattati" non hanno molto valore quando si tratta di sicurezza nazionale. Inoltre, tracciare l'uranio e il plutonio è facile, ma tracciare per cosa vengono utilizzati è difficile. Le centrifughe che producono uranio utilizzabile come combustibile possono essere riorganizzate per produrre uranio utilizzabile per le armi. Dopo che il plutonio è stato isolato nel riprocessamento dei prodotti dei reattori nucleari, può essere utilizzato per produrre armi nucleari. Ora, gli esseri umani decidono l'uso di materiali nucleari con l'intelligenza artificiale nel ciclo decisionale. L'intelligenza artificiale viene utilizzata per elaborare un enorme volume di dati nucleari e suggerire un'azione militare per le esigenze nucleari. Il problema è che le IA prendono decisioni rapide elaborando i dati rapidamente, in pochi secondi. Ciò include l'elaborazione dei dati provenienti da radar e sensori e la consulenza sul lancio di missili nucleari in pochi secondi. Il 26 settembre 1983, un colonnello dell'URSS, Stanislav Petrov, individuò missili statunitensi che si avvicinavano all'Unione Sovietica su Oko, il radar. Ma essendo un essere umano, riconobbe subito che si trattava di un falso allarme sul radar. Se mai avesse premuto il pulsante basato sul radar, una guerra nucleare avrebbe distrutto il mondo.Questa è la differenza tra gli esseri umani e l'intelligenza artificiale: gli esseri umani ci pensano due volte prima di premere il pulsante, le IA no. Monitorare e verificare l'azione dell'IA militare non è così facile: i suoi algoritmi e dati sono più difficili da tracciare. Un meccanismo di monitoraggio dell'IA universalmente accettato dovrebbe essere efficace e rispettare i diritti alla privacy, placare le parti interessate idiosincratiche e limitare la parzialità tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Non abbiamo ancora un modello funzionante per derivare un piano d'azione - ragione, la ricerca e lo sviluppo sono costosi. Questo modello proposto dovrebbe includere il monitoraggio regolare delle posizioni dei chip AI, l'ispezione di tali chip e la verifica delle caratteristiche di progettazione di questi chip AI senza rivelare dati militari sensibili. La domanda è: quale paese si farà avanti per primo per consentire l'accesso di terze parti alla sua IA militare? L'intelligenza artificiale è ancora il grande elefante bianco nella stanza che non è stato affrontato correttamente. Una volta costruivamo armi nucleari per evitare la Terza Guerra Mondiale Ora abbiamo bisogno di costruire un meccanismo di controllo per limitare, monitorare, verificare e fermare le IA militari che prendono il pieno controllo delle armi nucleari, spingendo gli esseri umani fuori dal giro - questa necessità esiste già, la sua necessità potrebbe sorgere in modo allarmante nei prossimi 10 anni.




🌍 Il mondo una volta girava al ritmo del cuore umano. Oggi corre sui binari dell’efficienza, ma ha perso la tenerezza. Non dimentichiamo la bellezza di un abbraccio, il valore di piantare un albero, il coraggio di essere sensibili. La vera rivoluzione è tornare umani. #Rallenta #Abbraccia #SiiPresente #CuoreNonCodice



Quando il Cuore Girava il Mondo: Umanità, Tempo e Meccanismi Perduti

C’era un tempo in cui i meccanismi che facevano girare il mondo erano fatti di ingranaggi visibili e invisibili, ma tutti mossi da un elemento semplice e straordinario: l’essere umano. Non era solo l’abilità tecnica a tenere insieme la grande macchina del tempo; era la connessione, l’emozione, il tocco di una mano, la lacrima condivisa, il sorriso donato senza aspettative.

Quei meccanismi, come un grande orologio cosmico, avevano un ritmo in sintonia con i battiti del cuore. Ogni gesto umano – piantare un albero, prendersi cura di un altro essere vivente, raccontare una storia, dare un abbraccio – era parte integrante del movimento della Terra. La sensibilità non era una fragilità, ma una forza propulsiva. Era ciò che dava senso al tempo.

Oggi, nel 2025, qualcosa si è spezzato. Il mondo gira ancora, sì, ma sembra farlo spinto da forze diverse. I nuovi ingranaggi sono digitali, programmati, sempre attivi. Non dormono, non sognano, non soffrono. I robot, l’intelligenza artificiale, gli algoritmi: ecco i nuovi motori del progresso. E in questa efficienza impeccabile, l’umano vacilla. Abbiamo ottimizzato tutto, tranne la nostra anima.

Non è un attacco alla tecnologia – sarebbe ipocrita, e forse anche ingenuo. La tecnologia può essere uno strumento meraviglioso. Ma il problema nasce quando dimentichiamo che non siamo nati per assomigliare alle macchine. Siamo nati per sentire, per accogliere, per stupirci. Per avere paura e affrontarla, per cadere e rialzarci con una mano amica.

Abbiamo smesso di piantare alberi come atto d’amore verso il futuro. Di abbracciare qualcuno senza fretta, senza distrazioni, senza uno schermo tra i cuori. Ci muoviamo come ingranaggi ben oliati ma distanti, incapaci di rallentare il tempo per ascoltare davvero un altro essere umano.

Il rischio è che ci abituiamo. Che ci sembri normale. Che dimentichiamo com’era quando il mondo girava al ritmo di una poesia sussurrata, di una carezza, di un “come stai?” detto con sincerità.

Ma non è troppo tardi.

Possiamo ancora tornare a quei meccanismi interiori che ci rendevano profondamente umani. Possiamo usare la nostra mente per innovare, ma anche il nostro cuore per ricordare. Ricordare che un abbraccio può essere più potente di qualsiasi connessione wi-fi. Che un albero piantato oggi è un gesto di speranza verso una Terra che ci osserva, paziente e ferita, aspettando che torniamo a sentirla.

Forse il segreto non è scegliere tra uomo e macchina, tra cuore e chip, tra passato e futuro. Forse il vero passo avanti è trovare un nuovo equilibrio. Riconoscere che la vera rivoluzione sarà umana o non sarà affatto.

Rallentiamo. Ascoltiamo. Piantiamo un albero. Diamo un abbraccio.

E facciamo girare il mondo, ancora una volta, con l’amore.




Mediaset non è stata solo televisione, ma una leva di potere capace di trasformare la visibilità in fiducia, le aziende in marchi e il lavoro invisibile dietro le quinte in un’influenza che ha segnato un’epoca.

  Mediaset: il grande potere televisivo che ha plasmato l’immaginario collettivo e il mercato Per decenni Mediaset non è stata soltanto una ...