martedì 23 settembre 2025

Osservare la mente senza seguirla è scoprire che, dietro ogni pensiero, c’è una presenza silenziosa che sei tu.



Chi osserva la mente?

Un viaggio dentro la Consapevolezza

Viviamo gran parte delle nostre giornate immersi nei pensieri. Essi scorrono come un fiume incessante: ricordi, progetti, desideri, paure. Ma se ci fermiamo un attimo, possiamo scoprire qualcosa di sorprendente: non siamo i nostri pensieri.

L’osservatore silenzioso

Quando ci sediamo in silenzio e osserviamo la mente, ci accorgiamo che esiste uno spazio interiore capace di assistere al flusso mentale senza essere trascinato via.
Quello spazio è la Consapevolezza.
È come il cielo che rimane intatto mentre le nuvole passano: a volte leggere e luminose, altre volte dense e tempestose, ma sempre destinate a dissolversi.

La domanda che apre la porta

Prova a chiederti:
“Chi è consapevole di questo pensiero? Chi osserva la mia mente?”

Non cercare una risposta intellettuale. Piuttosto, lascia che la domanda ti porti indietro, verso la sorgente stessa dell’attenzione.
Ogni volta che la mente afferra un nuovo contenuto, torna indietro con delicatezza: chi è che sta guardando?

Oltre il pensiero

Se continui a seguire questo filo, accade qualcosa di straordinario: i pensieri perdono peso, come onde che si frangono sulla riva. Ciò che rimane non è un vuoto sterile, ma una presenza viva, vasta, silenziosa.
È lì che il senso di “io” si trasforma: non più identificato con la mente, ma radicato nella pura esperienza di essere.

Riposare nell’essere

Conoscere te stesso non significa costruire una nuova identità, ma riconoscere ciò che già sei prima di ogni pensiero.
Riposare in quello spazio significa vivere in contatto diretto con la sorgente della vita, liberi dalla tirannia dei pensieri e dalle maschere dell’ego.


👉 Invito pratico: oggi ritagliati qualche minuto di silenzio. Chiudi gli occhi, osserva i tuoi pensieri senza seguirli, e chiediti con sincerità: Chi sta osservando?
Lascia che la domanda ti riporti sempre più vicino a ciò che sei davvero.




lunedì 22 settembre 2025

La mente vive di passato e di futuro, ma il cuore riconosce che l’unica vera casa è il presente.



La mente e l’inganno del tempo: vivere la sola casa che abbiamo

Viviamo immersi in un flusso ininterrotto di pensieri. La mente si aggrappa al tempo come un naufrago a un pezzo di legno in mezzo all’oceano: il passato le dà un’identità, il futuro le fornisce desideri e paure. Ma cosa accade se guardiamo con sincerità ciò che rimane al di là di questi due orizzonti?

La risposta è destabilizzante: resta solo il presente.

Il passato: il museo dell’ego

Il passato non è altro che memoria. È un archivio di immagini, emozioni, storie che la mente rielabora di continuo. Non esiste più se non come racconto, come eco. Eppure è dal passato che traiamo gran parte della nostra identità: "chi sono io?" diventa una lista di ricordi, esperienze, ferite e conquiste.
Ma quell’identità è rigida e ingannevole. Non siamo la somma delle nostre storie: siamo molto di più.

Il futuro: il teatro delle illusioni

Il futuro, al contrario, è il terreno fertile del desiderio e della paura. Qui la mente costruisce castelli o scenari apocalittici, proiettando immagini di ciò che potrebbe accadere.
In questa continua anticipazione, la vita si consuma in un dialogo interiore che raramente si realizza come immaginato. Eppure l’ego si nutre proprio di questa instabilità: più ci preoccupiamo del domani, più il suo senso di esistenza si rafforza.

Il presente: l’innocenza perduta

E poi c’è l’Adesso. Troppo semplice per sembrare reale, troppo silenzioso per soddisfare una mente affamata di complessità. Il presente non concede appigli, non racconta storie: è pura esperienza.
Non è un concetto, non è un’idea. È l’aria che entra nei polmoni, la luce che si posa su un oggetto, il battito che scandisce il tempo del corpo. Tutto accade qui.

L’ego non sopravvive all’Adesso

L’ego ha bisogno di continuità temporale per sentirsi vivo. Senza “io ero” e senza “io sarò”, resta soltanto “io sono”. Ma in quell’“io sono” non c’è più la narrazione, c’è solo la presenza.
Ed è qui che nasce la paura più grande della mente: il silenzio. Il pensiero teme di dissolversi quando incontra l’essere, perché la presenza non lascia spazio alle sue maschere.

Tornare a casa

Il presente non è una tecnica, né una conquista. Non è un risultato da raggiungere, ma una realtà da riconoscere. È la nostra unica vera casa, l’unico luogo che non possiamo abbandonare.
Quando smettiamo di aggrapparci al passato e di rincorrere il futuro, scopriamo che non ci manca nulla. Non serve altro che essere, qui e ora.


👉 Spunto pratico per chi legge: la prossima volta che la mente ti trascina in pensieri di ciò che è stato o di ciò che sarà, fermati un istante. Ascolta il respiro, osserva un dettaglio intorno a te, percepisci il corpo dall’interno. È così che inizi a ritrovare la strada di casa.




La coscienza è il cielo immutabile, l’identità sono le nuvole che vi scorrono: chi guarda oltre la forma, scopre l’infinito Io Sono.



Coscienza e Identità: la Luce e la Forma

La coscienza è la luce. L’identità è la forma che sembra assumere.

È un’immagine potente: la luce non ha bisogno di forma, ma nel momento in cui illumina un oggetto, questo appare e prende consistenza. Così accade a noi: siamo coscienza pura, ma quando la luce si riflette in pensieri, emozioni, ruoli, nasce un senso di “identità”.

La coscienza vede, l’identità interpreta

La coscienza osserva, è presenza silenziosa, aperta, senza giudizio.
L’identità invece si arroga il ruolo del veggente: dice “sono io che vedo, sono io che penso, sono io che decido”. In realtà non è altro che un riflesso temporaneo, un’immagine creata dalla mente.

E qui si nasconde il paradosso: la coscienza non cambia mai, resta immobile e luminosa; l’identità, invece, è mutevole. Cambia con l’età, con i contesti sociali, con i ricordi, con le storie che raccontiamo su di noi.

“Io sono questo” contro “Io Sono”

L’identità dice: “Io sono un uomo, una donna, un professionista, un genitore, un credente, un cercatore”. Si identifica con forme, ruoli, definizioni.
La coscienza non aggiunge nulla, non ha bisogno di etichette. Dice semplicemente: “Io Sono”.

Questa differenza, apparentemente sottile, è la chiave di una trasformazione interiore. Quando ci spostiamo dall’identità alla coscienza, ci accorgiamo che non siamo i nostri pensieri, né le nostre emozioni, né i nostri ruoli sociali. Siamo la luce che li attraversa.

Vivere dalla coscienza

Vivere ancorati all’identità significa oscillare continuamente tra gioia e frustrazione, successo e fallimento, riconoscimento e rifiuto.
Vivere dalla coscienza significa scoprire un centro stabile, una pace che non dipende da nulla di esterno. È come tornare alla sorgente, dove non c’è bisogno di definizioni, perché la vita stessa si manifesta nella sua purezza.


👉 Domanda per chi legge: ti senti più spesso la coscienza che osserva o l’identità che si racconta?




domenica 21 settembre 2025

Quando il respiro si fa corto e il tempo sembra restringersi, una passeggiata lenta e un ricordo antico possono diventare la strada segreta per allungare la vita e illuminare la memoria.”



Respirare meglio, vivere meglio: il segreto nascosto nelle passeggiate e nei ricordi

Uno dei problemi più delicati legati alla salute degli anziani riguarda la respirazione. Con l’avanzare dell’età, i polmoni perdono elasticità e anche piccoli sforzi possono sembrare montagne da scalare. Questa difficoltà, spesso silenziosa, può portare a conseguenze gravi.
Ma esiste una via semplice, naturale e gratificante per contrastare questa fragilità: camminare e nutrire la mente di bellezza e ricordi.

La passeggiata come terapia

Una camminata lenta, regolare e consapevole diventa un vero esercizio di rieducazione respiratoria. Ad ogni passo:

  • i polmoni si aprono,

  • il diaframma lavora meglio,

  • il corpo ossigena i tessuti.

Non servono maratone, ma piccoli gesti quotidiani: una passeggiata al parco, una strada conosciuta, un borgo che risveglia la memoria.

La memoria come respiro dell’anima

Accanto al corpo, anche la mente ha bisogno di respirare.
La lettura di un buon libro, magari della propria gioventù, o la visione di un vecchio programma televisivo degli anni ’60 o ’70 può attivare ricordi profondi. Questi stimoli non solo portano serenità, ma aiutano a:

  • ridurre lo stress,

  • regolare il battito cardiaco,

  • migliorare la qualità del respiro.

Il “Cofanetto dei Ricordi”

Immaginiamo di creare un cofanetto personalizzato per ogni anziano, una piccola macchina del tempo che custodisce:

  • vecchie riviste e libri dell’epoca della loro gioventù,

  • registrazioni dei primi anni della televisione a colori,

  • canzoni e programmi radiofonici dimenticati,

  • fotografie e racconti di eventi storici vissuti.

Questo scrigno diventa uno strumento terapeutico: rievocare emozioni positive del passato stimola la mente, riporta il sorriso e accompagna il respiro in un ritmo più lento e armonioso.

Unire corpo e mente

La vera soluzione, quindi, non è solo medica, ma anche culturale ed emotiva:

  • camminare per ossigenare il corpo,

  • ricordare per ossigenare la mente.

Un anziano che passeggia con calma, rilegge un libro amato o si emoziona davanti alle prime immagini a colori della TV non sta semplicemente rivivendo il passato: sta allungando il proprio futuro.




Finché ci identifichiamo con l’ego vivremo il conflitto della separazione, ma dietro a quell’illusione resta intatta la pura unità dell’Essere, che non ha bisogno di essere cercata per esistere.

 Se essere intelligente, generoso e buono con le persone è il tuo obiettivo, e senti di poterlo raggiungere, è sufficiente. Non c'è bisogno che vi preoccupiate della "spiritualità", che comprenda la dissoluzione dell'ego o che voglia che si dissolva. Vai avanti nella "tua" vita, (che in realtà non è la tua) ed esercita tutto il controllo che pensi di avere ("tu" non ne hai) e sii soddisfatto. L'ego è semplicemente la tua illusione di essere un "sé" separato, separato da tutti e da tutto nella Realtà. La maggior parte delle persone, quando pressate, ammetterebbero che questo sentimento di separazione preclude la loro capacità di essere sempre gentili, generosi e non reattivi alle persone e alle situazioni della loro vita. Che, per quanto possano cercare di essere in quel modo e mantenere il loro "autocontrollo", la stessa sensazione che l'"altro" li minacci, che competa con loro per le risorse o semplicemente che sia "diverso" e abbia visioni di vita in conflitto con le proprie, assicura che ci saranno scontri di ego e "auto" protezione. Questa consapevolezza che l'identificazione con l'ego sarà sempre piena di conflitti e sofferenze è ciò che incoraggia alcuni personaggi del sogno a cercare la pura Unità o Essere che è la nostra vera natura dietro il sogno della separazione. Un giorno, potresti cercare anche quello. Non importa, in entrambi i casi. L'essere rimane puro, immacolato e neutrale, che si tratti di illusori personaggi onirici che lo cercano o meno.



Tutti i piaceri passano, ma la pace resta: non nasce dal possesso, bensì dall’assenza di volere, dove l’Essere riposa in se stesso.



L’unico piacere permanente: riposare come ciò che sei

Viviamo in una società che ci spinge costantemente alla ricerca di piaceri: il cibo che appaga, l’acquisto che gratifica, la conquista che esalta, l’esperienza che distrae. Ma se osserviamo con sincerità, ci accorgiamo che ogni piacere porta con sé una data di scadenza. Ciò che sorge è destinato a svanire. È la legge stessa dell’impermanenza.

E allora, perché rincorriamo senza tregua ciò che inevitabilmente sfuma?


La fragilità dei piaceri sensoriali

Ogni piacere è legato a una condizione. Serve un oggetto, una persona, un evento esterno. Quando quella condizione cessa, anche la sensazione svanisce. Quello che chiamiamo “piacere” non è altro che una parentesi, un lampo temporaneo che nasce e muore.

È qui che sorge l’inganno: confondiamo l’intensità momentanea dell’eccitazione con la vera gioia. Ma l’eccitazione è sempre fragile, soggetta al cambiamento, schiava del tempo.


La gioia dell’Essere

Diversa è la natura della pace interiore. Essa non ha bisogno di oggetti né di circostanze particolari. Non dipende da ciò che accade fuori. È quiete. È silenzio vivo.

La gioia dell’Essere non è un piacere che va e viene, ma un riconoscimento: quello di essere, semplicemente. Non occorre aggiungere nulla. Non occorre volere. Quando il desiderio si placa, ciò che resta è un fondo immutabile di pace.


L’assenza di volere

Il punto non è ottenere di più, ma lasciare andare la tensione verso ciò che manca. La mente vive proiettata nel desiderio, e per questo è sempre inquieta. L’Essere, invece, è sempre completo. Non ha bisogno di diventare nulla.

Quando smettiamo di volere, anche solo per un istante, la pace si rivela da sé. Non è una conquista, ma un riconoscimento: era già lì, sotto la superficie dei nostri pensieri.


Riposare come ciò che sei

Il vero piacere permanente non è l’accumulo, ma il riposo. Non nelle cose, ma nell’essenza. Non nell’agitazione, ma nella quiete.

Riposare come ciò che sei significa non cercare più altrove ciò che già ti abita. È un lasciarsi cadere nel cuore stesso dell’esistenza, dove non c’è nulla da guadagnare né da perdere.

E in quella semplicità scopriamo la più grande ricchezza: la pace che non finisce.


👉 Domanda per chi legge: nella tua esperienza quotidiana, quali momenti ti hanno fatto assaporare questa quiete che non dipende da nulla?



sabato 20 settembre 2025

"La coscienza non nasce dal cosmo: è il silenzio eterno che lo sogna e lo contiene."



La coscienza non ha origine: il sogno silenzioso che precede il cosmo

Viviamo in un’epoca in cui la scienza e la filosofia si intrecciano sempre più, cercando di rispondere alla domanda fondamentale: da dove proviene la coscienza? È nata dal cervello, frutto di miliardi di anni di evoluzione, oppure è qualcosa che precede la materia stessa?

Molti modelli scientifici considerano la coscienza come un epifenomeno, una conseguenza dell’attività neuronale. Ma se fosse vero l’opposto? Se non fosse il cosmo ad aver creato la coscienza, ma la coscienza stessa ad aver sognato il cosmo?


La coscienza come rivelazione, non come origine

Dire che la coscienza “ha avuto origine” significa collocarla dentro lo spazio-tempo, come un evento tra tanti. Eppure, nell’esperienza interiore più profonda, la coscienza appare come ciò che non è mai nato e mai muore. Non segue il flusso del tempo: lo contiene.

Non è un prodotto della materia, ma il campo entro cui la materia stessa si manifesta. La coscienza non si è accesa come una scintilla improvvisa in un cervello primitivo: era già presente, silenziosa e infinita, in attesa di rivelarsi attraverso forme, pensieri, esperienze.


Prima del pensiero, la conoscenza pura

Il linguaggio, i concetti, le immagini della mente: tutto questo appartiene al dominio della forma. Ma prima della forma esiste una dimensione che non si può ridurre a definizioni. Una conoscenza originaria che non ha bisogno di parole né di oggetti per essere.

Questa conoscenza è l’essenza stessa della coscienza: un sapere diretto, intatto, non duale. È ciò che le antiche tradizioni chiamavano pura consapevolezza. Non qualcosa che “abbiamo”, ma ciò che siamo, al di là di ogni narrazione.


Il cosmo come sogno della coscienza

Se ribaltiamo la prospettiva, la materia non genera la coscienza, ma la coscienza genera la materia. In questa visione, l’universo non è altro che un’immensa proiezione: un sogno cosmico che prende forma dentro il campo consapevole.

Ogni stella, ogni galassia, ogni atomo è un riflesso di quella matrice silenziosa. E noi, come esseri viventi, non siamo entità separate, ma espressioni del medesimo sogno.


Un invito al silenzio interiore

Se la coscienza precede e trascende il cosmo, allora il più grande atto filosofico e spirituale è riconnettersi a quella radice silenziosa. Non attraverso lo sforzo del pensiero, ma attraverso l’apertura, l’ascolto, la resa.

Nel silenzio non incontriamo il vuoto, ma l’interezza. Non incontriamo l’assenza, ma la presenza assoluta. È lì che possiamo intuire la verità che sfugge a ogni spiegazione: la coscienza non ha origine perché è l’origine.


Conclusione

Invece di chiederci quando o come la coscienza sia sorta, possiamo iniziare a riconoscere che essa è sempre stata qui. Non è un frammento della realtà, ma lo sfondo eterno in cui la realtà stessa accade.

Il cosmo è un evento nella coscienza. E noi siamo il testimone che sogna e vive, allo stesso tempo, quel sogno infinito.



Mediaset non è stata solo televisione, ma una leva di potere capace di trasformare la visibilità in fiducia, le aziende in marchi e il lavoro invisibile dietro le quinte in un’influenza che ha segnato un’epoca.

  Mediaset: il grande potere televisivo che ha plasmato l’immaginario collettivo e il mercato Per decenni Mediaset non è stata soltanto una ...